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“Test nucleari Usa? Forse tra due anni, e limitati”. Ma sarà escalation: il parere dell’esperto

Fanpage.it ha parlato con scienziati militari, fisici nucleari e analisti: “Dovevamo reagire alla corsa al riarmo di Cina e Russia”, spiega Robert Peters di Heritage. L’ingegnere del poligono atomico Paul Dickman: “Per i test ci vorranno tempo e molti soldi”. Il fisico di SIPRI Vitaly Fedchenko: “Sdoganare quelle esplosioni è folle, chiedetelo a chi ne ha vista una”.
A cura di Riccardo Amati
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L’ordine di Donald Trump di far riprendere i test sulle armi nucleari negli Usa dopo oltre trent’anni è una risposta allo sfoggio di super-armi da parte di Vladimir Putin, genera pressione nei confronti di Pechino e asseconda i desideri dell’ala destra nell’amministrazione americana. I test saranno limitati. Per disporli occorreranno tempo e investimenti.

Chi spera che possano costituire una leva per proporre nuovi accordi di controllo, contenimento e trasparenza, rischia di rimaner deluso: la retorica da Strangelove che imperversa da Mosca a Washington e lo sforzo nucleare della Cina rendono probabile una escalation. La follia della minaccia nucleare come strumento di politica estera è tornata a prevalere. E, per inciso, manca un Peter Sellers che renda palpabile quanto tutto questo sia grottesco.

Test, minacce e diplomazia

“Russia e Cina sono in piena corsa al riarmo, e noi finora non abbiamo risposto in alcun modo”, dice a Fanpage.it Robert Peters, Senior Research Fellow per la deterrenza strategica presso il think tank conservatore americano Heritage. “La decisione del presidente Trump dimostra volontà di accettare la sfida e credibilità, per convincere Mosca e Pechino di non cercar di soggiogare o intimidire gli Stati Uniti e i loro alleati”. Peters, esperto di controllo degli armamenti, ha ricoperto ruoli chiave nelle agenzie governative Usa, contribuendo a trattati e strategie nucleari.

L’ordine di Trump segue gli annunci in rapida successione di Putin sui test riusciti sulle sue wundervaffen, il missile Burevestnik e il drone sottomarino Poseidon. Non erano test nucleari. Si è collaudato il vettore, non le testate. Ed erano previsti. Ma la tempistica e il tono dello zar ne hanno fatto una reazione esplicita alla minaccia statunitense di fornire missili Tomahawk all’Ucraina e all’ennesima inversione a “U” della narrazione di The Donald riguardo alla Russia.

Ma non c’è solo la Russia. Il post del capo della Casa Bianca arriva subito dopo il suo incontro col presidente della Cina, Xi Jinping: “Potrebbe esserci sotto una strategia negoziale, per rafforzare la posizione strategica e diplomatica di Washington in una fase cruciale delle relazioni con Pechino”, spiega a Fanpage.it Vitaly Fedchenko, fisico nucleare in forza al programma Weapon of Mass Destruction dello Stokholm International Peace Research Institute (SIPRI). L’ultima volta che gli Usa ventilarono la possibilità di riprendere a sperimentare la bomba fu proprio nel contesto di trattative con la Cina, nel maggio 2020. Fedchenko non sembra credere a una coincidenza.

Pechino nel mirino

In effetti, nel criptico post di Trump si parla di test “su base paritaria” rispetto a potenze nucleari non menzionate. Si tratta non solo della Russia ma anche della Cina. Gli Stati Uniti spesso definiscono il loro approccio nucleare in termini “paritari” riferendosi a Russia e Cina. La Cina sta da tempo rimodernando ed espandendo il suo arsenale atomico, puntando su vettori ipersonici.

