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Perché la Cina vuole mettere le mani sui porti europei

L’acquisizione del 24,9% del porto di Amburgo in Germania da parte del colosso logistico cinese “Cosco” ha acceso i timori di una possibile ingerenza di Pechino sul porto di Trieste. Filippo Fasulo (Ispi) a Fanpage.it: “La ragione alla base di questa mossa consiste nella volontà di instaurare forti legami commerciali con l’Europa”.
A cura di Lorenzo Bonuomo
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Xi Jinping e Olaf Scholz. Sullo sfondo il porto di Amburgo (Twitter)
Xi Jinping e Olaf Scholz. Sullo sfondo il porto di Amburgo (Twitter)

Dopo due anni di dibattiti e critiche feroci, la trattativa sino-tedesca tra l'esecutivo del cancelliere Olaf Scholz e quello del presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jimping si è conclusa con l'acquisizione del 24,9% del Terminal 3 del porto di Amburgo da parte del colosso di navigazione Cosco (China Ocean Shipping Company).

La compagnia cinese a partecipazione statale si è assicurata quindi una quota consistente del terminal più piccolo (ma anche il più strategico dei quattro totali) del secondo scalo più grande d'Europa.

L'intesa "al ribasso" (all'inizio si trattava sul 35%), è stata raggiunta dopo una pioggia di aspre critiche rivolte a Scholz, e al sindaco di Amburgo, da parte dell'opposizione tedesca ma anche da una buona fetta di governo del cancelliere: erano ben sei, infatti, i ministeri contrari (Economia, Interno, Difesa, Trasporti, Finanze ed Esteri) all'ingresso della Cina nella gestione di una delle principali infrastrutture strategiche della Germania.

La penetrazione cinese nei porti europei: mossa commerciale (e strategica) di Pechino

Il gruppo Cosco ha le tasche profonde: è la quarta più grande compagnia di spedizioni marittime del mondo ed è già azionista di 13 porti europei (tra cui i diretti concorrenti di Amburgo, Rotterdam e Anversa). La sua influenza oggi si estende sul 10% delle autorità portuali europee. Come riferisce Foreign Affairs, gli accordi portuali sono una delle manifestazioni più evidenti dei piani di Pechino di creare legami più forti tra la Cina e l'Europa.

Lo ha confermato a Fanpage.it Filippo Fasulo, analista dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) e Direttore del Centro Studi per l'Impresa della Fondazione Italia – Cina: "La ragione alla base di questa mossa consiste nella volontà di instaurare forti legami commerciali con l'Europa, in modo da accrescere la sua dipendenza dalle merci cinesi. E questo è proprio ciò che Bruxelles e Washington vogliono evitare".

Secondo il ricercatore, la mossa cinese sul porto di Amburgo si cala nel contesto della "Belt and and Road Initiative" (Bri), noto anche come "Nuova via della seta", fiore all'occhiello della strategia commerciale di Xi Jinping: si tratta di un ambizioso piano di politica estera da miliardi di euro, volto al rafforzamento dei collegamenti della Cina con i paesi dell'Eurasia attraverso la stipulazione di accordi economico-commerciali.

Scopo ultimo della Bri sarebbe dunque quello di aumentare il peso del "dragone" nello scenario geopolitico internazionale, grazie alla penetrazione sempre più invasiva nei mercati stranieri.

"Essendo la Germania già molto esposta alla dipendenza del gas russo, l'accusa che viene mossa nei confronti di Scholz è quella di non aver imparato la lezione e di aver sì privilegiato un interesse commerciale, ma senza visione strategica di lungo periodo – ha aggiunto poi sempre Fasulo – è chiaro che se ti esponi alla dipendenza economica di un'autocrazia, poi questa dispone di una leva politica nei tuoi confronti".

