Perché Putin non sta cambiando strategia in Ucraina: sa che alla fine dovrà trattare

Al contrario degli umori e delle esternazioni di Donald Trump, la strategia di Vladimir Putin non cambia. Al Cremlino si ritiene che l’Ucraina sia sempre meno prioritaria per Washington. E che, con un calo del sostegno Usa, i bombardamenti sulle città possano fiaccare la tenacia di Kyiv. Fino a far accettare condizioni negoziali equivalenti a una disfatta sul campo, ritenuta impossibile con l’attuale ritmo dell’avanzata e le forti perdite. La Russia ha ragioni per far tacere le armi: la sua economia di guerra si sta confermando insostenibile. Alcuni analisti prevedono un cessate il fuoco entro la fine dell’anno. Se sarà di fatto una resa ucraina o se Mosca dovrà accettare compromessi finora sempre rifiutati, rinunciando alle sue condizioni massimaliste, dipenderà da cosa saprà fare l’Europa. Che potrebbe dover sostituire in tutto o quasi l’alleato americano.
Sette venerdì per settimana
“Trump non è passato dalla parte dell’Ucraina, né mai lo farà”, scrive il quotidiano Moskovskiy Komsomolets commentando le parole dure del presidente statunitense nei confronti di Putin. “Ora ha bisogno di far vedere che prende misure severe contro la Russia. O che almeno sembrino severe”. Il riferimento è alla minaccia di dazi del 500 per cento per i Paesi che comprano combustibili fossili da Mosca. Una persona vicina a centri decisionali della politica russa ha confermato a Fanpage.it — con un sintetico “è così” — che l’articolo del giornale moscovita corrisponde alla posizione del Cremlino. Il funzionario ha chiesto di rimanere anonimo perché non autorizzato a rilasciare commenti.
D’altra parte, lo stesso portavoce di Putin, Dmitry Peskov, aveva sdrammatizzato spiegando che “il modo di parlare di Trump è sempre piuttosto duro”, che Mosca “intende continuare il dialogo con Washington” e che si augura “Trump e il suo team continuino i loro sforzi per riportare il processo di pace nell’ambito della diplomazia”. Su almeno un paio di giornali russi, la situazione è stata riassunta con un proverbio: Il presidente Usa ha “sem’ pyatnits na nedele”, ovvero, “sette venerdì alla settimana”. Come dicono bonariamente i russi di chi cambia spesso idea.
Colpire le città funziona
Fatto sta che alle dichiarazioni forti e alle minacce di Trump la Russia ha risposto con il più massiccio barrage di missili e droni su infrastrutture civili e città dall’invasione del febbraio 2022, seguito da un terrificante raid su Kyiv, con morti e feriti. Non è la reazione di chi ha preso sul serio le giravolte verbali del capo della Casa Bianca e il suo sostegno a provvedimenti draconiani. “Questi bombardamenti vogliono degradare la resilienza politica e sociale ucraina, e stanno funzionando”, dice a Fanpage.it l’analista Balazs Jarabik di R.Politik. “Finora il ‘contratto sociale’ dell’Ucraina in tempo di guerra è stato efficiente: il fronte — dopo i primi mesi dell’invasione — si è allontanato da Kyiv. Che era riuscita a mantenere una vita urbana relativamente sicura, con risorse garantite dal sostegno occidentale. Ma questi pilastri ora si stanno erodendo, sotto i missili russi”. Ci sarà un rimpasto di governo. L’ennesimo. Secondo Jarabik, “è un’operazione più cosmetica che altro”. I sondaggi più recenti mostrano che la maggioranza degli ucraini vuole porre fine alla guerra. Anche a costo di rinunciare a un quinto del territorio nazionale, secondo il 56 per cento della popolazione — risulta dalla ricerca presentata a fine giugno dagli istituti Janus e Socis di Kyiv. Solo il 12,8 per cento è disposto a combattere fino a liberare le aree occupate dai russi dal 2014 a oggi.
Il fattore Patriot
Kyiv viene colpita anche perché alcune fabbriche di droni sono state spostate sotto l’ombrello antiaereo della città, la più fornita di sistemi di difesa avanzati. Ma dalle immagini degli edifici residenziali centrati da colpi diretti è evidente che i russi non si limitano agli obiettivi militari. Si tratta soprattutto di ottenere il massimo effetto depressivo sulla popolazione e destabilizzare la presidenza Zelensky. Significa terrorizzare i civili. E il Cremlino ritiene di poterlo fare impunemente o quasi. A Mosca si è convinti di avere in mano le carte per dettare la propria pace in Ucraina. La sospensione temporanea degli aiuti, in particolare dei sempre più necessari intercettori terra-aria Patriot, è stata certo un segnale politico alla Russia, “voluto da Trump e non dal Pentagono preoccupato dalla carenza di scorte” — è convinto l’analista di R.Politik. Ma la scarsità di sistemi di difesa da parte della Nato è una realtà. Gli Usa ne sfornano attualmente circa 600 all’anno. E dopo la guerra fra Israele e Iran gli stock sono scesi. Un motivo in più per una diminuzione dei rifornimenti a Kyiv.
