Il generale Battisti: “La Russia vuole logorare l’Ucraina. Zelensky? Gli consiglierei ritirata tattica”

Settecentoquarantuno droni in una sola notte, la maggior parte dei quali sulla città di Lutsk, nell'estremo ovest dell'Ucraina: quello messo in campo dalla Russia nelle scorse ore è stato il più massiccio attacco aereo dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina, ormai quasi tre anni e messo fa, ed ha portato ancora una volta allo scoperto i limiti delle forze armate di Kiev, a corto di sistemi di difesa soprattutto contro le minacce che arrivano dal cielo.
Ma l'attacco di Mosca dice anche altro: il conflitto in Ucraina continua a evolversi, adattandosi a un nuovo paradigma di guerra in cui la tecnologia, in particolare quella dei droni, gioca un ruolo centrale. Gli attacchi notturni russi con sciami di UAV – nell'ordine delle centinaia in una sola notte – stanno mettendo a dura prova le già scarse difese aeree ucraine. Di fronte a uno squilibrio tecnologico ed economico sempre più marcato, Kiev fatica a proteggere sia le sue infrastrutture critiche che la popolazione civile.
In questo quadro, Fanpage.it ha chiesto al generale Giorgio Battisti, già comandante del Corpo d’Armata di Reazione Rapida della NATO in Italia, di analizzare l'impatto di questa "guerra dei droni", i limiti dei sistemi di difesa occidentali e le prospettive strategiche per il fronte ucraino. Secondo Battisti, i droni – spesso economici, sacrificabili e micidiali – stanno rivoluzionando la dottrina militare, mettendo in crisi mezzi tradizionali come carri armati e artiglieria pesante. Un cambio di paradigma che premia l’aggressore e penalizza chi, come l’Ucraina, è in affanno nel reperire munizioni e sistemi d’arma ad alta tecnologia.
Alla luce di ciò, se Battisti fosse il Capo di Stato Maggiore ucraino cosa suggerirebbe a Zelensky? "Lo inviterei a riflettere su una possibile ritirata tattica verso posizioni più difendibili lungo il fiume Dnipro. Un arretramento che non significherebbe resa, ma necessità operativa per contenere le perdite e guadagnare tempo in attesa di eventuali sviluppi politici e internazionali favorevoli. Perché, nel frattempo, la macchina bellica russa continua a marciare, e la guerra non accenna a fermarsi".
Generale Battisti, l'Ucraina ha reso noto che la notte scorsa la Russia ha lanciato il più grande attacco di droni e missili dall'inizio della guerra, seguendo un trend già in corso da alcuni giorni. I raid si sono intensificati, in particolare di notte e con l’utilizzo massiccio di droni. Qual è il senso di questa nuova ondata offensiva?
Sì, in effetti il numero di attacchi, soprattutto notturni, è aumentato sensibilmente. Parliamo di oltre 700 droni lanciati in una sola notte, a cui si aggiungono anche missili di vario tipo: una pressione che mette in seria difficoltà la difesa aerea ucraina. Zelensky e i suoi collaboratori l’hanno detto chiaramente: sono a corto di capacità di difesa, mancano missili e sistemi di lancio. E credo che questa escalation sia anche una risposta agli attacchi in profondità che l’Ucraina continua a portare avanti, colpendo basi strategiche russe, come è avvenuto circa un mese fa con l’operazione che ha messo fuori uso diversi aerei strategici russi.

