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In che modo il corpo di Sammy Basso aiuta la ricerca sulla progeria: la spiegazione della genetista Telethon

La decisione di Sammy Basso di donare il proprio corpo alla scienza apre grandi possibilità di ricerca sulla progeria, la malattia genetica rara di cui il giovane attivista italiano era il malato più longevo al mondo: ne abbiamo parlato con la professoressa Brunella Franco, principal investigator di Telethon e docente ordinario di Genetica medica alla Federico II di Napoli. Ecco a quali scoperte potremo arrivare.
Intervista alla prof.ssa Brunella Franco
Genetista, principal investigator di Telethon, professore ordinario di Genetica medica presso l’Università Federico II di Napoli e docente della Scuola Superiore Meridionale
A cura di Valeria Aiello
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La decisione di Sammy Basso di donare il proprio corpo alla scienza può dare la possibilità di comprendere i meccanismi responsabili della progeria
La decisione di Sammy Basso di donare il proprio corpo alla scienza può dare la possibilità di comprendere i meccanismi responsabili della progeria

La ricerca sulla progeria, la malattia genetica rara che ha segnato la vita di Sammy Basso, potrà contare sull’importante contribuito del giovane attivista italiano che, decidendo di donare il proprio corpo alla scienza dopo la morte, ha scelto di aiutare gli scienziati a migliorare la conoscenza di questa condizione. “Una possibilità eccezionale” spiega a Fanpage.it la professoressa Brunella Franco, genetista Telethon, ordinario di Genetica medica alla Federico II di Napoli e docente della Scuola Superiore Meridionale.

La progeria è una malattia genetica talmente rara da avere nella sua singolarità una delle principali limitazioni al suo stesso studio – osserva l’esperta – . Si stima abbia una frequenza di un caso su 8 milioni di nati vivi, per cui avere a disposizione organi donati da un paziente con una malattia così rara è ovviamente molto importante per la ricerca”. I sintomi della progeria iniziano a manifestarsi durante la prima infanzia, con un importante ritardo nella crescita e altri segni clinici, inclusi i cambiamenti della pelle, che comincia ad assumere un aspetto invecchiato. “Tuttavia, nonostante le basi genetiche responsabili della progeria siano state identificate, i meccanismi che portano alla malattia rimangono ancora sfuggenti”.

Perché? Cosa sappiamo della progeria e cosa non è ancora stato compreso?
Quando parliamo di progeria non ci riferiamo a una sindrome specifica, ma a diverse malattie genetiche, chiamate sindromi progeroidi che, come suggerito dal nome, sono caratterizzate da un invecchiamento precoce: nel caso di Sammy Basso, si trattava di una sindrome di Hutchinson-Gilford, una malattia genetica dovuta a mutazioni nel gene LMNA, un gene che si trova sul cromosoma 1 e che codifica per la lamina A. La lamina A è una proteina ubiquitaria, cioè che si trova in tutte le cellule, dove svolge diverse importanti funzioni, con un ruolo chiave nel mantenere la struttura e il funzionamento del nucleo cellulare.

Variazioni della sequenza di questo gene, le cosiddette mutazioni, portano alla formazione di una proteina che non riesce a svolgere la sua normale funzione: pertanto, essendo la lamina A altamente espressa in molti distretti dell’organismo umano, incluse le pareti dei vasi sanguigni, il fegato, il rene, il cuore, il cervello e la muscolatura, quando mutata causa una degenerazione, per cui osserviamo un fenotipo di invecchiamento precoce.

Ciò che non è ancora stato chiarito, tra i diversi aspetti che non conosciamo di questa malattia, è come questa proteina mutata vada a determinare questo processo di invecchiamento precoce. Si presume che abbia effetti negativi sulla funzione nucleare o che danneggi alcuni processi cellulari critici, ma non sappiamo esattamente perché causa le manifestazioni cliniche della malattia.

Quali sono i primi sintomi di progeria?
Alla nascita, il bambino è di solito assolutamente normale, ma nella prima infanzia comincia a mostrare i primi segni di invecchiamento precoce: la pelle assume un aspetto invecchiato, i capelli iniziano a diradarsi, e anche il tono muscolare, gli organi interni, i vasi sanguigni e gli altri tessuti vanno incontro a un processo che nell’anziano è fisiologico ma che nella persona affetta da progeria è patologico e porta a un bambino che invecchia molto presto.

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Chiaramente la progeria è una malattia molto grave, con purtroppo un’età media di esito fatale che si aggira intorno ai 20-25 anni. E per la quale non ci sono ancora cure, come per molte altre malattie genetiche. Sono stati sviluppati trattamenti per alleviare alcune condizioni specifiche e aumentare l’età media di vita di questi pazienti, ma non esistono trattamenti risolutivi. Per questo la ricerca è particolarmente importante.

