Parla Piccinin, liberato con Quirico: “E’ stata una lunga e terribile odissea”

Insieme al giornalista de La Stampa Domenico Quirico è stato rilasciato anche Pierre Piccinin, docente universitario belga di 40 anni che stamattina è rientrato all'aeroporto militare di Bruxelles, accolto dal saluto del premier Elio Di Rupo, che ha avuto parole di grande elogio per il lavoro delle autorità italiane e la Farnesina. Piccinin ha raccontato a La Stampa maggiori dettagli del sequestro: "All’inizio, per ingannare il tempo e vincere la tensione, abbiamo inventato un piccolo gioco. Pensavamo a dei personaggi storici, immaginavamo cosa avrebbero detto e fatto in quelle stesse circostanze in cui ci trovavamo. Poi le cose sono peggiorate, man mano che ci spostavano in lungo e in largo per la Siria crescevano i momenti di incertezza e scoramento. Ci dicevamo: ‘resisti, fallo per la famiglia, per chi ci vuole bene, ci aspettano'. E alla fine ci siamo riusciti".
Piccinin racconta di come ha conosciuto Quirico: "Ci siamo incontrati a un convegno a Torino, con Domenico. E’ un giornalista straordinario, un grande conoscitore delle primavere arabe e degli intrecci mediorientali. Insieme abbiamo fatto otto viaggi in Siria, nel corso dei quali abbiamo visto cambiare la rivoluzione. All’inizio era un movimento democratico. Poi lo spirito positivo è evaporato, e tutto si è ridotto al tentativo di trarre il meglio per sé da queste drammatiche circostanze". Poi il docente ha spiegato: "In assenza del sostegno dell’occidente i movimenti rivoluzionari sono stati gradualmente sostituti da cellule fondamentaliste islamiche, nelle quali sono confluiti anche gruppi marginali, delle bande di criminali. Tutto è degenerato, gli ideali sono caduti. Non volevano fare la rivoluzione, ma razziare le popolazione e trarne vantaggio".
Poi il racconto entra più nel dettaglio. Quirico e Piccinin sono stati rapiti ai primi di aprile dai ribelli, che li hanno tenuti prigionieri nella totale segretezza, non permettendo ai due europei di comunicare con le famiglie. "Quando l’assedio è diventato troppo duro, hanno tentato una sortita e son riusciti ad attraversare le linee governative, ci hanno portato con loro". Era la notte fra il 4 e il 5 giugno. "E’ cominciata una lunga e terribile odissea attraverso il paese, con marce forzate di giorno e di notte. A qual punto siamo passati nelle mani di un gruppo che lavora per Al Faruk, eravamo nel nord del governatorato di Damasco. Da allora ci hanno trasferito continuamente per il paese. Alla fine eravamo in una località vicino alla frontiera libanese, senza esserne consapevoli".
Riguardo le condizioni della loro detenzione: "In certi casi sono stati corretti. Poi le cose sono peggiorate. Ci trattavano come occidentali, cristiani, con grande disprezzo. Certi giorni non ci hanno dato nemmeno da mangiare". Così la liberazione è stata a lungo una chimera. "Sino all’ultimo non siamo stati sicuri, ci dicevano ‘fra due giorni sarete liberi', ‘fra una settimana sarete liberi', ma non succedeva. Era un gioco crudele".