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Il paese a suffragio universale condizionato

La decisione del Presidente della Repubblica di domenica sera ha inoculato nei cittadini la convinzione che il contesto economico italiano sia immutabile e indiscutibile, come un dogma di fede e non, invece, una legittima scelta politica da confermare ma anche cambiare radicalmente, se necessario. Non stupiamoci se alle prossime elezioni l’astensione salirà alle stelle. “A cosa serve votare, se nulla può cambiare?”, è la domanda che si stanno facendo milioni di persone in questi giorni.
A cura di Davide Falcioni
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Non è più utile – e nemmeno particolarmente interessante – discutere sulla legittimità della decisione del Presidente della Repubblica di non nominare Paolo Savona al Ministero dell'Economia, decisione che avrebbe fatto esplodere quella che alcuni osservatori definiscono la "più grave crisi politica della storia della Repubblica". E' poi superfluo tirare per la giacchetta questo e quel costituzionalista, per lo più allo scopo di rafforzare le proprie tesi o smontare quelle altrui. E' evidente che non è questo il punto, e che per ogni docente di diritto costituzionale "critico" se ne può trovare un altro favorevole alla decisione di Mattarella. Il dibattito sugli aspetti "procedurali" appassiona fino a un certo punto e tutto sommato toglie spazio ad altre riflessioni probabilmente più importanti.

Dovremmo infatti ragionare delle conseguenze politiche: del racconto vittimista messo già in campo da Lega e Movimento Cinque Stelle pochi minuti dopo la rinuncia di Conte all'incarico di Presidente del Consiglio; dell'aver regalato alla destra italiana la battaglia anti-establishment (paradossale, per chi propone la flat tax);  del fatto che Matteo Salvini stia diventando agli occhi di moltissimi il Don Chisciotte della politica italiana (e Di Maio il suo fedele Sancho Panza); di come la proposta di opposizione messa in campo dal Partito Democratico non sia che la strenua difesa di uno status quo che fa oggettivamente schifo. Per finire della totale assenza a sinistra di una posizione univoca e chiara sulla moneta unica (oltre che della totale assenza di una proposta di sinistra che sia in grado di ottenere qualche milione di voti).

Ma soprattutto, ed è la cosa più grave, la decisione di domenica sera del Presidente della Repubblica ha introdotto nell'opinione pubblica l'idea che l'Italia sia un paese a "sovranità condizionata": condizionata agli umori "dei mercati", dello spread, degli investitori, dei risparmiatori. Che l'Italia sia dunque un paese in cui il suffragio universale, introdotto solo nel 1946 con le prime elezioni aperte alla partecipazione femminile, si possa esercitare non solo dentro un quadro di regole scritte nella Costituzione (sacrosanto), ma anche in un contesto economico – quello del liberismo – immutabile e indiscutibile, come fosse un dogma di fede e non invece una legittima scelta politica. Una scelta da confermare, rinnovare, ma anche cambiare, se necessario. Aver inoculato nei cittadini italiani la convinzione che questo stato di cose, strettamente collegato al loro malessere, sia immutabile è la vera grande responsabilità di Mattarella. Non ci stupiamo se alle prossime elezioni andrà a votare poco più della metà degli aventi diritto. Stavolta la retorica sul "dovere degli elettori per cambiare le cose" non avrà nessun effetto.

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