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Covid 19

Gatto infettato dalla variante Delta: mutazioni simili a quelle viste nell’uomo

Attraverso il sequenziamento genomico è stato scoperto che un gatto è stato contagiato dalla variante Delta, ma il virus aveva poche mutazioni.
A cura di Andrea Centini
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Un gatto della Pennsylvania, negli Stati Uniti, è stato infettato dalla variante Delta (ex seconda indiana) del coronavirus SARS-CoV-2, prima che fosse soppiantata quasi ovunque dalla variante Omicron (B.1.1.529). Il felino, una femmina di 11 anni, più precisamente è stata contagiata da AY.3, una delle sottovarianti del lignaggio scoperto in India nel 2020. Si ritiene che il gatto sia stato infettato dal suo padrone, che aveva contratto la COVID-19 diversi giorni prima che la sua micia sviluppasse i sintomi. L'uomo si era totalmente isolato anche dalla gatta, dopo averla lasciata alle cure di un famigliare. Ma non è bastato a proteggerla. Dopo alcuni giorni, infatti, ha iniziato a manifestare problemi gastrointestinali come vomito e feci molli, oltre a letargia e inappetenza. Così è stata portata all'ospedale veterinario, dove le è stata diagnosticata l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2. A seguito del sequenziamento genomico di campioni fecali, è stato determinato che a infettarla era stata proprio la variante Delta. L'aspetto più significativo di questo studio risiede nel fatto che le sequenze del virus rilevate nel gatto non differivano in modo sensibile da quelle presenti nell'uomo, un dettaglio ritenuto promettente dai ricercatori.

A descrivere il caso del gatto infettato dalla variante Delta è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati della Scuola di Medicina Veterinaria dell'Università della Pennsylvania, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Scuola di Medicina Perelman e del Ryan Veterinary Hospital. Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Elizabeth M. Lennon, docente presso il Dipartimento di Scienze Cliniche e Medicina Avanzata dell'ateneo di Philadelphia, si sono concentrati sugli animali contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2 sin dall'inizio della pandemia. Com'è noto, infatti, il patogeno pandemico è in grado di infettare un gran numero di animali – secondo uno studio dell'Università della California di Davis sono oltre 400 i vertebrati suscettibili – e sono tante le specie coinvolte dalla fine del 2019. Oltre ai gatti, che risultano particolarmente esposti al rischio di contagio, sono stati trovati positivi anche cani, cervi (compresi i cervi dalla coda bianca selvatici), visoni, leoni, tigri, leopardi delle nevi, gorilla e molti altri ancora. Il rischio principale, secondo gli esperti, è quello di perdere totalmente il controllo del virus negli animali e dar vita a una cosiddetta panzoozia, in cui il virus circola in varie specie continuando a sviluppare mutazioni potenzialmente più pericolose.

È proprio per questa ragione che aver trovato un gatto con una variante Delta poco mutata rispetto a quella che colpisce gli uomini è una buona notizia. Può significare che il SARS-CoV-2 non sviluppa percorsi evolutivi particolari nei felini, pertanto non ci si dovrebbe aspettare l'emersione di varianti sensibilmente mutate e dunque più problematiche. “Quando abbiamo esaminato un campionamento casuale di sequenze umane dalla nostra area geografica, non c'era nulla di drammaticamente diverso nel campione del nostro gatto”, ha dichiarato la professoressa Lennon in un comunicato stampa. “Quindi, il nostro punto di partenza era che il gatto non era stato infettato da un virus che era in qualche modo molto diverso”, ha aggiunto la scienziata. Il virus, dunque, potrebbe mutare poco nei felini e questa è sicuramente un'ottima notizia per la gestione della pandemia, anche se al momento non è possibile confermare nulla, dato che si tratta solo di un caso. Va anche sottolineato che ad oggi non c'è alcuna evidenza scientifica che gatti positivi possano infettare le persone (mentre è vero il contrario), ma è comunque importante continuare a monitorare la circolazione del virus nelle altre specie per molteplici ragioni, dalla conservazione al potenziale rischio di nuove varianti e ulteriori spillover. I dettagli della ricerca “SARS-CoV-2 Delta Variant (AY.3) in the Feces of a Domestic Cat” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Viruses.

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