La cacio e pepe perfetta ha una precisa formula fisica, i ricercatori: “Il segreto è il terzo ingrediente”

Pecorino e pepe. Bastano questi due ingredienti per cucinare uno dei piatti più emblematici e allo stesso tempo difficili della cucina romana: la cacio e pepe. Ma da qualche giorno sono anche diventi gli ingredienti della ricetta perfetta per vincere un IgNobel per la Fisica. Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, si tratta della versione umoristica dei prestigiosi Nobel. Ma anche se gli studi o gli argomenti oggetto degli IgNobel sembrano leggeri o divertenti, in realtà si tratta di un premio dall'indiscusso valore scientifico.
Inaugurati nel 1991 dalla rivista Annals of Improbable Research, da allora vengono assegnati ogni anno a lavori scientifici "che fanno prima ridere e poi riflettere". Per darvi un'idea, l'anno scorso tra i vincitori c'erano uno studio sulla capacità delle trote morte di nuotare e un altro sui vermi ubriachi.
Una cacio e pepe da (Ig)Nobel
Quest'anno invece tra i vincitori degli IgNobels 2025 c'erano anche otto ricercatori italiani, tutti tra i 30 e i 35 anni, che hanno ricevuto l'ambito premio per aver sviluppato la ricetta perfetta, secondo la scienza ovviamente, della cacio e pepe. Si chiamano Davide Revignas e Daniel Maria Busiello dell'Università di Padova, Giacomo Bartolucci dell'Università di Barcellona, Fabrizio Olmeda dell'Istituto di Scienza e Tecnologia dell'Austria, Matteo Ciarchi, Ivan Di Terlizzi, Vincenzo Maria Schimmenti e Alberto Corticelli dell'Istituto Max Planck di Dresda. È proprio qui che si sono incontrati e quasi casualmente, tra un pranzo e l'altro, sono diventati amici e poi colleghi di ricerca.
Da una cacio e pepe sbagliata è nata l'idea di avviare uno studio che avesse per oggetto proprio i principi fisici alla base della famosa salsa: dopo diversi tentativi il gruppo di ricercatori ha finalmente trovato la formula perfetta per evitare che durante la preparazione il formaggio si addensi a formare i grumi, un grave errore per la cacio e pepe. Lo studio è stato pubblicato qualche mese fa sulla rivista scientifica Physics of Fluids. A Fanpage.it Davide Revignas, uno degli otto ricercatori premiati, ha raccontato, anche a nome dei colleghi, come sono arrivati allo studio, o forse sarebbe meglio dire la ricetta vincente.
Vi aspettavate di vincere gli IgNobels?
No, forse aspettarcelo no, ma tutti noi ci speravamo un po', perché tra noi scienziati e ricercatori gli IgNobels sono un po' un meme. Poi sai si dice anche che vincere questo premio porti bene per i Nobel, perché in passato è già capitato che chi aveva vinto gli IgNobel poi ha ricevuto anche il Nobel. Insomma, sicuramente tra noi otto ci scherzavamo sopra e in fondo un po' ci speravamo anche.
Vi eravate candidati?
Agli IgNobels non ci si candida, ma in genere si segnalano lavori altrui, quindi qualcuno deve aver segnalato il nostro studio. Anche perché, fin dall'inizio il nostro studio ha avuto una forte risonanza mediatica. E questo lo dobbiamo niente poco di meno a Giorgio Parisi che ha condiviso su Facebook il nostro studio ancor prima che venisse pubblicato.
Come vi è venuti in mente di fare uno studio sulla cacio e pepe?
I motivi sono due, uno è più pratico l'altro più puramente scientifico. Noi otto ci siamo conosciuti all'Istituto Max Planck di Dresda, in Germania, perché per motivi diversi abbiamo trascorso qui un periodo del nostro percorso accademico, chi prima chi dopo. Uno di noi, Ivan, è molto bravo a cucinare quindi capitava che spesso cucinasse per tutti, anche per i colleghi stranieri, anche per fare provare i piatti tipici della cucina. Tutti i piatti gli venivano bene, l'unico che gli ha dato problemi di una volta era proprio la cacio e pepe.
Che genere di problemi?
Chi ha fatto qualche volta la cacio e pepe lo sa: farla uscire bene, senza grumi, soprattutto quando la prepari per tante persone è davvero difficile. Perché è difficile controllare la temperatura della crema al formaggio ed evitare che si scaldi troppo: se questo succede poi si formano gli odiati grumi che noi nello studio, anche scherzosamente, abbiamo chiamato "mozzarella face", perché a vederli sembrano delle mozzarelline.
