Il mistero del pianeta Tylos con due enormi code: i modelli fisici possono spiegarne una sola

Nello spazio profondo, a circa 860 anni luce dalla Terra e incastonato nella costellazione della Poppa, si trova un pianeta extrasolare “assurdo” con due gigantesche code. WASP-121 b, conosciuto anche come Tylos, è un esopianeta classificato dagli scienziati come gioviano ultra-caldo, ovvero un gigante gassoso enorme che orbita talmente vicino alla stella madre da avere un'atmosfera infernale, caratterizzata da temperature di migliaia di gradi Celsius. Basti sapere che Tylos impiega appena 30 ore per completare un'orbita attorno alla stella madre; ciò significa che un anno, su questo mondo alieno, dura poco più di un giorno sulla Terra.
Sarebbero proprio queste condizioni estreme a dar vita alla doppia coda, probabilmente plasmata dall'azione della radiazione e dal vento stellari, oltre che dalla gravità. L'aspetto più sorprendente di questa peculiare fuga o perdita atmosferica, il processo attraverso il quale un pianeta perde la sua atmosfera, risiede nel fatto che i modelli matematici possono spiegare una sola coda. Nel caso di Tylos invece ce ne sono due, talmente grandi da formare un semi-anello attorno all'equatore stellare, con l'orbita coperta per il 60 percento dalla scia di gas (elio, nello specifico). Sarà necessario mettere a punto nuovi modelli fisici per poter spiegare il comportamento di questo curioso e inospitale mondo.
A scoprire le due code attorno al pianeta extrasolare WASP-121 b o Tylos è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati canadesi del Trottier Institute for Research on Exoplanets (IREx) dell'Università di Montréal (UdeM), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Osservatorio Astronomico dell'Università di Ginevra (Svizzera), del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università Johns Hopkins (Stati Uniti), del Dipartimento di Fisica dell'Università di Oxford (Regno Unito) e altri istituti. I ricercatori, coordinati dal dottor Romain Allart, ricercatore presso l'istituto canadese, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver messo l'esopianeta nel mirino dello strumento NIRISS (Near Infrared Imager and Slitless Spectrograph) del Telescopio Spaziale James Webb. In parole semplici, hanno analizzato il viaggio di Tylos nella sua orbita per 37 ore, quindi per un tempo superiore a un'orbita completa.
I dati spettrografici nell'infrarosso evidenziano “un significativo assorbimento di elio a > 3 σ su quasi il 60% dell'orbita, rivelando un deflusso persistente e su larga scala”, spiegano il dottor Allart e colleghi nell'abstract dello studio. In pratica, hanno rilevato un segnale di fuga atmosferica, un fenomeno che può essere innescato da vari eventi in grado di “strappare” l'atmosfera da un pianeta. È esattamente ciò che ha trasformato Marte nell'arido Pianeta Rosso che conosciamo oggi e Venere – un tempo potenziale gemello della Terra – in un mondo infernale, con temperature di 464 °C sulla superficie a causa del mostruoso effetto serra.
La scoperta più significativa risiede nel fatto che il segnale di elio nell'orbita planetaria non è univoco, ma si separa “in una densa coda iniziale che si muove verso la stella” e in una “coda finale spinta via dalla radiazione stellare”. In pratica, una doppia coda. Il flusso di elio, seppur debole, si estende per oltre 100 volte il diametro del pianeta e abbraccia il 60 percento dell'orbita. Secondo gli esperti, la prima coda che curva innanzi al pianeta è probabilmente modellata dalla forza di attrazione gravitazionale della stella, mentre la seconda alle spalle di Tylos è modellata dal vento e dalla radiazione stellare. Tuttavia si tratta solo di ipotesi, dato che i modelli computerizzati attualmente in uso sono in grado di spiegare soltanto la seconda coda. “Questo è davvero un punto di svolta. Ora dobbiamo ripensare il modo in cui simuliamo la perdita di massa atmosferica: non solo come un semplice flusso, ma con una geometria tridimensionale che interagisce con la sua stella. Questo è fondamentale per capire come si evolvono i pianeti e se i pianeti giganti gassosi possono trasformarsi in rocce nude”, ha spiegato il dottor Allard in un comunicato stampa.
La fuga atmosferica dei pianeti è un fattore fondamentale per comprenderne meglio l'evoluzione di questi oggetti celesti; ad esempio, può aiutare i ricercatori a determinare perché alcune popolazioni di esopianeti sono comuni e altre meno, considerando le trasformazioni che un simile processo può portare nel corso di milioni di anni, fino al completo strappo dell'atmosfera. Anche il pianeta Mercurio ha una coda, ma la sua fluente struttura non è una classica coda da fuga atmosferica. Il primo pianeta del Sistema solare è infatti troppo piccolo e vicino al Sole per possederne una classica: la sua coda è generata dalla radiazione solare che strappa atomi di sodio dalla sua superficie craterizzata. I dettagli della ricerca “A complex structure of escaping helium spanning more than half the orbit of the ultra-hot Jupiter WASP-121 b” sono stati pubblicati su Nature Communications.