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Il cancro alla prostata può essere ucciso colpendo un solo enzima: speranze da test in laboratorio

Gli scienziati hanno scoperto che i pazienti con cancro alla prostata resistente ai trattamenti presentano livelli elevati di un enzima, una chinasi chiamata PI5P4Kα. In test di laboratorio è stato dimostrato che inibendola si uccidono le cellule tumorali. Speranze per una nuova terapia.
A cura di Andrea Centini
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Colpendo un singolo enzima è possibile uccidere il cancro alla prostata, anche nella forma resistente agli altri trattamenti, che rischia di diffondersi nel resto dell'organismo trasformandolo in una malattia mortale. La scoperta è ancora più significativa se si considera che l'enzima individuato dagli scienziati, chiamato fosfatidilinositolo-5-fosfato 4-chinasi (PI5P4Kα), potrebbe essere un bersaglio efficace anche nella lotta ad altre gravi e diffuse neoplasie, come tumori del pancreas, del seno e della pelle.

A scoprire che colpire il solo enzima PI5P4K (nell'isoforma α) può distruggere il cancro alla prostata è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Università di Berna, Berna (Svizzera) e del Sanford Burnham Prebys di La Jolla (Stati Uniti), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del New York Presbyterian Hospital, del Dipartimento di biomedicina dell'Università di Basilea, della Facoltà di Biologia e Medicina dell'Università di Losanna e di altri istituti. Gli scienziati, coordinati dai professori Mark A. Rubin e Brooke Emerling, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver notato che i pazienti con cancro alla prostata resistente al trattamento presentavano concentrazioni elevate dell'enzima PI5P4Kα.

Gli autori dello studio hanno specificato in un comunicato stampa che molti pazienti colpiti da cancro alla prostata possono essere trattati con efficacia grazie a trattamenti che riducono i livelli di testosterone. Questo perché le cellule tumorali di questa neoplasia, che colpisce poco meno di 40mila uomini ogni anno in Italia secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS), sfruttano il meccanismo di segnalazione degli ormoni sessuali maschili (androgeni) a proprio vantaggio per accrescersi e diffondersi. Ecco perché ridurli può funzionare. Ma non tutti i pazienti colpiti dal tumore alla prostata rispondono alla terapia ormonale. Si tratta di una circostanza estremamente spiacevole poiché in questi casi la neoplasia può innescare metastasi e diffondersi nel resto dell'organismo, con conseguenze letali.

Come indicato, i ricercatori hanno scoperto che i pazienti con la forma resistente presentano livelli elevati dell'enzima PI5P4Kα, per questo hanno intuito che potesse aiutare il tumore a svilupparsi e dunque rappresentare un significativo bersaglio terapeutico. Per confermarlo hanno condotto dei test in laboratorio (in vitro) con linee cellulari opportunamente modificate e topi geneticamente modificati, determinando che composti in grado di inibire questo enzima sono in grado di uccidere il cancro alla prostata. “La cosa notevole è che abbiamo trovato un enzima che può essere preso di mira contro il cancro alla prostata anche nei casi in cui i trattamenti che abbassano gli ormoni sono inefficaci o dove si è sviluppata resistenza”, ha dichiarato la professoressa Emerling. “Questo potrebbe darci un'arma completamente nuova contro il cancro alla prostata e altri tumori che si basano su questo enzima”, ha chiosato la scienziata.

È ancora troppo presto per parlare di farmaci e nuove terapie, tuttavia è stato definito un nuovo percorso estremamente promettente per colpire una delle forme di cancro più diffuse. Saranno necessari diversi altri studi per mettere a punto farmaci ad hoc e dimostrarne la piena sicurezza ed efficacia. Nel 2019 è stato comunque già approvato un inibitore PI3K – chiamato alpelisib – contro il cancro al seno, il primo del suo genere, pertanto non si può escludere si possa arrivare rapidamente ad altri composti affini efficaci contro il cancro alla prostata. I dettagli della ricerca “PI5P4Kα supports prostate cancer metabolism and exposes a survival vulnerability during androgen receptor inhibition” sono stati pubblicati sulla rivista ScienceAdvances.

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