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Sri Lanka, assalto alla residenza del presidente Rajapaksa, che si dimette

La residenza del presidente dello Sri Lanka, Gotabaya Rajapaksa, è stata presa d’assalto da una folla di manifestanti inferociti, costringendolo a scappare, protetto dall’esercito.
A cura di Giacomo Andreoli
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Una folla inferocita e il presidente costretto a scappare. È un assalto in piena regola quello andato in scena a Colombo, capitale dello Sri Lanka, nella residenza ufficiale di Gotabaya Rajapaksa, ex militare e dal 2018 al vertice dello Stato, ma ora costretto a dimettersi. A riferirlo, condividendo anche il video dell'assalto, è l'agenzia di stampa Afp, che cita una fonte del ministero della Difesa locale.

Il Paese è in un momento di crisi economica e sociale profonda, la peggiore degli ultimi decenni, vista la carenza di moneta estera che ha fortemente limitato le importazioni di cibo, medicine e carburante. La popolazione, dunque, è stremata e il presidente non ha dato le risposte che la nazione si attendeva. Sono 22 milioni le persone che vi abitano, con una povertà dilagante, tant'è che anche lo scorso anno (prima dell'inizio di questa tempesta finanziaria) il 6% della popolazione non aveva accesso nemmeno all'acqua potabile. Finora le proteste, che sono partite addirittura lo scorso marzo, erano state pacifiche, ma ora gli animi si sono surriscaldati. Il palazzo presidenziale, come si vede nei video diffusi dall'agenzia di stampa e sui social media da utenti comuni, è stato attaccato, con le stanze invase dai manifestanti.

I manifestanti hanno portato diverse bandiere dello Sri Lanka, come a dire che il Paese è oramai anni luce distante dal suo leader e alcuni vessilli neri. Quindi hanno gridato in coro "Vai a casa". Il presidente Rajapaksa è scappato ed è protetto dall'esercito in un luogo sicuro. Ma dopo l'ondata di proteste culminata con questo assalto il suo ufficio ha reso noto che si è dimesso. La decisione è stata presa in maniera sofferta dopo le richieste in questo senso dei leader dei partiti presenti in Parlamento, che ora intendono formare un governo di unità nazionale.

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