Perché solo stando unita l’Europa può evitare di essere schiacciata da USA e Russia: l’analisi del filosofo

La “paura della libertà” negli anni Trenta del secolo scorso rischiò di portare alla nazificazione dell’Europa. Oggi c’è la “paura della complessità”. La esprimono i sovranismi e l’inedito asse Usa-Russia. Minaccia non solo il progetto europeo, minaccia l’umanità. La complessità del mondo moderno è segnata dall’imprevisto: pandemie, catastrofi climatiche. Ogni risposta che guarda al passato è inefficace. Anzi, devastante.
Lo sostiene Mauro Ceruti, filosofo e teorico del pensiero complesso. Non c’è alternativa a una comunità internazionale legata da impegni multilaterali. Una Cosmopolis, una comunità di destino mondiale. È l’unico modo per affrontare la modernità. La politica di potenza di Russia e Stati Uniti va in senso contrario.
Un esempio: l’unico organismo davvero in grado di far pagare le tasse alle multinazionali e regolamentare la rivoluzione digitale è l’Ue. Che è un organizzazione multilaterale e anche un’istituzione con poteri sovranazionali. L’ultima sanzione al social network di Elon Musk, X, è stata tutto sommato timida. Ma ha fatto perder le staffe allo stesso Musk e a Donald Trump. Solo un’organizzazione multilaterale può imporre regole alle Big Tech, aziende più ricche di molti Stati, e ai loro irascibili padroni.
Interpretando il pensiero di Ceruti: la modernità non prescinde dalle regole. Deve essere uno sviluppo che crea valore senza sprechi, attento al cambiamento climatico e alla transizione energetica. Russia e Stati Uniti restano i maggiori produttori di idrocarburi. Siamo ancora agli imperialismi petroliferi. La modernità è altro. La “potenza tranquilla” dell’Unione Europea, superando le sue contraddizioni, potrebbe farne parte. Esserne il fulcro, forse.
Mauro Ceruti è autore con Edgar Morin del recente saggio La nostra Europa (Raffaello Cortina, 2025). Fanpage.it lo ha intervistato.
Professor Ceruti, torna a contare solo la potenza, in politica internazionale?
"Questo primo quarto di secolo si compie con il ritorno della logica della guerra per dirimere i rapporti fra le nazioni. La potenza e la forza sono tornate ad essere gli unici criteri regolatori dell’ordine economico e geopolitico. E la pace è intesa quale esito appunto della potenza, della forza e della guerra.
La “barca” europea si trova oggi a fluttuare in un mondo dove risorgono pulsioni autoritarie e imperiali. Imperialismi complici o antagonisti minacciano l’Europa dall’esterno. Demagogismi illiberali, xenofobia e fanatismi nazionalisti la minacciano dall’interno, con concreti rischi di disgregazione e di decivilizzazione".
L’America di Donald Trump e la Russia di Vladimir Putin ritengono che l’Unione Europea e il multilateralismo siano un impiccio. Tra le accuse: troppe regole e mancanza di realismo. Molti sono d’accordo anche in Europa. Che meriti può contrapporre, l’Ue?
"La solidarietà di interessi tra Usa e Russia mette “sotto assedio” l’esperimento multinazionale e multiculturale. Di fronte al pericolo di regressione, si deve ricordare che il progetto dell’Unione Europea ha voluto superare le due malattie che avevano ridotto l’Europa in macerie: la purificazione etnica e la sacralizzazione dei confini.
È bene ricordare che, dal secondo Dopoguerra, la complessità è stato il progetto intenzionale della nostra Europa: il suo progetto di convivenza, contrapposto al semplicismo brutale e omologante dello spirito totalitario, imperiale e autocratico".
Nei suoi scritti lei parla della necessità di una “comunità cosmopolitica”. Ma ormai lo slogan è “ognuno per sé”. Non è che la sua sia una pia illusione?
"Le spinte alla deglobalizzazione, al sovranismo e alla frammentazione sono controbilanciate dal processo contrario inaugurato cinque secoli fa con il viaggio di Cristoforo Colombo. Il processo di planetarizzazione è irreversibile. È una tappa evolutiva della specie umana. Se la coscienza e la politica internazionale lo ignorano, siamo nei guai. Perché i problemi e le gigantesche sfide che abbiamo di fronte hanno una dimensione planetaria, transnazionale. Non possono essere affrontati dai singoli Stati. Nemmeno da quelli che hanno dimensioni demografiche, geografiche, militari o economiche da “potenze imperiali”".
