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Fare solo il digiuno intermittente non serve a niente, bisogna seguire delle regole: lo studio

Una ricerca ha dimostrato che per ottenere gli effetti del digiuno bisogna praticarlo per un periodo non inferiore ai tre giorni. Questo metterebbe in dubbio l’efficacia delle modalità di digiuno intermittente più diffuse: il parere del nutrizionista sui risultati dello studio.
Intervista a Pietro Mignano
Nutrizionista
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Quando si parla di alimentazione sana, il rischio di affidarsi a diete spacciate come miracolose, ma in realtà prive di ogni base medica o scientifica, è sempre dietro l'angolo. Eppure, fatta questa doverosa premessa, tra le "mode alimentari" più di tendenza degli ultimi anni, il digiuno sembra avere benefici oggettivi, a patto però di praticarlo sotto la guida di uno specialista. Anche sul digiuno esistono infatti molti falsi miti che potrebbero renderlo inefficace, e in alcuni casi, anche pericoloso.

A proposito di falsi miti sul digiuno, una nuova ricerca guidata da un team di ricercatori dell'Ospedale universitario della Charité di Berlino e dall'Università Queen Mary di Londra ha dimostrato che per avere un effetto sulla nostra salute, non limitato al solo dimagrimento, bisogna attendere almeno tre giorni dall'inizio della restrizione calorica totale. A Fanpage.it il nutrizionista Pietro Mignano ha spiegato quali sono i meccanismi che rendono il digiuno efficace e perché è necessario seguirlo sotto la guida di un medico.

I risultati dello studio

I ricercatori hanno seguito 12 volontari sani che hanno partecipato a un digiuno di sette giorni a base di sola acqua. Ogni giorno i volontari sono stati monitorati per registrare i cambiamenti nei livelli di circa 3.000 proteine nel sangue prima, durante e dopo il digiuno.

Da questa osservazione continua è emerso che dopo due o tre giorni di digiuno l'organismo cambia fonte di energia, passando dal glucosio ai grassi immagazzinati nel corpo. Alla fine del periodo di sette giorni i volontari avevano perso circa 5,7 chilogrammi, tra massa grassa e massa muscolare. Una volta concluso il digiuno, la massa magra è stata subito riguadagnata, ma non quella grassa.

Perché questo studio è diverso

Tuttavia, questo effetto del digiuno era stato già dimostrato da altri studi, mentre non era ancora molto chiaro come l'organismo risponda a periodi prolungati senza cibo e sugli eventuali effetti – benefici o negativi – che questo può avere sulla salute.

È su questo fronte che la ricerca, pubblicata su Nature Metabolism, si differenzia dalle precedenti sull'argomento. Per la prima volta i ricercatori hanno potuto servirsi di tecniche innovative per misurare migliaia di proteine circolanti nel sangue. In questo modo hanno potuto osservare in modo molto dettagliato come le molecole umane si adattano al digiuno.

I risultati hanno permesso di stabilire che il corpo subisce cambiamenti distinti nei livelli di proteine a partire dal terzo giorno di digiuno, e non prima, quando un terzo delle proteine hanno mostrato evidenti modifiche in tutti gli organi principali.

I dubbi sull'efficacia del digiuno intermittente

Se da una parte quindi questo studio fornisce un'ulteriore conferma delle potenzialità del digiuno, dall'altra mette in dubbio l'efficacia di pratiche, come il digiuno intermittente, che prevedono di azzerare l'apporto calorico per uno o due giorni.

"Per la prima volta siamo in grado di vedere cosa succede a livello molecolare nell'organismo quando si digiuna", hanno spiegato gli autori, che hanno ribadito come il digiuno, se praticato in modo sicuro, possa essere "un intervento efficace per la perdita di peso". Tuttavia, i risultati "erano visibili solo dopo tre giorni di restrizione calorica totale – più tardi di quanto pensassimo in precedenza".

Perché non bisogna fare da sé

"Quando si interrompe l'apporto calorico per più di qualche giorno si attiva un meccanismo specifico chiamato "chetosi": non ricevendo più l'energia attraverso l'alimentazione, il corpo la ottiene dallo spacchettamento delle cellule grasse, dalle quali si producono i chetoni, sostanze acide sintetizzate dal fegato a partire dalla massa grassa", spiega Mignano.

Il fatto che il digiuno permetta la chetosi non significa però che questo sia vero a ogni condizione. "Questo meccanismo non si riesce però ad attivare con un digiuno di 16 ore, come prevedono le forme di digiuno intermittente più comuni", ribadisce il nutrizionista confermando quanto affermato dallo studio appena pubblicato.

Sebbene ricerche come questa siano fondamentali per aumentare le nostre conoscenze sulla risposta del corpo al digiuno, sarebbe un errore interpretarli come un invito a praticare il digiuno: "È importante tenere sempre a mente che durante questo genere di studi tutti i partecipanti vengono monitorati costantemente, prima, durante e dopo l'esperimento: non bisogna mai improvvisarsi autodidatti quando si parla di digiuno".

I rischi del digiuno

Le evidenze scientifiche sugli effetti benefici del digiuno sono sempre di più, ma è importante contestualizzare tutte le informazioni: "È vero che il digiuno può essere un'ottima strategia per la salute, ma è altrettanto vero che non tutti siamo adatti o pronti a farlo. I rischi aumentano se si prova il digiuno senza il consiglio di un medico, magari per un effetto di emulazione. In questi ultimi anni, anche a causa dei social, il digiuno intermittente è diventato una specie di moda, eppure le conseguenze potrebbero essere molto serie", prosegue Mignano.

Se praticato in modo inadeguato, il digiuno può avere effetti collaterali a breve e a lungo termine. "Soprattutto chi è abituato a un'alimentazione ricca di zuccheri, i primi giorni può sperimentate diversi problemi come affaticamento, cali di pressione, vertigini, e se questi si verificano senza che ci sia la supervisione di un medico, la persona può mettere davvero a rischio la propria salute", spiega l'esperto. Inoltre, seguire il digiuno senza la giusta preparazione e il necessario supporto di uno specialista può innescare meccanismi psicologici a rischio, che potrebbero anche portare a mettere in atto comportamenti tipici dei disturbi alimentari.

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