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Conflitto Israelo-Palestinese

Israele-Hamas, perché c’è il rischio di allargamento della guerra

Perché l’attacco contro Israele di Hamas potrebbe diventare la miccia per far esplodere violenze senza precedenti.
A cura di Luigi Chiapperini
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Il fulmineo e feroce attacco contro Israele di Hamas (Harakat al-Muqawama al-Islamiyya – Movimento Islamico di Resistenza) ha allontanato le speranze di pace in Medio Oriente, anzi potrebbe diventare la miccia per far esplodere violenze senza precedenti.

Probabilmente proprio questo era l’obiettivo immediato del gruppo terroristico: esautorare l’Autorità Nazionale Palestinese che stava finalizzando accordi per la normalizzazione dei rapporti tra Israele, Egitto e appunto la Palestina. Hamas ha ritenuto necessario agire militarmente poiché una possibile distensione risulterebbe in antitesi con il suo obiettivo finale: l’eliminazione di Israele come Stato.

Le azioni tattiche, le armi e gli ostaggi

Le operazioni hanno visto la condotta di azioni tattiche di varia natura, alcune già viste in passato mentre altre risultano delle novità, quanto meno per la loro ampiezza e intensità. Il lancio di razzi Qassam verso il territorio israeliano è una tattica consolidata. Oggi però notiamo che questi ordigni sono molto più numerosi e potenti e con gittata e precisione maggiori.

Risultano invece delle novità l’infiltrazione di veri e propri commandos in territorio nemico sia da terra sia dall’aria grazie all’uso di deltaplani. Dette azioni, un mix di azioni tipiche della guerriglia e del terrorismo (come l’uccisione o il sequestro di militari colti di sorpresa e di civili inermi in un giorno di festa), hanno prodotto essenzialmente tre risultati: un forte ritorno mediatico grazie alla diffusione di videoclip anche raccapriccianti (con conseguenti scene di giubilo all’interno della striscia di Gaza ma non solo lì), l’indebolimento della catena di comando, controllo e comunicazioni delle unità regolari israeliane e, grazie al sequestro di ostaggi, la disponibilità di “merce di scambio” per far ad esempio liberare i miliziani rinchiusi nelle carceri di Tel Aviv.

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Gli ostaggi, inoltre, potrebbero essere utilizzati come scudi umani idonei a preservare i propri obiettivi militari all’interno della Striscia.

Le forze in gioco e la reazione israeliana

Essendo avvenuto esattamente 50 anni dopo e sempre durante festività, molti stanno accostando questo conflitto alla guerra del Kippur del 1973. In effetti ci sono solo due analogie: il giorno della settimana scelto (festivo per gli israeliani) e la sorpresa riuscita.

Le differenze invece sono abissali. Nel 1973 contro Israele si scontrarono veri e propri Stati (Egitto e Siria, spalleggiate da una pletora di nazioni allora amiche ed alleate (compresa l’Arabia Saudita) ad esclusione della Persia dello scià. Sul campo si contavano centinaia di migliaia di soldati regolari con migliaia di carri armati, mezzi da combattimento per la fanteria e artiglieria.

Oggi gli schieramenti sono molto differenti, con il solo Iran apertamente dalla parte di Hamas mentre l’Arabia Saudita, come detto, tenta soluzioni volte al riavvicinamento a Israele. Inoltre sul terreno un numero considerevole di miliziani di Hamas, su veicoli leggeri e armati con armi individuali e razzi, ha operato con le tattiche tipiche della guerriglia cogliendo inizialmente di sorpresa l’esercito regolare israeliano.

Sinora i terroristi ci sono riusciti ma la reazione degli israeliani sarà molto decisa così come accadde nel 1973. Ci sono già state azioni di rastrellamento per eliminare i nuclei penetrati nei territori di Israele e una serie di bombardamenti contro postazioni di Hamas all’interno della Striscia di Gaza.

L’esercito israeliano ha avuto bisogno di alcuni giorni per ricostituire i Quadri delle unità colpite dai raid iniziali, aggiornare i piani operativi, avviare la mobilitazione di alcune centinaia di migliaia di riservisti e far affluire i reparti a ridosso dei territori palestinesi, in terraferma e sul mare, per isolarli. Mentre continuerà a lanciare attacchi aerei, missilistici, di droni e di artiglieria e a attuare il blocco totale di Gaza, Israele potrebbe avviare una complessa azione di terra con fanteria accompagnata dai carri armati Merkava per penetrare all’interno di Gaza.

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Ciò allo scopo di neutralizzare i centri di comando e le basi logistiche di Hamas e possibilmente disarticolare i suoi gangli organizzativi una volta per tutte. Ciò costerà molte vite tra i soldati ma sembra un’azione necessaria per riprendere l’iniziativa e mettere in sicurezza i propri territori. Per Israele si tratta della propria sopravvivenza.

Chi pagherà il prezzo peggiore

Dette azioni potrebbero avere anche delle conseguenze tragiche sulla popolazione civile palestinese che vive, tra l’altro già miseramente, in una delle zone più densamente popolate del mondo. Si tratta di più di due milioni di civili in un’area ampia un quarto di quella di Roma. Pertanto si dovranno mettere in conto danni collaterali importanti che non faranno altro che alimentare paradossalmente l’odio verso Israele e il sentimento antisemita in alcune nazioni del mondo. È probabilmente proprio ciò che Hamas si aspetta.

