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Nuova Zelanda, il governo aiuta anche le prostitute durante il lockdown

Dopo la depenalizzazione dei lavori sessuali del 2003 in Nuova Zelanda anche le prostitute possono richiedere un’integrazione al reddito forfettaria messa a disposizione dal governo: basta compilare un modulo e nel giro di pochi giorni si possono ottenere fino a 2.300 euro.
A cura di Davide Falcioni
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Anche le prostitute, come tutti gli altri lavoratori autonomi, hanno diritto a un sussidio economico per le perdite di fatturato subite a causa del coronavirus. Accade in Nuova Zelanda, paese che dopo la riforma della prostituzione del 2003 ha di fatti legalizzato lavoratrici e lavoratori sessuali equiparandoli a tutte le altre professioni. Per questo, nel pieno della crisi economica causata dalla pandemia e a causa delle misure di distanziamento sociali, anche le prostitute hanno subito conseguenze importanti: i clienti si sono azzerati da un giorno all'altro, le entrate economiche si sono interrotte e lo spettro della povertà si è avvicinato.

Lana, una prostituta neozelandese di 28 anni, ha raccontato al Guardian che prima delle misure di lockdown imposte il 26 marzo lavorava in un "bordello di lusso" di Wellington, dove incontrava due o tre clienti alla settimana guadagnando 2.200 dollari neozelandesi al mese (circa 1.200 euro), una cifra che le permetteva di proseguire i suoi studi universitari senza chiedere soldi ai genitori. Dopo l'imposizione di misure di distanziamento sociale Lana ha perso la sua unica fonte di reddito ed ha chiesto il sussidio statale previsto per i lavoratori che hanno visto un calo di almeno il 30 per cento degli incassi. Ha quindi compilato un apposito modulo e ottenuto, nel giro di appena due giorni, una somma forfettaria di 4.200 dollari neozelandesi (2.300 euro). "La pratica ha richiesto tre minuti e non ho avuto bisogno di rivelare il mio lavoro di prostituta. Ho solo dovuto certificare di essere una lavoratrice autonoma". In Nuova Zelanda, infatti, il lavoro sessuale è considerato come qualsiasi altra professione dopo la depenalizzazione della prostituzione del 2003, un provvedimento a lungo criticato che tuttavia si sta rivelando azzeccato anche nella crisi del coronavirus. Migliaia di prostitute, che prima di allora erano costrette a lavorare in clandestinità, ora possono farlo alla luce del sole beneficiando di controlli sanitari e fiscali, e naturalmente pagando quanto devono di tasse.

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