Mi parlava anche di un motivo più prettamente scientifico. Quale?
Uno degli interessi di ricerca centrali dell'Istituto Max Planck è proprio la separazione di fase nei liquidi, in particolare in biofisica. In questo campo si cerca di capire come mai dentro le cellule mescere di misture di proteine, acqua e altre biomolecole si separino un po' come fa l'olio nell'acqua. Il principio fisico che c'è sotto non è lo stesso, ma rende bene l'idea. Questo meccanismo che avviene naturalmente all'interno delle cellule è ancora oggetto di studio, perché ancora non abbiamo capito del tutto perché si formano questi agglomerati.
Come si passa da questo alla cacio e pepe?
Il problema pratico della cacio e pepe è riconducibile a questo meccanismo perché in sostanza i grumi si formano probabilmente perché le proteine del formaggio aggregano. Non abbiamo un modello microscopico che lo confermi con assoluta certezza perché abbiamo fatto i nostri esperimenti in cucina, con strumenti arrangiati, perché l'idea è che il fenomeno sia simile a quello che si verifica all'interno delle cellule: per effetto del calore le proteine del formaggio si denaturano, cambiano conformazione e quindi aggregano formando i grumi.
Cosa avete scoperto?
Il contributo dello studio è stato indagare in modo sistematico, quindi con provando con diverse temperature e composizione della salsa, fino a trovare la composizione ottimale per evitare la formazione dei grumi.
Avete la ricetta perfetta quindi?
Sì. Il segreto per evitare la formazione dei grumi è un qualcosa che in realtà i cuochi sanno già, ma in modo intuitivo. Il nostro merito è semplicemente quello di averlo formalizzato: il terzo ingrediente per una cacio e pepe perfetta è l'amido, che gioca un ruolo fondamentale nello stabilizzare la salsa. Tradizionalmente infatti quando di prepara la cacio e pepe si aggiunge un po' di acqua della pasta, proprio perché contiene amido.
Voi non avete usato l'acqua della pasta?
No noi abbiamo usato l'amido di mais, perché nell'acqua della pasta non è sempre facile capire la concentrazione di amido. Invece con questo semplicissimo ingrediente potevamo controllare meglio le dosi.
Abbiamo testato diverse concentrazioni di formaggio e amido e dopo diversi esperimenti siamo riusciti a costruire quello che nel linguaggio scientifico viene definito un diagramma di fase, ovvero si testano tutte le possibili combinazioni di certi parametri – nel nostro caso erano le contrazioni di formaggio e amido – e cerca la zona ottimale. Questa era la nostra ricetta ideale.
Quali sono le dosi ottimali?
Come spighiamo nel nostro studio, per avere una salsa stabile, senza grumi, la concentrazione di amido non deve essere inferiore all'1% né superiore al 4% rispetto al formaggio.
Adesso usate questa ricetta quando preparate la cacio e pepe?
Sì certo, devo dirti la verità. Io forse sono quello del gruppo che è meno portato in cucina, ma mi è capitato di farla anche io, magari su richiesta di amici e familiari e devo dire che mi è venuta. Ma non è perché sono diventato bravo in cucina, è che seguendo la ricetta dello studio, bisogna mettercisi di impegno per sbagliarla.
Quando avete iniziato a lavorarci, non avevate paura che il vostro lavoro venisse giudicato come poco serio?
In realtà no perché abbiamo usato un metodo scientifico rigoroso, quindi sapevamo che in ambiente accademico non avremo corso questo rischio. Poi è uno studio a cui abbiamo lavorato letteralmente nei nostri weekend liberi e a nostre spese. È stato un modo per lavorare insieme, ma anche un'occasione per vederci e passare del tempo insieme. Non c'è niente di segreto: è ovvio che è stato anche divertente, perché è anche questo lo spirito degli IgNobels.
E fuori?
Fuori dal mondo accademico, quando si parla di cibo in Italia il rischio che qualche tradizionalista possa storcere il naso c'è, ma è anche vero che non abbiamo stravolto la ricetta originale: alla fine l'amido è da sempre un ingrediente della cacio e pepe, solo che noi invece di quello che rilascia naturalmente la pasta in cottura, abbiamo usato l'amido di mais, ma puramente per ragioni pratiche.
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