In che modo la decisione di Sammy Basso di donare il suo corpo alla scienza cambia la ricerca sulla progeria?
La ricerca sulle malattie genetiche rare che noi facciamo in laboratorio viene condotta in vitro, su modelli cellulari che creiamo in laboratorio – nel caso della lamina A, inserendo mutazioni nel gene e osservando i vari effetti nella cellula associati alle diverse funzioni assolte normalmente da questa proteina – e in vivo, in modelli che vengono creati con l’ingegneria genetica, cioè in modelli animali, come Drosophila melanogaster, la specie modello più conosciuta come moscerino della frutta, e C. elegans, un piccolo verme che è un importante modello per studiare le malattie umane.

Non possiamo ovviamente avvantaggiarci di modelli umani, non sarebbe etico, e di solito possiamo utilizzare solo questi modelli alternativi. Trattandosi inoltre di malattie in molti casi estremamente rare, non c’è disponibilità di organi o tessuti donati da pazienti. Avere quindi la possibilità di disporre di organi donati da un paziente è una possibilità del tutto eccezionale per chi si occupa di malattie genetiche rare e, nello specifico, per i ricercatori che studiano una malattia così rara come la progeria, soprattutto nel momento in cui, una volta avviate le ricerche di base in laboratorio, si vorranno poi avere conferme sulle ipotesi sperimentali.

Nel frattempo, come vengono conservati questi tessuti? Rimangono vivi?
Non rimangono ovviamente vivi, ma possono essere conservati con diverse tecniche, generalmente in azoto, per mantenere la struttura dei tessuti, oppure una parte può essere inclusa in paraffina, in modo da poterli poi studiare con tecniche di laboratorio specifiche.

Quali sono i principali interrogativi aperti sulla progeria? Cosa si potrebbe scoprire studiando questi tessuti?
Gli interrogativi sulla progeria sono tantissimi, si sa pochissimo di questa patologia. Ad esempio, se la ricerca condotta in laboratorio porterà a identificare una specifica via di segnalazione delle informazioni molecolari all’interno della cellula, si potrebbe studiare questa stessa via di segnalazione per capirne il ruolo nella patogenesi della malattia, utilizzando il tessuto del fegato oppure quello muscolare del paziente e avvalendosi di tecniche che permettono di visualizzare diverse componenti di quella specifica via di segnalazione.

Marcando la proteina mutata?
Sì, marcando la proteina mutata e studiandone la distribuzione, cioè se la sua localizzazione è quella normale oppure diversa da quella attesa, perché ad esempio si trova in un organello dove normalmente non è presente. Ma si potrebbe anche studiare se la degenerazione osservata in alcuni tessuti ha un aspetto specifico, se ad esempio innesca la morte cellulare oppure la fibrosi o altri processi biologici.

I tessuti possono essere utili anche per la ricerca di una terapia?
Purtroppo non credo che per la progeria si sia arrivati al punto da avere trattamenti terapeutici per cui i tessuti donati alla scienza possano essere direttamente utilizzati in quest’ambito di ricerca. Tra l’altro, essendo dei tessuti non vivi, non si può valutare direttamente una loro risposta a determinati stimoli molecolari o a una terapia che si sta sperimentando.

E se pensassimo a una terapia genica, cioè alla sostituzione del gene mutato con una copia corretta?
Le terapie geniche sono una delle possibili proposte terapeutiche per le malattie genetiche rare e, ad oggi, ci sono già alcuni esempi di malattie genetiche trattate con la terapia genica. Non tutte le malattie genetiche possono però essere trattate con questo tipo di approccio che, per poter arrivare ad essere definitivo, necessita di molta ricerca di base. Questo perché, per poter sostituire oppure immettere un determinato gene in un organismo umano, dobbiamo essere certi che produca un vantaggio senza danneggiare nient’altro, ma dobbiamo anche essere sicuri di raggiungere tutti i tessuti in cui gene è deficitario, il che può presentare delle difficoltà tecniche, a seconda delle caratteristiche del gene stesso.

Ad esempio, quando il gene è molto grande, la tecnologia che abbiamo oggi a disposizione non ci permette di farlo con facilità; avere invece un gene con un livello di espressione basso può comportare altri problemi. Ci sono quindi delle specificità tecniche collegate al tipo di proteina in particolare.

Per la lamina A, al momento non ci sono approcci che possano fare pensare che una terapia genica sia dietro l’angolo. Bisogna però anche ricordare che le terapie innovative sono sempre il risultato di ricerca di base: nel caso della progeria, che è una malattia di cui si sa talmente poco, in questa fase è fondamentale fare ricerca, per comprenderne i meccanismi di base ed individuare potenziali target terapeutici, sui quali pensare poi di sviluppare una terapia.

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