Secondo SIPRI, al momento Pechino dispone di 600 testate nucleari contro le 5.459 della Russia e le 5.177 degli Usa. Dal 2023 le aumenta di cento unità all’anno. Sta completando 350 nuovi silos per missili balistici intercontinentali. Secondo il Dipartimento della guerra Usa, Pechino vuol superare le mille testate entro il 2030 e arrivare a 1500 nel 2035. Il governo cinese, afferma di voler solo una “forza minima di deterrenza”. Nessuna corsa agli armamenti, ufficialmente.

La lobby dei missili

La mossa di Trump ha anche motivi di politica interna. Da tempo gli estremisti all’interno della maggioranza repubblicana e della stessa amministrazione fanno pressione per un ritorno ai test nucleari. A spingere, le lobby delle industrie legate agli armamenti e ai missili intercontinentali (ICBM). Un rapporto del Quincy Institute, think tank americano che si oppone all’influenza del complesso industriale militare sulla politica estera Usa, racconta come gli interessi economici di attori molteplici influenzino le decisioni sulla deterrenza strategica.

Nell’era del populismo, si cerca di convincere ad amare la bomba non solo chi prende le decisioni ma anche i cittadini qualsiasi. Il sottosegretario per il Controllo delle armi e la Sicurezza internazionale del governo americano Tom Di Nanno, in un articolo per l’Istituto Hudson — su posizioni opposte a quelle del Quincy — insiste su quanti soldi i contribuenti Usa stiano “buttando via” per sostenere l’Organizzazione del Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty (CTBTO), e attacca “la sua visione datata e dogmatica secondo cui meno test nucleari corrispondono a una minor proliferazione”.

Vincoli giuridici

In realtà, il CTBTO, firmato da 187 Stati compresi gli Usa che poi non lo hanno mai ratificato, è centrale nel quadro del disarmo e della non proliferazione. Fornisce la cornice giuridica per il divieto dei test atomici ed è stato osservato da tutti fin dal 1998. Eccezione fatta per la Corea del Nord. I cui sette test sono stati subito rilevati grazie al sistema di verifica IMS, implementato dall’organizzazione attraverso 300 stazioni in 90 Paesi.

Alle intenzioni dichiarate da Donald Trump, il segretario esecutivo CTBTO, l’australiano Rob Floyd, ha risposto che il trattato vieta ogni esplosione nucleare e che “un test esplosivo da parte di qualsiasi Stato sarebbe dannoso e destabilizzante per la non proliferazione globale”.

Se gli Stati Uniti decidessero di ritirare la firma, per l’organizzazione di Floyd sarebbe forse la condanna a morte. Trump resterebbe però vincolato da altre norme di diritto internazionale. Il Treshold Test Ban Treaty (TTBT) del 1974, ferma a 150 chilotoni (dieci volte Hiroshima) la potenza dei ‘collaudi’. Il Trattato di Mosca (PTBN) del 1963, permette solo test sotterranei. Limiti non da poco.

Robert Peters di Heritage
Robert Peters di Heritage

Limiti tecnici e logistici

La ripresa dei test nucleari Usa “non sarà un impresa rapida, né a buon mercato”, commenta a Fanpage.it Paul Dickman, presidente del World Council on Isotopes: “Gli Stati Uniti, insieme a Russia e Cina, hanno sempre mantenuto un livello di prontezza tale da consentire la ripresa di test nucleari. Ma queste prove richiedono complesse misure ingegneristiche per evitare rilasci radioattivi: necessitano di pianificazione accurata, progettazione tecnica e personale altamente specializzato”.

Dickman, scienziato veterano del governo Usa, ha prestato servizio a lungo al Nevada Test Site. È qui che potrebbero avvenire i futuri collaudi di armi nucleari. “Non ci sono altre installazioni in grado di sopportare i test”, afferma. Il sito attualmente ospita programmi legati alla sicurezza nucleare e alla sperimentazione. Vi lavorano oltre 2.000 persone. “Ma per riprendere le attività di test sarà necessario assumere e formare molte altre figure specializzate”, precisa.

