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Conflitto Israelo-Palestinese

L’infermiera italiana MSF racconta l’inferno di Rafah: “Siamo sotto le bombe, aiuti insufficienti”

Martina Marchió, coordinatrice medica di Medici Senza Frontiere a Rafah: “La scorsa notte le bombe israeliane sono cadute vicino al nostro compound. Gli operatori umanitari non possono né entrare né uscire dalla città e i rifornimenti arrivano col contagocce, in particolare medicinali, cibo, acqua e carburante”.
Intervista a Martina Marchió
Coordinatrice medica di Medici Senza Frontiere a Rafah
A cura di Davide Falcioni
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Martina Marchió, coordinatrice medica di Medici Senza Frontiere a Rafah
Martina Marchió, coordinatrice medica di Medici Senza Frontiere a Rafah
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"Qui a Rafah la situazione è drammatica. Da quando Israele ha diffuso l'ordine di evacuazione le strade sono strapiene di uomini, donne e bambini. I bombardamenti sono continui, di giorno e di notte, e minacciano anche gli ospedali, mentre nei pronto soccorso arrivano ondate di pazienti feriti dai raid". È la testimonianza dall'inferno di Gaza fornita a Fanpage.it della dottoressa Martina Marchió, coordinatrice medica di Medici Senza Frontiere nell'enclave palestinese e in prima linea da tre settimane, come infermiera, nella cura di uomini, donne e bambini colpiti da missili e proiettili, malnutriti o contagiati dalle malattie infettive che si stanno diffondendo giorno dopo giorno a causa dell'assenza di acqua pulita.

Mentre i mediatori di Hamas e di Israele fanno la spola tra Il Cairo e Doha alla ricerca di un accordo per un cessate il fuoco in cambio della liberazione degli ostaggi la situazione sul campo si fa sempre più drammatica. Gli attacchi missilistici sono continui e i combattimenti si stanno concentrando prevalentemente nelle vicinanze del valico, compromettendo anche l'arrivo degli aiuti umanitari. Nel frattempo è in vigore l'ordine d'evacuazione impartito dall'IDF e decine di migliaia di persone stanno cercando di fuggire da Rafah, ben sapendo tuttavia che non esiste nella Striscia di Gaza nessun luogo che possa definirsi davvero sicuro.

"Almeno 80mila persone sono già fuggite – spiega Martina -. Da quando Israele ha diffuso l'ordine di evacuazione per alcune zone della città le strade sono strapiene di uomini, donne e bambini. Famiglie intere hanno caricato i loro pochi averi su auto, camioncini o carretti trainati da asini per cercare di raggiungere aree presumibilmente più sicure nei pressi della costa, ma anche nelle zone centrali di Deir El-Balah e Khan Yunis. C'è grande confusione. I bombardamenti infatti sono frequenti e intensi a tutte le ore del giorno e della notte".

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A Rafah ospedali saturi: medici costretti a scegliere chi salvare

In questo contesto il lavoro di medici e infermieri (tre gli italiani di MSF a Rafah in questo momento) è sempre più difficile. Negli ospedali della Striscia continuano ad arrivare pazienti politraumatizzati, per lo più vittime di esplosioni. Le strutture sanitarie sono sature e congestionate e alcune rischiano di essere distrutte. Alcuni ospedali stanno attivando dei piani d'emergenza per spostare materiale in luoghi più sicuri, nel disperato tentativo di salvare il salvabile. Racconta Martina che ogni giorno "arrivano ondate di pazienti feriti dai bombardamenti e spesso non ci sono medici e infermieri a sufficienza, oppure non sono disponibili abbastanza sale operatorie. È capitato che dei dottori fossero costretti a scegliere chi salvare, perché in certi frangenti non ci sono farmaci per tutti e soprattutto non c'è personale a sufficienza".

Emblematica la storia di un bambino palestinese di 10 anni arrivato alcune settimane da insieme a un'ondata di feriti. "Il piccolo – dice Martina – si è accasciato in un angolo del pronto soccorso e per un po' nessuno ha potuto prendersi cura di lui, perché tutti i medici e gli infermieri erano impegnati con altri pazienti molto gravi. C'era molta tensione, persone che avevano perso gli arti o che presentavano ferite potenzialmente letali, e quel bambino per qualche minuto è rimasto lì, fermo. Sembrava in ‘attesa' del tuo turno: solo dopo un po' un medico l'ha notato. Era ormai in fin di vita, aveva un braccio e una gamba quasi del tutto staccati dal corpo e stava morendo dissanguato. È stato salvato in extremis. Qualche giorno fa mi hanno mostrato una sua foto. È ancora vivo, ha ancora il suo braccio e anche la gamba è al suo posto. Altri, purtroppo, non sono stati altrettanto ‘fortunati'".

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A Rafah cibo, acqua e medicine arrivano col contagocce

Mentre Martina racconta la linea telefonica va e viene. Lei quasi si scusa ("la connessione è un po' instabile, perdonatemi"), dice che ha passato una notte infernale perché le bombe israeliane cadevano in tutta Rafah, anche pericolosamente vicine al compound che ospita il personale di Medici Senza Frontiere. Poi riprende il filo del discorso e spiega che da giorni, con l'intensificarsi dei raid, è drasticamente diminuito l'afflusso degli aiuti umanitari. "Il valico di Rafah è stato chiuso perché è proprio in quell'area che si sta combattendo. Gli operatori umanitari non possono né entrare né uscire dalla città e i rifornimenti arrivano col contagocce, in particolare medicinali, cibo, acqua e carburante. Attualmente i nostri magazzini sono ancora ben forniti, sebbene Israele non stia facendo entrare molti dispositivi biomedici importanti, ad esempio i concentratori d'ossigeno. Se la situazione non dovesse cambiare presto l'impatto su tutte le Ong attive, e di conseguenza sulla popolazione di Gaza, sarà devastante".

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