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Guerra al terrore, perché l’Is conquista nuovi territori e l’Occidente sta a guardare

L’esecuzione di Peter Kassig rappresenta l’ultimo efferato omicidio delle forze di al-Baghdadi. Forti di armi e fondi, i miliziani basano la loro strategia del terrore sull’utilizzo sapiente dei social network e non solo…
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Armati fino ai denti. Determinati. Disciplinati. E pronti alla morte. Questa è la carta d'identità dei miliziani dell'Is (lo stato islamico noto in precedenza anche con le sigle Isis e Isil), che combattono in Iraq e Siria, mettendo a ferro e fuoco intere porzioni di territorio, devastando culture millenarie e uccidendo senza alcuna pietà ostaggi occidentali e i cittadini locali che osano contrastare l'avanzata delle milizie islamiste fedeli all'autoproclamato califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Uno degli elementi che emerge con più forza dai due principali fronti aperti, cui si deve necessariamente aggiungere quello turco-curdo, riguarda l'elevato grado di preparazione militare dei combattenti dell'Is. Pensare, come ancora molti fanno, che ci si trovi davanti ad un manipolo di invasati che desiderano solo la morte degli infedeli distorcendo per questo fine il messaggio del Corano, rappresenta un errore marchiano.

I jihadisti impiegati nei combattimenti contro le forze regolari irachene e siriane, supportate queste ultime da un numero crescente di tribù locali, rappresentano un avversario di primo livello sia sul piano tattico che su quello della propaganda. Secondo quanto dichiarato da Fuad Hussein, Capo di Stato Maggiore di Massoud Barzani Presidente della regione curdo irachena, i militanti della formazione islamista al momento conterebbero su una forza attiva pari a più di 200mila unità, circa sei volte più grande di quanto stimato dagli analisti della Cia nelle scorse settimane.

L'avanzata dell'Is

La crescita straordinaria degli effettivi al servizio di al-Baghdadi è dovuta sia all'eccezionale capacità economica dell'Is di attrarre e addestrare nuove leve e alla sua presenza invasiva sui social network. Attraverso le piattaforme digitali e il passparola più tradizionale, i miliziani dell'Is propagandano la vita all'interno della struttura che ha come obiettivo dichiarato quello di ricreare il califfato islamico e di prendere Roma. Al momento gli estremisti in nero controllano circa 250mila chilometri quadrati di territorio – tra Iraq e Siria –, abitati da una popolazione compresa tra i 10 ed i 12 milioni di persone. In questo bacino così ampio, dove la l'indice di povertà è estremamente alto così come quella della mortalità infantile, la propaganda aggressiva ed estrema dei miliziani fa facilmente breccia tra le centinaia di giovani provenienti da quei territori, che decidono di entrare a far parte delle fila dell'Is per intraprendere una strada di lotta e riabilitazione. Strada, è più che opportuno sottolineare, che distorce il messaggio del profeta Muhammed e compie un vero e proprio lavaggio del cervello a chi ne entra a far parte.

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Il fanatismo religioso e i reclutamenti di massa, tuttavia, non sono sufficienti a spiegare perché l'esercito fondamentalista sia stato capace di mettere in scacco e in molti casi sconfiggere gli eserciti regolari, armati ed addestrati dalle potenze occidentali. “La capacità di conquistare e soprattutto mantenere i territori conquistati dimostra come le forze jihadiste siano capaci non solo di reclutare nuove forze, ma soprattutto di essere capaci a difendere i successi sul campo – ha spiegato all'Independent Hussein –. In Kurdistan, nel solo ultimo mese, i miliziani di al-Baghdadi sono stati capaci di attaccare sette differenti postazioni tra cui i centri maggiori di Ramadi e Anbar. Questo denota una capacità organizzativa, una preparazione militare e un equipaggiamento di ottimo livello. Quello che a volte non è chiaro in occidente è che stiamo parlando di una forza che ha fondamenta politiche, ideologiche e militari salde. Questo significa, ad esempio, che i jihadisti impongono a tutti di imparare ad utilizzare il fucile e allo stesso tempo ad avere un'educazione di fatto eterodiretta e quindi indirizzata. Per chi li conosce è chiaro che quei miliziani combatteranno fino alla morte e risultano essere ancora più letali per il loro ottimo training militare fatto di competenza, coraggio e disciplina”.

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Grazie a queste caratteristiche, secondo l'opinione più diffusa tra gli esperti di Medio Oriente, le forze di al-Baghdadi sono stati capaci di reclutare costantemente nuove forze anche in Occidente e, successivamente, di addestrarle per i combattimenti veri e propri. In questo quadro così delineato gli sforzi dell'occidente sembrano al momento quasi irrilevanti al fine di cambiare le sorti del conflitto. L'invio di droni e caccia per la ricognizione aerea, e in alcuni casi per l'attacco, non ha sortito al momento gli effetti desiderati. Così come la strategia di utilizzare prevalentemente le formazioni di combattenti locali, sia gli eserciti regolari iracheno che le forze siriane “moderate”, sembra aver contribuito solo a contenere nel migliore dei casi l'avanzata dell'Is ma non a contrastare la sua presenza sul territorio che in aree come Aleppo, Mosul e al-Raqqa, domina. L'annuncio, avvenuto la settimana scorsa, da parte del Presidente Usa Barack Obama di aver autorizzato il raddoppiamento delle forze presenti in Iraq (passate da 1.400 a circa 3.100 truppe presenti in Mesopotamia) rappresenta un primo chiaro segnale che anche a Washington l'analisi dello scenario sta cambiando così come le strategia per contrastare l'avanzata dei miliziani jihadisti. A rafforzare l'ipotesi che in tempi relativamente brevi si assisterà al ritorno degli anfibi occidentali in terra Mediorientale è anche Martin E. Dempsey, Capo di Stato Maggiore Usa, che in un'audizione davanti al Congresso statunitense ha affermato che al fine di sconfiggere l'Is sarebbe necessario l'invio di almeno 80mila soldati.

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