Pace in Ucraina, l’analisi degli esperti: “Trump offre garanzie vaghe, il vero banco di prova sarà per l’Europa”

Alla Conferenza di Washington, Donald Trump si è impegnato per un non meglio identificato coinvolgimento statunitense nelle garanzie di sicurezza da fornire all’Ucraina nel futuro accordo di pace. Che dovrà precedere e non più seguire il cessate il fuoco. Proprio come voleva la Russia, che di fermare subito la carneficina non ha mai avuto alcuna intenzione. Regna la vaghezza sulla modalità delle garanzie. Sarà l’argomento centrale dei prossimi negoziati. E per ogni dettaglio spunterà un diavolo, c’è da scommetterci. È già successo al tavolo di Istanbul nel 2022. Da allora, la Russia non ha cambiato le sue posizioni. Almeno, non esplicitamente. Arrivare a garanzie che davvero garantiscano qualcosa è sempre difficile, in diplomazia. Per le personalità dei protagonisti, per la percezione che hanno di se stessi e degli altri e per le complessità presenti sia sul terreno di guerra che nell’arena internazionale, il caso dell’Ucraina è più complicato di altri.
Una “fortochka” per la pace
Intendiamoci: in Alaska e poi a Washington si è aperto uno spiraglio per la pace. Una "fortochka", come chiamano i russi la finestrella che dà aria alle loro case anche quando fuori ci sono meno 20 gradi. Non ci sono stati i temuti agguati. Gli europei erano presenti e uniti nel sostegno a Kiev, anche se non ancora del tutto guariti da un irragionevole complesso di inferiorità nei confronti di Washington. Meloni, certo, dovrebbe evitare di alzare gli occhi al cielo quando il cancelliere tedesco invoca la tregua immediata. Ma è un riflesso condizionato. Intanto, il vertice Putin-Zelensky e il successivo incontro trilaterale allargato a Trump sono tutt’altro che scontati. Anche se il tycoon spinge, sordo e cieco a ogni segnale negativo. È la sua forza, e anche la sua debolezza. E in attesa delle prossime puntate dello show politico-diplomatico allestito dalla star dei reality messo a capo della più grande potenza mondiale, la guerra continua.
Il déjà vu
“Garanzie del tipo di quelle offerte oggi da Trump non sono una novità: erano presenti nella bozza di accordo presentata dai russi ai negoziati di Istanbul”, ricorda lo storico Sergey Radchenko, che a quella trattativa di oltre tre anni fa ha dedicato — insieme a Samuel Charap — un famoso quanto mal interpretato articolo su Foreign Affairs. “Il problema che rendeva la proposta inaccettabile era che prevedeva una sorta di diritto di veto da parte di Mosca”.
Nel caso di un’aggressione all’Ucraina, a decidere se si dovesse difenderla o meno era alla fine il suo più probabile aggressore. “Non sappiamo se il veto fosse una proposta negoziabile o una linea rossa, perché dopo la presentazione di quella bozza le trattative si interruppero”. Radchenko ritiene probabile che fosse un must, e che anche oggi il Cremlino voglia avere il veto in ogni sistema di garanzie per Kiev. Vista la breve durata del summit, difficile che ad Anchorage se ne sia parlato. Il nodo è destinato a tornare al pettine. “Fatto sta che nel 2022 erano gli occidentali a non voler assicurare garanzie del tipo previsto dall’articolo 5 della Nato (secondo cui un attacco armato contro uno Stato membro è considerato un attacco contro tutti, ndr), per timore di potersi trovare in guerra con la Federazione Russa”. La novità positiva della Conferenza di Washington è che ora l’Occidente è disponibile.
Tanto rumore per poco
Intanto, Mosca ha ribadito il “niet” alla presenza di militari dei Paesi Nato in Ucraina. Ogni garanzia, quindi, sarebbe solo una garanzia di carta. “Non può funzionare”, spiega a Fanpage.it l’ex diplomatico russo Boris Bondarev, dimessosi perché contrario alla guerra e oggi in esilio.
“Garanzie simili a quelle previste dall’Articolo 5 della Nato in fondo lasciano ampia discrezionalità sul tipo di assistenza dovuto. Putin non ha motivo di opporvisi, soprattutto se mantiene un potere di veto”. Se la Nato come sistema di sicurezza è efficiente, il merito va agli stivali sul terreno, che la Russia esclude a priori.
“Gli Stati Uniti hanno presenze militari in quasi tutti i paesi tranne l’Islanda”, sottolinea Radchenko, intervistato da Fanpage.it. “Una presenza che rende le garanzie credibili. Altrimenti, la Nato sarebbe una tigre di carta”. Lo storico e politologo russo ha parecchi dubbi su ciò che Trump ha effettivamente offerto: “È stato poco chiaro. Ha menzionato truppe e coinvolgimento degli Stati Uniti, dicendo che in prima linea ci sarà l’Europa, senza spiegare come. Sembra voler ridurre le promesse di garanzia americana a ben poco. Sono molto scettico su queste sedicenti garanzie di sicurezza. Mi ricordano quei finti temporali d’estate con tuoni roboanti e solo poche gocce di pioggia”.
