video suggerito
video suggerito

Alzheimer, i farmaci anti HIV associati a una “riduzione sostanziale” del rischio: possibile svolta

Un team di ricerca statunitense ha determinato che i farmaci NRTI contro l’HIV (e l’epatite B) sono fortemente associati a una riduzione “significativa e sostanziale” delle probabilità di ammalarsi di Alzheimer. Potrebbero prevenire 1 milione di casi della diffusa forma di demenza ogni anno.
A cura di Andrea Centini
13 CONDIVISIONI
Immagine

I ricercatori hanno trovato una fortissima associazione tra i farmaci contro le infezioni da HIV – il virus responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) – e una “sostanziale e significativa” riduzione del rischio di Alzheimer, la più diffusa forma di demenza al mondo. La classe di farmaci coinvolta è quella degli inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI), che hanno cambiato il paradigma nella lotta all'AIDS, trasformandolo da malattia letale senza speranze a una condizione cronica con la quale è possibile convivere per lungo tempo. Ma non solo. Gli NRTI sono efficaci anche contro l'epatite B, poiché il patogeno responsabile – il virus dell'epatite B (HBV) – sfrutta un meccanismo di replicazione analogo a quello dell'HIV basato sull'enzima della trascrittasi inversa, che è proprio quello colpito da questi farmaci. Di fatto, gli NRTI bloccano la replicazione virale – e dunque la diffusione dell'infezione nell'organismo – infiltrandosi nel codice genetico dei patogeni.

Gli autori del nuovo studio avevano scoperto che gli NRTI, oltre a contrastare la replicazione dei virus, agiscono come inibitori degli inflammasomi impedendone l'attivazione. Si tratta di proteine del sistema immunitario innato strettamente coinvolte nella risposta infiammatoria, promuovendo la produzione di citochine, interleuchine e altre molecole affini. In pratica questi farmaci prevengono anche il processo di infiammazione. Poiché la neurodegenerazione del morbo di Alzheimer è legata anch'essa a un processo infiammatorio, legato ad esempio all'accumulo di “proteine appiccicose” nel cervello come placche di beta-amiloide e grovigli di tau, gli scienziati hanno ipotizzato che gli inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa avrebbero potuto avere efficacia preventiva anche contro la principale forma di demenza, i cui casi triplicheranno entro il 2050 secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), arrivano a circa 150 milioni in tutto il mondo. È esattamente ciò che è emerso dal nuovo studio; gli NRTI risultano fortemente associati a una riduzione del rischio di Alzheimer.

A determinarlo è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati della Scuola di Medicina dell'Università della Virginia, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di vari istituti. Fra quelli coinvolti il Dorn Research Institute – Columbia VA Health Care System e l'Università di Yale. I ricercatori, coordinati dal professor Jayakrishna Ambati del Centro per la scienza avanzata della visione e del Dipartimento di Oftalmologia dell'ateneo di Charlottesville, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato statisticamente due grandi database clinici di veterani militari: quello della US Veterans Health Administration (con 24 anni di dati) e il MarketScan legato alle assicurazioni sanitarie, con 14 anni di dati. I pazienti coinvolti erano prevalentemente maschi bianchi con un'età di almeno 50 anni. Il professor Ambati e colleghi si sono concentrati su quei pazienti che assumevano NRTI per HIV ed epatite B, mettendo a confronto il tasso di incidenza di Alzheimer tra questa coorte e in coloro che non erano trattati con la classe di farmaci. In tutto sono stati coinvolti i dati di 270.000 persone.

Incrociando tutte le informazioni è emerso chiaramente che nei due database la riduzione del rischio di Alzheimer per chi assumeva NRTI era del 6 e del 13 percento, eliminando tutti i fattori confondenti che potevano esacerbare il rischio di demenza. La riduzione delle probabilità di ammalarsi di Alzheimer in chi assumeva quei farmaci è stata definita "sostanziale e significativa" da parte degli autori dello studio. “Si stima che oltre 10 milioni di persone in tutto il mondo sviluppino il morbo di Alzheimer ogni anno. I nostri risultati suggeriscono che l'assunzione di questi farmaci potrebbe prevenire circa 1 milione di nuovi casi di morbo di Alzheimer ogni anno”, ha affermato il professor Ambati in un comunicato stampa.

I ricercatori non si sono limitati a testare gli NRTI già disponibili, ma ne stanno sviluppando una versione evoluta – chiamata K9 – che attualmente è già in sperimentazione clinica, ovvero viene testata sull'uomo. La speranza è che questi farmaci possano abbattere in modo significativo il rischio di ammalarsi di una delle patologie più gravi dal punto di vista dell'impatto sanitario, sociale ed economico. Sottolineiamo che siamo innanzi a uno studio di osservazione e saranno necessarie indagini più approfondite (randomizzate, in doppio cieco e con placebo) per determinare l'efficacia degli NRTI e della loro evoluzione K9. Anche la popolazione coinvolta deve essere ampliata sensibilmente. Gli scienziati sono comunque estremamente fiduciosi dei risultati emersi. I dettagli della ricerca “Association of nucleoside reverse transcriptase inhibitor use with reduced risk of Alzheimer's disease risk” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Alzheimer's & Dementia.

13 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views