Il grande ostacolo che troveranno le truppe israeliane nel corso dei combattimenti saranno, oltre ai poveri civili palestinesi, gli sfortunati ostaggi (militari e civili) israeliani e di altre nazioni. Alcune centinaia di essi saranno molto verosimilmente utilizzati da Hamas come scudi umani rendendo oltremodo complesse le operazioni. In sintesi uno scontro cruento e dai risvolti umanitari che se da una parte risulta per gli israeliani necessario, dall’altra potrebbe risultare dannoso per i ritorni mediatici che risultano sempre più influenti nella condotta delle operazioni militari attuali.

Hamas potrebbe allargare il conflitto

Si tratta di una situazione critica non solo per il Medio Oriente, ma anche per il mondo intero. Se l’obiettivo operativo per Hamas era quello di affermare con la violenza più inaudita la propria centralità nella disputa con Israele, l’obiettivo strategico è verosimilmente quello di rompere gli equilibri e la normalizzazione dei rapporti che si cercavano di raggiungere diplomaticamente.

Il gruppo terroristico probabilmente tenta anche di allargare il conflitto. Lo fa presumibilmente per destabilizzare l’intera area mediorientale facendo leva sui sentimenti antisemiti dell’opinione pubblica e rafforzare l’odio che permea i gruppi armati esistenti all’interno delle nazioni confinanti con Israele. L’obiettivo di Hamas è quello noto: Israele deve essere distrutto, a dispetto della risoluzione n. 181 del 1947 e successive dell’ONU che ne riconosce l’esistenza al pari di uno Stato arabo. Il rifiuto palestinese di questa soluzione ha prodotto, direttamente ed indirettamente, decine di anni di violenze non solo in Israele.

Le conseguenze economiche e militari in Medio Oriente

L’economia mondiale al momento non sembra aver risentito degli eventi, ma un eventuale peggioramento della sicurezza globale potrebbe causare scossoni anche in questo campo, specialmente per quanto attiene ai rifornimenti energetici.

Cosa potrebbe accadere invece in campo militare? A sud l’Egitto che, pur avendo avviato grazie al presidente Al Sisi rapporti di collaborazione con Israele, deve fare i conti con frange estremiste facenti capo essenzialmente ai Fratelli musulmani, appoggiati più o meno apertamente da Turchia e Qatar.

Il Sinai egiziano potrebbe incendiarsi, specialmente se dovessero iniziare ad affluire centinaia di migliaia di profughi da Gaza, creando un’unica area instabile con il sud di Israele. A nord, nella fascia confinante con il Libano, operano gruppi armati di Hezbollah, fazione avente forti legami sia con il governo siriano che con l’Iran e fortemente ostile a Tel Aviv con cui si è già scontrato in passato.

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In tale quadro potrebbero avvenire combattimenti a ridosso della Blu Line, cioè il confine a sud del Libano dove operano i contingenti, compreso quello italiano, dei caschi blu dell’ONU nell’ambito della missione UNIFIL. Potrebbero incendiarsi anche le alture del Golan, strappate alla Siria da Israele nelle guerre dei Sei Giorni del 1967 e dello Yom Kippur del 1973.

Sempre a nord la Siria si trova in gravi difficoltà a causa della guerra civile che imperversa all’interno dei suoi confini da anni, ma l’impegno dell’esercito israeliano a Gaza potrebbe far aprire una finestra di opportunità per far occupare il Golan dai suoi reparti militari. Inoltre l’eventuale appoggio dell’Iran a Hezbollah potrebbe scatenare la reazione israeliana su alcuni obiettivi strategici con verosimile controreazione del regime degli ayatollah.

Cosa potrebbe succedere successivamente è ancora più difficile da predire. Verosimilmente ulteriori attacchi ad Israele non sarebbero lasciati impuniti dagli Stati Uniti che stanno facendo affluire il gruppo della portaerei Gerald Ford in Medio Oriente. Senza poi contare il ruolo della Federazione Russa che dalla situazione che si sta evolvendo in Israele ha già ottenuto ritorni positivi derivanti dall’aver distolto l’attenzione mondiale dall’invasione dell’Ucraina.

Anche il terrorismo potrebbe aver ricevuto nuova linfa dagli eventi di questi giorni portando la violenza in varie parti del mondo sia con gruppi organizzati che con cani solitari emuli di Hamas.

Insomma, potremmo assistere ad una reazione a catena, causata da poche migliaia di terroristi, dagli esiti imprevedibili in campi cruciali in tutto il mondo: da quello diplomatico a quello sociale, da quello economico a quello militare.

Speriamo di no. Le prossime settimane saranno decisive per confermare o smentire questa speranza.

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Generale di Corpo d'Armata dei lagunari Luigi Chiapperini, già pianificatore nel comando Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali NATO in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale NATO su base Brigata Garibaldi in Afghanistan tra il 2012 e il 2013, attualmente membro del Centro Studi dell’Esercito e autore del libro Il Conflitto in Ucraina (Francesco D’Amato Editore 2022).
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