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Guerra in Ucraina

“Stavolta gli aggressori siamo noi”: le voci dei russi contro Putin dalla parata del Giorno della Vittoria

Alla parata del 9 maggio il Cremlino intreccia memoria storica e retorica bellica: stretta con Xi, assenza di Modi, applausi dai “non ostili” e reclutamenti per l’Ucraina tra le foto dei caduti. Ma c’è chi rifiuta di marciare con gli “immortali” di una guerra molto diversa. L’intellettuale Kolesnikov: “Il regime ha privatizzato le celebrazioni per i suoi scopi politici”.
A cura di Riccardo Amati
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Dieci minuti appena di discorso, toni severi ma non minacciosi, niente invettive contro l’”Occidente collettivo”, che poi collettivo non è più da quando Trump è tornato alla Casa Bianca. È un Vladimir Putin insolito quello che sotto le mura del Cremlino si è rivolto agli 11.500 soldati che hanno partecipato alla parata per l’80° anniversario della vittoria sovietica contro Hitler.

La pacatezza del capo della Russia è forse stata una gentile concessione agli ospiti stranieri, leader di Paesi “non ostili” ma non necessariamente contrapposti alla Occidente, ai quali ha voluto evitare imbarazzi diplomatici. Più probabilmente, una pacatezza a gentile richiesta del più grande assente, Donald Trump. Che — almeno per ora — è tutt’altro che ostile e spera ancora di sbloccare le trattative per la pace in Ucraina, arenatasi sull’intransigenza di Mosca. Col più grande presente, il presidente cinese Xi Jinping, Putin aveva parlato per ore prima della kermesse sulla Piazza Rossa. Rilanciando la “partnership no-limits” con Pechino. Sul palco d’onore, 27 capi di Stato e di governo. Alcuni, di Paesi non riconosciuti dalla comunità internazionale. Altri di Paesi importanti: c’era il presidente del Brasile Lula. Il primo ministro indiano Modi però ha dato forfait. Assenza pesante. Unico pezzo grosso dell’Unione Europea, il primo ministro della Slovacchia, Fico. Con lui, anche il serbo Vucic.

A sfilare a fianco dei russi, i militari di altri 13 Paesi. La compagine più numerosa, quella cinese: oltre 100 effettivi. Non c’erano i nordcoreani che hanno combattuto nella oblast di Kursk. Putin ha abbracciato e ringraziato l’inviato di Pyongyang, al termine della cerimonia. Tra misure di sicurezza imponenti, con drastiche restrizioni per le comunicazioni su telefonini e su internet, è tornato a marciare anche il “Reggimento immortale”. Sono i discendenti dei caduti nella Grande guerra patriottica, come i russi chiamano la Seconda guerra mondiale. Portano le foto dei loro morti. Non c’è famiglia in Russia che non abbia piano un veterano del conflitto contro i tedeschi. Il governo ne approfitta per promuovere la  narrativa secondo cui il conflitto in Ucraina come una continuazione di quella lotta contro Hitler. Si omette che le lacrime non furono solo delle famiglie russe. Fu tutta l’Unione Sovietica a piangere i suoi eroi. Ucraina compresa.

“Non marcerò mai più con gli immortali’, dice a Fanpage.it Ivan, 45 anni, professore di liceo moscovita. “In passato l’ho fatto, con la foto di mio nonno, caduto a Stalingrado. Il 9 maggio era sacro, per noi russi. Serviva a ricordare, a riconoscersi, a dire al mondo ‘mai più’. Il regime ha sporcato il Giorno della vittoria. Se ne serve per giustificare un’altra guerra. E stavolta gli invasori siamo noi”. Fyodor di anni ne ha 84. Ingegnere aerospaziale, dopo la caduta dell’Urss ha dovuto fare il tassista. Poi il vasaio. Continua tuttora a lavorare la ceramica. Quattrocento euro al mese di pensione. Rimpiange i tempi sovietici: “Eravamo poveri ma il lavoro era sicuro, e con nove rubli potevi invitare gli amici al ristorante e fare una bella festa” ,ricorda al telefono da Mosca. Non si ricorda però  di suo padre, caduto sul fronte di Bryansk. “La guerra è una cosa orribile, la festa del 9 maggio dovrebbe essere dedicata alla pace”. Fyodor vota Partito comunista. Si sente comunista, anzi ‘sovietico’. Non potrebbe votare altro. Anche se il Partito comunista russo sostiene in pieno Putin. Come tutti i partiti rappresentati in Parlamento.