I troppi “sì” di Trump
Il carattere di Donald Trump sta influenzando la partita e la rende oltremodo imprevedibile, nota Boris Bondarev: “Il presidente Usa vuole firmare qualsiasi cosa che contenga la parola ‘pace'. Forse pensa che, se la Russia fermerà la guerra, si allontanerà dalla Cina. In questo caso è parecchio ingenuo. Forse vuole il Nobel ed è disposto a dir di sì a tutti, mescolando le carte. Si fa usare anche da Zelensky e dagli europei”. Ma è Putin a tenere il coltello dalla parte del manico: “Il presidente russo userà un linguaggio sofisticato — che Trump non capisce — per convincerlo a un accordo su garanzie in realtà inefficaci. E Putin continuerà a fare quel che vuole. All’Ucraina resterà solo un sostegno simbolico”.
L’ex feluca dello “zar” sostiene che l’Occidente debba smetterla di temere il potere nucleare della Russia, in base al quale “il Cremlino crede di poter agire come un clan di gangster impunemente”. Ogni garanzia seria dovrebbe prevedere un forza di interposizione, del tipo di quella americana a sud del 38° parallelo, che ha garantito una tregua quasi infinita tra le due Coree, al netto di sporadici incidenti. “La diplomazia è solo un linguaggio, non funziona se non è supportata dalla dimostrazione della volontà e della capacità di agire (in gergo diplomatico”capability”, ndr)”. Insomma, dopo un eventuale accordo gli stivali sul terreno saranno necessari e i Paesi Nato dovranno comportarsi di conseguenza, sostiene Bondarev. Che Putin lo voglia o no.
Lo spettacolo della pace, il rumore della guerra
Il problema maggiore è che finora Mosca non ha cambiato alcuna delle sue condizioni massimaliste per porre fine al conflitto. Kiev è stata più flessibile, ma su alcuni punti non transige. Non si vede quindi come si possa lavorare a un accordo sostenibile.
“Sarei davvero sorpreso se ci fosse l’atteso incontro bilaterale Putin-Zelensky”, afferma l’ex-diplomatico. “Di cosa dovrebbero discutere? Zelensky direbbe che le forze armate russe devono lasciare l’Ucraina, e l’altro gli risponderebbe che deve avvenire il contrario. Né cambierebbe qualcosa in un vertice a tre con Trump. Penso che Putin voglia usare Trump il più a lungo possibile, per questo lo blandisce”. Nel frattempo, a Kiev si è sollevati da come sono andate le cose a Washington: “Qui sono quasi contenti, perché stavolta non ci sono state imboscate come quella di cui Zelensky fu vittima sei mesi fa nello Studio Ovale”, riferisce a Fanpage.it dalla capitale ucraina il politologo di R. Politik Balasz Jarabik. “Tutti vogliono la pace. E lo ‘spettacolo della pace’ continuerà, ma la guerra pure”.
Gli ucraini si aspettavano poco, dalla Conferenza: “Temevano un’altra contrapposizione con Trump. È andata meglio del previsto”. Delle armi e dell’intelligence americane, non possono fare a meno. Durante i colloqui alla Casa Bianca, a Kiev suonavano le sirene per gli attacchi russi. Il governo sostiene di aver inflitto 890 perdite al nemico, tra il 18 e il 19 agosto. Mosca afferma di aver fatto fuori 410 soldati ucraini, nello stesso periodo.
L’ora dell’Europa adulta
Un discorso a parte merita l’impegno europeo. Leader dei “volenterosi” uniti ma sconfitti. Perché l’unica vera novità della Conferenza, in fondo, è che si è sdoganata la rinuncia a un cessate il fuoco preliminare rispetto alle trattative. Delusi soprattutto il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Merz.
“Abdicare a una tregua immediata però non è di per sé negativo”, afferma Jarabik. “Il cessate il fuoco sarebbe una soluzione temporanea. E poi i russi non l’accetteranno mai. Inutile insistere”. L’esperto sostiene che anche i “volenterosi” e gli ucraini si uniformeranno alla nuova situazione. Che è comunque un set concesso a Putin grazie a Trump, per usare il linguaggio del tennis. Per evitare di dover accettare anche quel che si reputa dannoso, “è necessario un riequilibrio della sicurezza euro-atlantica”, dice Boris Bondarev. “Servono due pilastri uguali, Stati Uniti ed Europa. Per arrivarci, l’Europa deve abbandonare l’idea di non poter esistere senza gli Stati Uniti”. Le reazioni all’atteggiamento del presidente americano “dimostrano quanto i leader europei siano preoccupati all’idea di dover contare solo su se stessi. Ed è questo il vero ostacolo a una nuova fase della sicurezza europea”. L’anti-europeismo di Trump può essere un’occasione preziosa. Al di là delle sue sparate disinformate quando non deliberatamente false, qualche ragione il tycoon ce l’ha. L’Europa deve essere un partner alla pari degli Stati Uniti e non soltanto un alleato che li segue.