Vicinanze ideali e strategiche
A monte, c’è il desiderio degli Stati Uniti di riallacciare relazioni amichevoli con Mosca. Perché la priorità è il confronto con la Cina. Il desiderio è ricambiato. Tra la Casa Bianca e il Cremlino si parla già di iniziative comuni per sostenere i “valori tradizionali” più destrorsi. Nella cittadella moscovita non si fa mistero di voler costruire un “nuovo ordine mondiale” fondato su tre imperi: Cina, Usa e Russia. Alla vicinanza ideologica si affianca, riguardo all’Ucraina, un interesse condiviso: negoziare la pace. Trump lo ha incautamente promesso in campagna elettorale, è stato finora manovrato da Putin e sta facendo la figura del burattino. Solo se la guerra finirà grazie a una trattativa e non con una disfatta militare ucraina The Donald potrà ricostruirsi la fama di pacificatore a cui tiene tanto. Anche la Russia vuole che la carneficina finisca a un tavolo negoziale. Dove vengano riconosciuti i suoi obiettivi. Non tanto quelli territoriali quanto quelli politici: in pratica, la riduzione dell’Ucraina a uno stato vassallo di Mosca. E il tavolo è l’unico modo: “I russi non hanno vinto la guerra e strategicamente non possono farlo, sul terreno”, conviene Balazs Jarabik. “L’Ucraina è troppo grande, ha risorse ed è ancora appoggiata dall’Occidente”.
Pallone avvelenato
Quando Donald Trump ha detto di voler sospendere gli aiuti all’Ucraina, ha lanciato un messaggio anche all’Europa: “Noi ridurremo davvero l’assistenza militare, tocca a voi aumentarla”. L’Europa non potrebbe sostituire efficacemente l’apporto di intelligence che gli Usa forniscono a Kyiv, cruciale per fronteggiare gli invasori. E anche per il resto, “non ha capacità industriali sufficienti”, spiega l’analista. “Gli europei spesso prendono decisioni simboliche, guidate dalla morale e non dal necessario pragmatismo”. Si deve comunque riconoscere al presidente americano di aver convinto gli europei a impegnarsi più seriamente. Nella difesa e per l’Ucraina: i 200 accordi per oltre 10 miliardi di euro e il fondo per la ricostruzione annunciati alla Conferenza di Roma ha immediatamente suscitato commenti irati da parte della Russia: “La logica degli attuali leader occidentali — Italia compresa — è cinica e menzognera”, afferma una nota dell’ambasciata. Irritazione è comprensibile. Se l’Europa si impegnasse davvero nel sostegno all’Ucraina, come minimo i tempi della guerra si allungherebbero oltremodo. Troppo, per la Russia.
L'economia in Russia
Mosca ha parecchi motivi per arrivare a una trattativa di pace entro la fine dell’anno, sostiene Balazs. “Al Cremlino si stanno considerando i rischi: c’è una grave crisi nel Caucaso con l’Azerbaigian, c’è l’indebolimento dell’Iran. Soprattuto, c’è la prospettiva della militarizzazione europea, con la decisione Nato di aumentare le spese al 5 per cento dei Pil”. Se il sostegno militare e finanziario dell’Ue aiutasse l’Ucraina a resistere per un altro paio d’anni, potrebbero aprirsi scenari nuovi. Sulla Russia pende una spada di Damocle. E si chiama economia. Lo stesso Putin, al Forum Eurasiatico di Minsk, ha ammesso che il budget della difesa, ufficialmente al 6,3% del Pil — il livello più alto dalla Guerra Fredda —, sta pesando sulle finanze pubbliche e causa inflazione. Nel nel 2026 sarebbe bene ridurre la spesa militare, ha aggiunto. La stampa russa non fa che parlare dei guai dell’economia. Tra questi: il calo delle vendite di automobili, l’aumento del debito delle famiglie sulle carte di credito, gli arretrati salariali, il settore manifatturiero in difficoltà.
Le responsabilità dell’Europa
“La situazione si sta deteriorando per tutti i tipi di produzione civile, a parte la sostituzione delle importazioni, la quale peraltro ha effetti regressivi”, commenta a Fanpage.it l’economista Kostantin Sonin, professore all’Università di Chicago ed ex rettore della Hse, la Bocconi russa. “I consumi sono diminuiti, di fatto finanziando la produzione militare”. Il Pil aumenta ancora, anche se a ritmi decrescenti. “Ma è un artefatto statistico che riflette solo la crescita del settore militare”. Nulla che possa al momento minacciare la stabilità del regime di Putin o la sua capacità di condurre la guerra. “Ma se l’Ucraina riuscisse a stabilizzare le linee del fronte e mantenerle tali per un paio d’anni — continua l’accademico —, allora perfino Putin potrebbe dover accettare un cessate il fuoco immediato”. E in quel caso, limitare le pretese e consentire a Kyiv statualità e indipendenza. La prospettiva di altri due anni di massacri è orribile. Può valere una soluzione politica equilibrata e quindi sostenibile nel futuro. A dover decidere se ne valga la pena, sarà soprattutto l’Europa.