Secondo l'esperto la Repubblica Federale si troverebbe dunque di fronte a un bivio: "Va detto che la Cina è ad oggi il principale mercato di sbocco delle auto tedesche. In Germania l'opinione pubblica si è spaccata in due fazioni: c'è chi vuole ridurre al minimo la dipendenza strategica dalla Cina e chi invece non si vuole privare delle opportunità commerciali che questa offre (e tra i secondi si colloca Scholz n.d.r.)".

Fonte: Twitter
Fonte: Twitter

Occhi puntati su Trieste

Anche l'Italia rientra nel progetto "Nuova via della seta" cinese: nel marzo 2019 il governo giallo-verde ha firmato un memorandum d’intesa con Pechino, in cui manifestava la sua adesione all’iniziativa di Xi Jinping. Cosco al momento possiede il 40% di "Vado Gateway", gestore del terminal di Savona – Vado Ligure.

L'operazione cinese ad Amburgo ha fatto risuonare le sirene nel porto di Trieste. Il motivo? La società di logistica portuale di Amburgo "Hhla" – la stessa che ha appena ceduto una fetta del porto cittadino tedesco a Cosco – da inizio 2021 detiene il 50,1% della "Piattaforma Logistica Trieste", uno dei terminal container dello scalo giuliano. Da qui, i timori di una possibile invadenza del gigante marittimo cinese negli affari dello scalo triestino.

A placare gli animi è stato il presidente dell'Autorità Portuale di Trieste Zeno D'Agostino, intervenuto durante la trasmissione "Tutta la città ne parla" di Radio Rai 3: "Non c'è da preoccuparsi. Non accadrà nulla che non sia voluto dal nostro governo – ha detto il manager – i cittadini possono stare tranquilli".

Lo stesso presidente ha precisato che, dopo aver acquisito la maggioranza della piattaforma triestina, Hhla ha subito una "Golden Power": il principio che consente all'autorità portuale di indagare sui soggetti che diventano concessionari in porto o soci, soprattutto quando si tratta di terminal strategici.

Anche Fasulo, come D'Agostino, ha parlato di allarmismo ingiustificato: "C'è stato un equivoco di fondo: il possibile aumento delle relazioni con la Cina può sicuramente riguardare l'Italia, ma in questo caso si tratterebbe di mere relazioni commerciali. La governance che gestisce queste relazioni nel porto di Trieste resta italiana e non viene toccata da quanto successo ad Amburgo".

Il Porto di Trieste
Il Porto di Trieste

I fantasmi del Pireo sullo sfondo della trattativa di Amburgo

La strategia cinese di mettere le mani sui porti avrebbe già dato i suoi frutti, in passato, in occasione della privatizzazione del porto del Pireo in Grecia.

Nel 2016 Cosco ha acquistato il 50,9% delle quote del porto di Atene (quota salita poi al 67% nell'agosto 2021) e in pochi anni lo ha reso lo scalo più trafficato del sud Europa. Tutto ciò mentre la Grecia affrontava una gravissima crisi del debito pubblico, che all'epoca aveva messo in ginocchio il Paese: più traffico nel porto voleva dire più posti di lavoro (e investimenti) per la manodopera locale.

Risultato? Al di là dei profitti economici derivanti dall'operazione – più vantaggiosi per la Cina che per la Grecia, secondo l'Istituto greco per le relazioni economiche internazionali (IIER) – nel giugno 2017 la Grecia ha bloccato una dichiarazione congiunta dell'Ue indirizzata all'Onu in cui si criticava la situazione di scarso rispetto dei diritti umani in Cina.

In questo precedente albergano le paure della Commissione Ue, che aveva sconsigliato a Berlino di chiudere l'accordo perché Bruxelles teme che i soldi della Cina possano rappresentare una potenziale "arma" in grado di rompere la coesione politica ed economica degli stati membri. "Da questo Pechino ovviamente può trarre vantaggio", ha commentato in proposito sempre Fasulo.

Il porto di Atene Fonte: LaPresse
Il porto di Atene Fonte: LaPresse
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