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“Putin ha privatizzato le celebrazioni del 9 maggio”, commenta a Fanpage.it Andrei Kolesnikov. Giornalista famoso, continua a criticare il regime da Mosca sul giornale online più o meno ‘pirata’ con cui il premio Nobel Dmitry Muratov ha riportato in vita come un’araba fenice la sua gloriosa Novaya Gazeta, chiusa dal governo.   Probabilmente, non lo arrestano perché anche al Cremlino sono avidi lettori delle sue analisi sociologiche in punta di penna. “Il regime usa il Giorno della vittoria come parte della propaganda articolata e imposta in modo aggressivo per far passare il conflitto in Ucraina come la continuazione dI quella contro Hitler. Qualcuno ci crede. È la versione proposta da tutti i media mainstream e la gente non vuole esser ‘diversa’. Vale anche per la narrativa secondo cui ‘la Russia è sotto attacco’. Ma il discorso è divisivo, perché è un insulto alla memoria privata di chi è contro la guerra di aggressione di Putin”. E che ha morti nella Grande guerra patriottica da piangere. Se non anche morti nel conflitto ucraino.

Persone con foto di cari uccisi sul fronte ucraino dal 2022 sono state viste marciare accanto a chi commemorava parenti caduti contro la Germania nazista nelle repubbliche di Buriazia, Tuva e Sacha, oltre che nelle regioni di Zabaikalsky, Irkutsk e Omsk , secondo il Moscow Times. Le autorità hanno allestito stand dove gli uomini presenti alle celebrazioni del Giorno della vittoria potevano firmare un contratto con il Ministero della Difesa per combattere in Ucraina. Sticker con colori dell’Ordine di San Giorgio, simbolo dei successi militari russi, e insegne con la parola “poveda” (vittoria) —  sono dappertutto, in questi giorni: alle fermate degli autobus, nelle metropolitane, sulle vetrine dei negozi. Il messaggio è univoco: la Russia è dalla parte del giusto, come è sempre stata. L’idea nazionale è diventata questa: “vittoria”. La Russia è imbattibile, da quando esiste. Anche se la vittoria in Ucraina continua a essere piuttosto elusiva, sebbene data ogni giorno per scontata dai cantori del regime.

In realtà, la Russia-Urss di guerre ne ha perse parecchie. Stava per perdere anche quella contro i nazisti. Per questo la vittoria del 1945 fu davvero eroica e così sanguinosa. Alla fine del 1941 i tedeschi erano arrivati a Khimki, cittadina sul canale Moskva-Volga a meno di 20 chilometri dalla Piazza Rossa e ormai diventata un sobborgo della capitale. I panzer di Hitler furono fermati al “chilometro 23” dell’autostrada per San Pietroburgo. Più o meno dove oggi sorge un magazzino dell’Ikea, diventata “Idea” dopo che l’azienda svedese ha abbandonato la Russia. Da lì partì la prima controffensiva che, dopo quattro anni e oltre 20 milioni di morti solo tra i sovietici, portò l’Armata Rossa a conquistare Berlino. Ai diversi memoriali dedicati a quel cruciale evento — una vera e propria sliding door della Storia — a Khimki si è recentemente aggiunto un nuovo monumento. Rappresenta, in uno stile che ricorda il realismo socialista, due soldati. Uno, nella semplice divisa di fatica degli eroi della Grande guerra patriottica, poggia la mano sulla spalla dell’altro, nella moderna tenuta militare degli spetsnaz di Putin, impegnato a sparare col suo fucile d’assalto contro il nemico. E il nemico, si capisce bene, è ucraino. Una rappresentazione plastica del tentativo di legare passato e presente, di illustrare il passaggio del testimone tra due generazioni molto distanti. Protagoniste di due guerre che la manipolazione storica e la propaganda somministrata ai russi 24 ore al giorno da anni pretendono simili, ma sono completamente diverse. Per contesto, legittimità e finalità.  Per non parlar di morale.

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