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Opinioni
Guerra in Ucraina

Perché la Russia ha inviato in prima linea i generali mettendo a rischio la loro vita

Diversi generali russi sono morti in Ucraina. Come è stato possibile? Gli alti ufficiali spesso combattono quando si ritiene la leadership ai minori livelli inefficace oppure quando ci si accorge che il morale tra i soldati è basso. È quello che potrebbe essere accaduto…
Intervista a Luigi Chiapperini
Generale di Corpo d'Armata, già Comandante del contingente multinazionale NATO in Afghanistan tra il 2012 e il 2013, Vice Capo del III Reparto delle Aree Pianificazione Generale e Direzione Strategica / Politica delle Alleanze presso lo Stato Maggiore Difesa, Capo Ufficio Generale del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, presidente dei lagunari dell’ALTA e collaboratore del Campus universitario CIELS di Padova
A cura di Luigi Chiapperini
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Gen. Andrei Sukhovetsky
Gen. Andrei Sukhovetsky
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Le notizie riguardanti alti ufficiali russi uccisi in Ucraina rimbalzano sulla carta stampata, in televisione e nei social network lasciando alcuni di noi perplessi in quanto non abituati a sentire questo tipo di informazioni. Sembrerebbe infatti che siano stati uccisi in circostanze diverse una dozzina di comandanti russi dei quali ben cinque con il grado di generale: Andrei Sukhovetsky per mano dei cecchini il 28 febbraio, Vitaly Gerasimov nei combattimenti a Kharkiv il 7 marzo, Andrei Mordichev sotto i bombardamenti dell’aviazione ucraina il 19 marzo e infine Andrei Kolesnikov l’11 marzo e Oleg Mityaev il 15 marzo per altri motivi non ufficialmente noti.

Pertanto su qualche decina di generali alla guida delle unità russe che hanno invaso l’Ucraina, sarebbero sinora ben cinque quelli uccisi in azione. È normale che siano avvenute queste perdite di ufficiali di grado così elevato?

È necessario fare al riguardo qualche riflessione. La prima è che in Europa di guerre come quella che è scoppiata in Ucraina non ne vedevamo dal lontano 1945: formazioni corazzate che si scontrano, combattimenti nei boschi, assedi e combattimenti nei centri abitati, forzamenti di corsi d’acqua, aviosbarchi e sbarchi anfibi, duelli aerei. Risulta pertanto opportuno verificare cosa sia avvenuto in passato in conflitti similari e ci accorgeremmo che le uccisioni di questo tipo non sono poi così rare.

Ad esempio riferendoci ai soli generali ed ammiragli italiani della seconda guerra mondiale, probabilmente pochi sanno che ce ne furono moltissimi che caddero in combattimento. L’elenco non comprende i morti per fucilazione di quei valorosi soldati di ogni ordine e grado che non vollero arrendersi al nemico o i caduti per incidenti o per suicidio “d’onore” per non aver voluto ad esempio cadere in mano nemica, ma ci riferiamo ai soli generali ed ammiragli caduti in vere e proprie attività belliche alla guida dei propri reparti.

Ebbene, ce ne furono tre nei primi sette mesi di guerra del 1940 (tra i quali il Generale di divisione del regio Esercito Pietro Maletti ucciso mentre difendeva il campo trincerato di El Nibewa nelle primissime fasi dell’offensiva britannica in Africa settentrionale), otto nel 1941 (tra i quali l’Ammiraglio di divisione della Regia Marina Carlo Cattaneo morto in combattimento durante la battaglia navale di Capo Matapan), tre nel 1942 (tra i quali il Generale di corpo d’armata Federico Ferrari-Orsi del Regio Esercito, comandante del X Corpo d’armata operante sulla frontiera egiziana, ucciso il 18 ottobre 1942 da una mina a Deir el Munassib, poco prima della seconda battaglia di El Alamein o il Generale di brigata aerea Enrico Pezzi della Regia Aeronautica che il 29 dicembre 1942 sul fronte orientale venne ucciso in volo durante una missione di soccorso alle truppe italiane accerchiate a Čertkovo sul fronte russo) ed infine ben nove nel 1943 (tra i quali il Generale di Brigata Gonzaga don Ferrante, caduto a Eboli vicino Salerno l’8 settembre 1943 in quanto si era rifiutato di arrendersi e che morì con la pistola in pugno raggiunto da una raffica di mitra dei tedeschi). Insomma un elenco lunghissimo di generali ed ammiragli che morirono combattendo come i generali russi in Ucraina.

