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Wikileaks rivela la strategia Usa per destabilizzare Chavez nel 2006

Milioni di dollari elargiti dal governo statunitense a favore di centinaia di Ong locali venezuelane, che dovevano produrre dossier di ogni tipo per screditare il chavismo: dalle violazioni dei diritti umani alla situazione delle carceri, passando per le barriere architettoniche e la raccolta dei rifiuti nelle città. L’obiettivo? Strappare consensi alla Rivoluzione Bolivariana e permettere alla destra di vincere le elezioni.
A cura di Davide Falcioni
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Quando mancano sei giorni alle elezioni che decreteranno il successore di Hugo Chavez – con il candidato di sinistra Maduro in vantaggio nei sondaggi rispetto a Capriles – Wikileaks pubblica un "cable" segreto, rivelatore di quelle che furono le strategie degli Stati Uniti tra il 2004 e il 2006 per destabilizzare il Venezuela e fermare la "rivoluzione bolivariana". Il "piano" venne resocontato dall'allora ambasciatore americano a Caracas William Brownfield il 9 novembre del 2006 e comprendeva cinque punti: penetrare la base politica di Chavez, dividere il chavismo, rafforzare le istituzioni democratiche, proteggere gli affari statunitensi e isolare Chavez a livello internazionale. Per eseguire il progetto, l'ambasciatore si sarebbe servito dell'Agenzia statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID) e dell'Ufficio di Iniziative di Transizione (OTI), due delle più prestigiose agenzie che lavorano all'estero per conto degli Stati Uniti: fondamentale sarebbe stata l'influenza sulla società civile che – come scrisse Brownfield – "non è ancora sotto il pieno controllo di Chavez". L'obiettivo finale sarebbe stato influenzare le elezioni politiche del dicembre 2006 (un mese dopo la redazione del documento) che tuttavia – per la cronaca – videro un nuovo successo di Chavez.

Scrive l'ambasciatore: "L'Oti ha sostenuto più di 300 organizzazioni della società civile venezuelana fornendo assistenza tecnica, sviluppando le capacità e sostenendo il collegamento con altri movimenti internazionali: l'investimento è stato di 15 milioni di dollari". A ciò si aggiunga un piano per il sostegno di Freedom House, organizzazione per la difesa dei diritti umani che ha ricevuto 1,1 milioni di dollari. Altri 726mila sono andati a finanziare altre 22 associazioni più piccole: il fine era quello di ricercare e documentare i casi di violazioni dei diritti umani, con particolare attenzione per le condizioni dei detenuti nelle carceri. Ma l'ingerenza degli Stati Uniti è andata ulteriormente avanti, sostenendo centinaia di Ong e promuovendo progetti di ogni tipo atti a far emergere le falle della rivoluzione bolivariana intrapresa da Chavez: tre di questi, a titolo esemplificativo, miravano a denunciare le difficoltà dei portatori di handicap a Caracas e ad abbattere tutte le barriere architettoniche; altri ancora puntavano a denunciare la mancata raccolta dei rifiuti nei quartieri delle grandi città. In generale, ogni imperfezione dell'amministrazione chavista venne presa a pretesto per creare scredito.

Stando a quanto scritto dall'ambasciatore statunitense, l'Oti tentò in tutti i modi di arginare la Rivoluzione Bolivariana. Lo fece, tra l'altro, anche promuovendo un progetto di "educazione civica" denominato "La democrazia in mezzo a noi", che operava tramite associazioni situate in comunità a basso reddito: lo scopo, chiaramente, era quello di togliere a Chavez fette importanti del suo elettorato, tradizionalmente forte tra i lavoratori e i poveri venezuelani. "L'Oti – scrive William Brownfield – sostiene le Ong locali che lavorano nelle roccaforti chaviste ed ha raggiunto non meno di 238mila persone, promuovendo borse di studio per un totale di 1,1 milioni di dollari, nel tentativo di strappare le comunità al chavismo".

Come spiegato, uno degli scopi dell'amministrazione statunitense era quello di screditare il Venezuela a livello internazionale, perché le idee della Rivoluzione Bolivariana non rischiassero di espandersi anche all'estero. Per questo i membri delle Ong venivano frequentemente invitati in tutto il mondo a tenere convegni: naturalmente nessuno di loro tesseva le lodi di Chavez. Al contrario, invece, venne costruita l'immagine di un leader autoritario: non a caso anche in Italia è stato a lungo dipinto come un dittatore, soprattutto all'indomani della sua morte, quando molti media lo dipinsero come un "caudillo". Il cable pubblicato da Wikileaks è rivelatore del modo con cui gli Stati Uniti si sono approcciati al Venezuela. E probabilmente non c'è ragione per credere che questi "metodi" siano utilizzati anche oggi, a 7 anni di distanza, nei confronti di quei governi non particolarmente amici degli Usa.

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