E il materiale di fissione dovrebbe essere “riqualificato”. “La composizione isotopica del plutonio, per esempio, cambia nel tempo”, sottolinea Fedchenko. In pratica invecchia. “È necessario riportarlo alla piena funzionalità”. In assenza di test la National Nuclear Security Administration ha visto come farlo grazie a data modeling e simulation modeling. Ma spesso realtà è altro.

Intanto, lo Stato del Nevada si è già detto contrario all’idea del presidente. Anche questo può diventare un limite.

Tra speranze e illusioni

Il rilancio della “Strangelove diplomacy” da parte di Putin — che ormai la propone ogni volta che deve ingoiare un rospo — e Trump potrebbe preludere a un riavvio della diplomazia della non proliferazione, sostengono alcuni osservatori. Come ai tempi di Ronald Reagan: voce grossa e guerre stellari per far la pace “attraverso la forza” e puntare al disarmo.

D’altra parte, solo tre settimane fa la Russia proponeva di allungare di un anno il moribondo trattato New Start e gli Usa si dicevano interessati. Speriamo che gli ottimisti abbiano ragione, ma c’è da dubitarne.

Le prove, appena fornite dal governo ucraino, che Mosca stia utilizzando nella sua invasione il missile 9M729 che servì da scusa a Trump per uscire il trattato INF sui missili a raggio intermedio, e di cui il Cremlino ha sempre negato l’operatività, la dice lunga sul livello di reciproca fiducia.

Nel nostro tempo

È che a Washington e a Mosca oggi regnano personaggi antitetici a quelli dei primi anni ’90. Allora, “il più democratico dei repubblicani”, l’ex attore Reagan e il visionario involontario che diede la libertà ai russi, l’apparatchik di campagna Mikhail Gorbachev, avevano capito che non si poteva andare avanti così: la corsa ai megatoni doveva finire. E finì.

Ma Putin è un autocrate, e Trump sembra aspirare a esserlo. Gli autocrati tendono a investire pesantemente in armamenti per mantenere il controllo interno, proiettare potere all’estero e consolidare la loro legittimità. Lo dice la Storia. Non fa eccezione Xi Jinping, intento a consolidare la posizione della Cina come potenza globale.

Alla ripresa degli esperimenti dal vivo sulle armi nucleari da parte degli americani seguirebbero passi analoghi da parte di russi e cinesi, ha avvertito nel febbraio scorso il think tank di Washington Stimson. Senza alcun vantaggio strategico per gli Usa, che hanno già una documentazione completa (oltre 1000 test passati) e capacità di simulazione.

‘Come ho imparato ad amare la bomba”

Fatto sta che la “dimensione nucleare”, come la chiamano i politologi di Putin, sembra ormai sdoganata. In Russia, da almeno sei o sette anni, come sa bene chiunque abbia avuto modo di seguire qualche talk show sulle tivù di Stato o di leggere i giornali del regime. In Occidente, dopo l’arrivo al potere dei partiti populisti e delle destre pro-autocrazie.

Robert Peters e Leo Keay sul sito di Heritage affermano che una guerra nucleare limitata è un’opzione da prendere tranqullamente in considerazione perché non metterebbe a rischio il mondo. Il Time spiega che gli esiti di un conflitto termonucleare globale sarebbero sì disastrosi ma non apocalittici. E magari al bar vi sentite dire che “insomma, Hiroshima e Nagasaki sono ancora lì”.

“Sono ragionamenti pericolosi”, conclude lo scienziato SIPRI Fedchenko. “Chi è stato testimone di esplosioni nucleari non dirà mai simili stupidaggini. Avrà sempre un’opinione molto chiara in merito: mai più”. Tutti gli ingegneri e i tecnici che negli anni ’60 e ’70 hanno partecipato a test sulle armi nucleari sono poi diventati paladini del disarmo globale. Ci sarà pure un motivo.

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