Gen. C.A. Ferrari Orsi
Gen. C.A. Ferrari Orsi

La seconda riflessione è sulle percentuali di ufficiali, sottufficiali e soldati che hanno perso la vita in una delle recenti missioni di stabilizzazione. Se esaminiamo ad esempio ciò che è avvenuto in Afghanistan al contingente italiano, scopriamo che sono caduti, oltre ad un civile agente dell’AISE, cinquantatré militari dei quali ventinove soldati graduati, dieci sottufficiali e tredici ufficiali, quindi una percentuale del 25% di questi ultimi che invece negli organici di un reparto rappresentano circa il 5%.

Non c’è dubbio che perdere un ufficiale di alto rango come un generale o un ammiraglio rende più debole una unità militare. Dopo la bandiera di guerra che ne è il simbolo, il comandante rappresenta l’anima e il cuore di un reparto, specialmente se è ben voluto dai suoi sottoposti. È lui che ha guidato la pianificazione di un’azione militare, lui che ha dato e continua a dare durante l’azione gli ordini esecutivi, lui che fa azione morale e sprona i dipendenti.

Quando viene ammazzato un comandante, il reparto perde per un bel po’ di tempo il proprio punto di riferimento, il morale si abbassa pericolosamente e l’azione inevitabilmente e pericolosamente rallenta. Per queste ragioni i comandanti vanno preservati e protetti fintanto è possibile. Ci sono peraltro situazioni in cui, come abbiamo visto per i generali e gli ammiragli italiani caduti in combattimento nella seconda guerra mondiale e in altri conflitti, risulta necessario per loro rischiare.

Tiratori scelti
Tiratori scelti

Ciò avviene ad esempio quando si ritiene la leadership ai minori livelli inefficace oppure quando ci si accorge che il morale tra i soldati è basso. È probabilmente ciò che è avvenuto in Ucraina quando i comandanti anche di grado molto elevato hanno dovuto gettarsi in prima linea nei combattimenti mettendo a repentaglio la loro vita.

Si è parlato anche di uno stile di combattimento dall’esercito russo con un processo decisionale molto centralizzato che, per presunte difficoltà nelle comunicazioni, avrebbe impedito ai generali se distanti dalla linea di contatto di coordinare al meglio le operazioni. Può essere accaduto, anche se con l’introduzione dei Task Group di livello battaglione (i cosiddetti BTG) con una libertà di azione sul terreno più accentuata, quel retaggio della dottrina del Patto di Varsavia sembrerebbe essere stato, non sempre con i risultati sperati, parzialmente superato.

Molto più verosimile invece è la possibilità che specialmente nei combattimenti negli abitati gli ucraini siano stati in grado di far operare nuclei di tiratori scelti nelle retrovie dell’esercito russo in grado di colpire anche a grandi distanze, con armi portatili di precisione, bersagli di alto valore come appunto i comandanti dei reparti russi.

Insomma, una storia che si ripete e che però non deve essere considerata una novità ma uno dei tanti tragici risvolti della guerra.

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Generale di Corpo d'Armata dei lagunari Luigi Chiapperini, già pianificatore nel comando Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali NATO in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale NATO su base Brigata Garibaldi in Afghanistan tra il 2012 e il 2013, attualmente membro del Centro Studi dell’Esercito e autore del libro Il Conflitto in Ucraina (Francesco D’Amato Editore 2022).
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