Perché Israele ha colpito Hezbollah e qual è l’obiettivo di questa escalation in Medio Oriente
A cura di Pasquale Porciello
La morte di Hassan Nasrallah nel bombardamento di venerdì 27 settembre ha certamente cambiato l’equazione della guerra tra Hezbollah e Israele. Diventa sempre più chiaro che l’obiettivo israeliano è quello di ridefinire gli equilibri di potere in Libano e nella regione. L’uccisone del suo leader in carica dal 1992, la decimazione della catena di comando del Partito di Dio, le modalità utilizzate dall’esercito israeliano fanno parte di una strategia tesa – se non a eliminare – a ridefinire i confini di Hezbollah.
La scelta di Israele di bombardare a tappeto il Libano del sud e dell’est mira non solo alla sconfitta militare del Partito di Dio, a spingerlo dietro il fiume Litani – come prevede la risoluzione 1701 del 2006 – ma a provocare uno scollamento con la sua base.
Se da un lato il mossad ha dimostrato di essere stato in grado di infiltrarsi nei gangli più reconditi del partito-milizia sci’ita libanese con l’operazione dei recenti attacchi cibernetici, nella quale un centinaio di persone sono morte e oltre 3mila sono state ferite, dall’altro fare in modo che gli apparecchi esplodessero anche in contesti civili tiene conto dell’impatto psicologico che l’operazione ha sulla popolazione civile, come spiega Rossana Tufaro, politologa esperta di Libano, Assegnista di Ricerca in Storia Contemporanea dei Paesi Arabi della Sapienza.
Le detonazioni martedì 17 settembre di cercapersone e mercoledì 18 di walkie talkie – al cui interno era stato messo dell’esplosivo e in dotazione a membri di Hezbollah sia dell’ala militare, che di quella politica o logistica – ne sono state una prova evidente. Le forniture erano arrivate pochi mesi fa dalla BAC Consuting, azienda con sede in Ungheria, che aveva preso il subappalto dalla taiwanese Apollo Gold e che pare fosse una società di copertura del mossad.
"Ciò che Israele sta tentando di fare – spiega Tufaro – è colpire l’egemonia che ha Hezbollah. Ne ha dimostrato la vulnerabilità e facendolo ha messo in discussione la sua immagine e la percezione che tanto i sostenitori, quanto i detrattori ne hanno. Il messaggio che Israele ha mandato è che chiunque è in contatto con Hezbollah, non solo chi lo sostiene, è sostanzialmente in pericolo".
Ribaltare allora l’immagine di argine allo strapotere israeliano, la funzione percepita di protettore da Israele, di forza di deterrenza; un profilo costruito negli anni, soprattutto in seguito alla guerra del Tammus 2006, quando Hezbollah costringe l’esercito israeliano alla ritirata dopo un’invasione di terra durata un mese.
C’è allora bisogno di chiedersi cosa voglia dire "squilibrare e depotenziare Hezbollah", come ha affermato il ministro della difesa israeliana Gallant e a cosa miri un’operazione del genere nei luoghi dove la presenza di Hezbollah è egemonica e, come accade da qualche giorno, anche in posti dove Hezbollah non è particolarmente radicato, come il Monte Libano.
Hezbollah non è soltanto una milizia, ma un sistema di potere. È in parlamento con un partito forte, gestisce ministeri importanti e fornisce, in alternativa allo stato, servizi sanitari, scolastici, amministrativi, un vero e proprio welfare nelle aree in cui è più radicato: una specie di stato nello stato.
Ha continuato quel discorso identitario e di rivalsa della comunità sci’ita in Libano cominciato da personaggi come Musa al-Sadr, si è ritagliato un posto di attore principale nello scenario regionale e internazionale, nell’ambito culturale e nella scia della rivoluzione iraniana del ’78-’79, ergendosi a simbolo di muqawwama militare e culturale. La muqawwama, "la resistenza (contro l’egemonia americana e sionista), è una cornice identitaria. Ovvero, le cornici identitarie sono uno schema rappresentativo che permette alle persone di dare un senso all’esperienza di ogni giorno", nella definizione di Dina Matar, direttrice del centro di Global Media e Comunicazione alla S.O.A.S. Parlarne solamente in termini di gruppo armato terroristico è quindi riduttivo e fuorviante.
"Hezbollah non è Hamas, piuttosto uno stato nello stato" con una sofisticata capacità militare, ha dichiarato Yoel Guzansky, ricercatore all’Istituto per gli studi di sicurezza nazionale di Tel Aviv alla CNN. E il Libano non è Gaza, ovvero gli obiettivi strategici sono diversi. La delegittimazione del Partito di Dio diventa necessaria per scardinare gli equilibri al suo interno e a polarizzarne la percezione all’esterno. Quest’operazione passa anche attraverso la devastazione di posti dove Hezbollah è egemonico, ma che non è più in grado di difendere, e che costringe gli abitanti a scappare, minando dall’interno questa rete identitaria che Hezbollah ha intessuto negli anni e ad allargarndone le maglie.
La retorica israeliana di questi giorni va esattamente in questa direzione: "Continueremo a colpire Hezbollah. E dico al popolo libanese: la nostra guerra non è contro di voi, la nostra guerra è contro Hezbollah" ha dichiarato in un video registrato il 24 settembre il premier israeliano. L’esercito prima dei bombardamenti del 23 settembre della Beka’a ha inviato degli sms ai residenti affinché evacuassero: "Hezbollah obbliga l’esercito israeliano ad agire contro le sue infrastrutture nei vostri villaggi. Se vi trovate in – o in prossimità di – una casa contenente armi di Hezbollah, la dovete lasciare e allontanarvi, entro due ore, almeno di un chilometro e recarvi nella scuola più vicina. Tutti coloro che si trovano in prossimità di membri, di istallazioni o di armi di Hezbollah mettono in pericolo la loro vita e quella della loro famiglia".
Tutto questo in un Libano alle prese con la sua più profonda crisi economico-finanziaria cominciata nel 2019, senza un presidente della repubblica da due anni e con un governo ad interim con le mani legate sulle manovre fondamentali che permetterebbero al paese di accedere alle risorse stanziate dal Fondo monetario internazionale, le quali gli darebbero certamente respiro e aiuterebbero a combattere la fortissima inflazione degli ultimi anni.
La morte di Nasrallah segna anche simbolicamente un nuovo assetto di Hezbollah. Questa ridefinizione rimane al momento ancora in divenire e certamente lascia spazio a una grande e non prevedibile varietà di scenari.
A cura di Pasquale Porciello