E quindi, che dovrebbero fare gli Stati?
"Dovrebbero cooperare. Le tante crisi accumulate non sono separabili tra loro. Sono intrecciate in una “policrisi” che riguarda tutti. Quindi, siamo “obbligati” alla cooperazione internazionale. Necessità ed etica collimano. Ma la convergenza di Usa e Russia può creare un ordine precario e pericoloso, un nuovo nomos della terra, per riprendere l’espressione di Carl Schmitt (1888-1985 giurista, filosofo e politologo tedesco che aderì al nazismo, ndr)".
Sarebbe simile alla “deriva imperiale dei continenti” di cui lei parla nel saggio Umanizzare la modernità, scritto con Francesco Bellusci?
"Proprio così".
La teoria del nomos si ricollega all’idea nazista di “spazio vitale”. Ma in Schmitt c’è molto di più: enfasi sulla sovranità e sul decisionismo extra-giuridico; approccio amico-nemico nelle relazioni internazionali; critica al liberalismo e al costituzionalismo democratico. Idee tornate d’attualità. Proprio perché il mondo è complesso, non è che un sano realismo sovranista e “realista” in politica internazionale funzioni meglio?
"Sarebbe la risposta dell’impero. Una risposta sbagliata all’attuale complessità del mondo. Una tragica, lacerante e brutale riproposizione del paradigma moderno della semplificazione. La nazione ha ancora un senso nel destino degli uomini, aiuta anche a non rinchiudersi in appartenenze più “tribali” o settarie, ma è anch’essa una risposta limitata, fragile, se si nutre solo del suo mito romantico. I confini nazionali non sono più garanzia di sicurezza, non solo dalle pandemie o dagli effetti negativi del cambiamento climatico, ma anche dalle minacce esterne alla pace interna. Se l’Europa si illude di trovare sicurezza chiudendosi a “fortezza”, con una politica di irrigidimento dei confini (esterni e interni) allora, sì. troverà in questa miopia le premesse di una sua autodistruzione".
Esponenti dell’estrema destra internazionale come Steve Bannon, uomo vicino all’amministrazione Trump, tornano a parlare di scontro di civiltà, di guerra tra popoli giudaico-cristiani e forze della barbarie. Al netto di retorica e propaganda, il rischio è reale?
"Non c’è uno scontro tra civiltà. C’è una crisi di civiltà, perché non riusciamo a varcare la soglia “complessa” verso una civiltà planetaria. Tra il 1939 e il 1940, Carlo Levi esaminò la crisi cha avvicinava l’incubo della nazificazione dell’Europa in un libro dal titolo Paura della libertà. Ecco, oggi a proposito della nostra crisi di civiltà parlerei di “paura della complessità”".
La “paura della complessità” sta distruggendo l’Unione Europea ?
"Se l’Europa vuole salvarsi deve tornare a scommettere sulla prospettiva federalista o quantomeno di una maggiore integrazione politica. La sincronia anti-europea tra Mosca e Washington, insieme all’ondata sovranista e nazionalpopulista che attraversa anche le nostre società, mina le democrazie e rischia di far arretrare o congelare il progetto di un’Europa unita. Ma ci sono ancora le risorse e le energie per rilanciarlo. Rafforzando politica energetica comune, difesa comune e allargamento ad Est, in risposta al neoisolazionismo americano, alle minacce della Russia putiniana o alla “deriva imperiale dei continenti”".
L’Ue limita l’onnipotenza delle multinazionali e cerca di regolamentare sviluppi come la rivoluzione digitale. Basterà a garantire un minimo di eticità, con la spinta alla deregolamentazione che arriva da oltreoceano?
"Per affermare un’etica e una regolamentazione planetarie occorrono organismi sovranazionali. “Umanizzare la modernità” è l’invito a cambiare paradigma, a pensare che la realtà politica elementare del mondo non è più lo Stato-nazione, ma l’umanità intera ormai accomunata da uno stesso destino, dagli stessi problemi di vita e di morte, prodotti dalla inedita possibilità di autosoppressione con l’arma nucleare e con l’impatto umano sul clima e sulla biosfera. La sfida della complessità è la scommessa della Cosmopolis, della paziente costruzione della comunità di destino mondiale, una e molteplice, dove l’universalismo che ne deriva non oppone la diversità all’identità, l’unità alla molteplicità".