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L’attivista Pegah Moshir Pour: “Il popolo iraniano ha più paura del regime che delle bombe”

Pegah Moshir Pour è un’attivista italiana di origini iraniane, da sempre impegnata a difesa della popolazione iraniana contro la repressione del regime. A Fanpage.it ha raccontato come gli iraniani stanno vivendo questi giorni di guerra: “Il regime sta provando a evitare il colpo di grazia, ma la guerra della popolazione iraniana è un’altra”.
Intervista a Pegah Moshir Pour
Attivista italiana di origini iraniane
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Foto di Pegah Moshir Pour
Foto di Pegah Moshir Pour

"I luoghi della mia infanzia in questo momento stanno tremando. Teheran è sotto attacco e lì ci sono i miei ricordi, lì ci sono ancora persone a cui voglio bene e oggi ho difficoltà a sentirle. Non c'è internet, i messaggi restano senza risposta da più di 48 ore. La gente non dorme, ha paura anche a chiudere gli occhi".

Poche ore dopo il primo attacco degli Stati Uniti contro le basi nucleari iraniane, nella notte tra sabato 20 e domenica 21 giugno, Pegah Moshir Pour, attivista italiana di origini iraniane, ha parlato della situazione nel suo Paese d'origine in un video sul suo account Instagram. Lei è nata in Iran e si è trasferita in Italia quando aveva nove anni.

Da quando Donald Trump ha ordinato l'attacco in Iran, gli occhi del mondo sono incollati a quello che sta succedendo in Medio Oriente. In queste ore, la tensione è alle stelle, dopo che entrambe le parti hanno violato la tregua proclamata poche ore prima dallo stesso Trump. Intanto, la popolazione iraniana è sempre più isolata: Internet è praticamente inaccessibile e non sembra per effetto delle bombe, ma per volontà del regime stesso. Fanpage.it ha contattato Pegah Moshir Pour per avere un racconto più da vicino di quello che sta succedendo dentro il Paese.

Qual è la situazione in queste ore in Iran?

È molto difficile rispondere a questa domanda perché emotivamente sono molto provata. Si è tanto detto di voler aiutare la popolazione iraniana a liberarsi dal regime, poi, così da un momento all'altro, Trump cambia idea. È un grande dispiacere anche per tutta la fatica fatta dal movimento Donna, vita, libertà.

È stata bombardata anche la prigione di Evin, dove da anni il regime rinchiude i prigionieri politici e i dissidenti. Che significato ha per la popolazione iraniana?

Sì, è vero, hanno bombardato la prigione dove il regime rinchiude gli oppositori. Ma ci sono stati anche molti feriti e soprattutto non sappiamo nulla di certo perché il regime non vuole che si sappia nulla. Neanche le famiglie dei detenuti sanno nulla. Siamo davanti a un'altra tragedia.

Mi puoi spiegare meglio?

Mi riferisco al fatto che il regime non permette alla popolazione di esprimersi, ma vuole avere un controllo assoluto.

Come esercita questo controllo?

Il regime approfitta di qualsiasi scusa, complice l'assenza dello sguardo della comunità internazionale, per continuare a peggiorare la vita dei cittadini in ogni modo possibile, la loro esistenza. Per farvi un esempio: alcuni prigionieri politici sono stati spostati in luoghi sconosciuti. Nessuno sa dove sono, se sono vivi o feriti. È un disco rotto che si ripete dentro il regime, ma anche fuori.

A cosa ti riferisci?

Lo stiamo dicendo e documentando da anni, ma non veniamo ascoltati. Anche sui social, gli iraniani denunciano quello che succede, ci sono mamme che piangono per i loro figli, che provano a essere la loro voce mentre rischiano di essere impiccati da un momento all'altro. Ma queste grida d'aiuto sono cadute nel vuoto, non sono state prese davvero in considerazione. Le abbiamo già dimenticate, mentre tre uomini (Donald Trump, Benjamin Netanyahu e Ali Khamenei) decidono le sorti della scacchiera internazionale e come le persone dovrebbero vivere. È un'eterna apnea nell'attesa delle loro decisioni, mentre la popolazione non viene ascoltata.

In queste ore, l'attenzione del mondo è alla guerra tra Iran, Israele e Stati Uniti…

Sì, certo, si continua a parlare di regime change, di bombe, basi nucleari, ma la popolazione dov'è? Si rischia di sminuire anche la lotta degli iraniani, che continuamente si trovano in mezzo a dei fuochi che non riescono a gestire: il fuoco occidentale, ma anche quello interno.

Perché internet è stato chiuso?

Ma questa non è una novità. Internet viene continuamente chiuso. Anche in questo momento lo è. Chi riesce a connettersi lo fa tramite satellite o perché riesce in qualche modo a rompere il filtro della censura. Ci sono tante e tanti ingegneri informatici che provano a raggirare la censura tecnologica e informatica. Il problema è per il resto della popolazione che non ha gli strumenti e resta isolato da qualsiasi tipo di informazione. Così, quando nel mezzo della notte la pagina di Idf in farsi dice di evacuare una certa zona, se le persone che vivono lì non hanno internet, come fanno a mettersi in salvo?

Il giorno dopo l'attacco degli Usa, il primo ministro israeliano Netanyahu si è appellato al coraggio del popolo iraniano. Che ne pensi?

Mi sembra ipocrita dire "vi vogliamo aiutare". Come fai ad aiutare una popolazione che non è connessa, a cui non arriva nessuna comunicazione? Mi sembra un cane che si morde la coda.

Quali sono le paure più grandi del popolo iraniano oggi?

Il timore è che il mondo si dimentichi della popolazione. La repressione interna si è già inasprita per evitare che ci siano degli assembramenti o manifestazioni. Il regime ha paura che in questo momento di destabilizzazione le cose peggiorino perché è chiaro che non ha più i fondamenti su cui reggere. Se già prima la popolazione voleva delegittimare il regime, oggi è chiaramente così.

Cos'è cambiato dall'attacco di Israele?

Il regime non ha fatto nulla. Parliamo di un regime che in tempo di guerra non avvisa i suoi cittadini, non dispone evacuazioni, non prepara bunker in cui far riparare le persone, né distribuisce medicine o alimenti. Che fondamento può avere? Per questo ha inasprito la repressione e i controlli sui cittadini.

In che modo?

Il regime reprime ogni minimo sospetto, per non dare il tempo agli iraniani di organizzarsi, di pensare o di portare avanti il dissenso. Ad esempio, ai pedaggi le persone viene chiesto di mostrare il cellulare e al minimo materiale sospetto si viene arrestati per spionaggio a favore di Israele. Da quando il Mossad ha dichiarato di avere infiltrati fino ai vertici delle forze militari, il regime ha iniziato una caccia alla spia per difendersi. Ma alla fine è sempre sulla popolazione civile che riversa la sua violenza.

Da quello che dici sembra che gli iraniani abbiano più paura del regime che delle bombe.

Sì, perché gli iraniani temono che ancora una volta si negozi senza tener conto dei diritti umani, perché vogliono liberarsi dal regime, ma devono poterlo fare. E affinché questo sia possibile anche il mondo fuori dall'Iran deve delegittimare chi è alla guida del Paese. Se da una parte, il regime sa di essere molto indebolito e sta cercando di capire come evitare il colpo di grazia che farà crollare tutto. Dall'altra, la popolazione è impegnata in un'altra guerra, che non è quella con Israele e con gli Stati Uniti, ma è quella con il regime.

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