Si tratta, quindi, anche di un messaggio di forza da parte di Putin?
Esattamente. Lo ha confermato indirettamente anche la recente telefonata con Trump. Putin non ha intenzione di fare concessioni: vuole il riconoscimento internazionali delle annessioni ai quattro oblast ucraini più la Crimea, la smilitarizzazione di Kiev, la rinuncia all'ingresso nella NATO e lo stop all'assistenza militare occidentale. È convinto di poter vincere questa guerra, e lo fa capire chiaramente. Le sue condizioni per una tregua o un accordo di pace sono le stesse di sempre, e non intende cedere nemmeno di un millimetro. Sta giocando una partita dura, non solo contro le forze armate ucraine, ma contro l’intera società ucraina, colpendo città e infrastrutture critiche.
Oggi si colpisce anche l’ovest del paese, non solo più il fronte orientale o la sua capitale. Cosa significa questo?
Significa che la Russia vuole dimostrare di avere la capacità di colpire ovunque, senza limitazioni. Già nei mesi scorsi aveva colpito alcuni centri di addestramento a Ovest, ma adesso lo fa in modo sistematico. È un messaggio: controlliamo il cielo ucraino, e non temiamo reazioni. E non dimentichiamoci che i bersagli non sono solo militari: si colpiscono infrastrutture energetiche, centrali elettriche, tutto ciò che serve sia alla vita quotidiana che alla catena di comando ucraina. Come detto, l'obiettivo di Putin è piegare non solo la resistenza militare ucraina, ma anche la sua società.
L’impiego dei droni è diventato ormai costante. Perché sono così centrali in questo conflitto?
Perché sono economici, facili da produrre e non implicano perdite umane. Un drone costa poche migliaia di euro – a volte anche poche centinaia – ma può infliggere danni molto superiori. Inoltre, stanno cambiando la dottrina militare: sono strumenti versatili, che colpiscono e fanno anche da ricognizione. La Russia ne ha ricevuti molti dall’Iran, i famosi Shahed, e oggi ne sta producendo in proprio. Si parla anche di una possibile fabbrica in Corea del Nord. Lanciare 500 droni serve a saturare le difese aeree, che non riescono a intercettarli tutti, specie se mancano missili e sistemi efficienti.
Dopo aver annunciato una sospensione degli aiuti all’Ucraina la Casa Bianca ha fatto marcia indietro e ha annunciato l’invio di dieci batterie di Patriot. Qual è il significato politico e militare del loro invio da parte degli Stati Uniti?
Trump ha una posizione altalenante. Ha promesso di risolvere il conflitto in 24 ore, ha cercato il dialogo con Putin, ma poi – di fronte alla rigidità del presidente russo – ha cambiato tono, accusandolo di causare migliaia di morti. Il rinvio nell’invio delle batterie di Patriot potrebbe essere stato un tentativo di convincere Putin a negoziare. Ora, quelle batterie saranno inviate, ma non subito: bisogna infatti trovarle, prepararle, addestrare chi le usa. È un segnale politico, più che una soluzione immediata. Insomma, non verranno consegnate a Kiev domani, né tra qualche settimana; servirà tempo, e intanto Putin potrà continuare la sua guerra di lento e costante logoramento.

Tra gli analisti c’è chi parla ormai di una sfida tecnologica tra i droni russi e i sistemi di difesa occidentali. Chi sta avendo la meglio?
Se parliamo di efficacia, i nostri sistemi – parlo di quelli occidentali – sono tra i migliori al mondo. Il Samp-T italo-francese, i Patriot americani, funzionano. Ma hanno un costo elevatissimo e sono in numero limitato: non possiamo permetterci di sparare un missile da centinaia di migliaia di euro e dollari contro un drone che ne costa poche migliaia o centinaia. È una battaglia impari, anche sul piano economico. In più, la produzione occidentale è lenta, perché non abbiamo riconvertito la nostra economia in ottica bellica, a differenza della Russia. Lo ha certificato di recente il segretario della NATO Rutte: quello che Mosca produce in un mese l'Occidente lo produce in almeno quattro.
E per quanto riguarda gli altri armamenti, come i carri armati o l’artiglieria?
Anche lì ci sono criticità. Molti mezzi, come carri armati Abrams e Leopard o il cannine semovente tedesco PzH 2000 sono stati progettati prima dell’era dei droni. Oggi un drone può diventare l’occhio dell’artiglieria, può guidare un colpo preciso a decine di chilometri di distanza. Per questo, adesso quei mezzi vengono usati con più cautela. L’Occidente sta ripensando tutta la propria dottrina, per adeguarsi a questa nuova realtà.
Quindi anche la preparazione dei militari ucraini può essere un fattore limitante?
Certo. I nostri sistemi sono sofisticati e richiedono addestramento approfondito. Ma non è detto che tutti gli operatori ucraini abbiano avuto il tempo di formarsi adeguatamente. I tempi della guerra non sempre coincidono con quelli della formazione tecnica.
Alla fine, si crea anche uno squilibrio economico: droni che costano poche centinaia di euro, contro difese che ne costano centinaia di migliaia.
Esatto. Ci sono droni chiamati First Person View, che si comandano in remoto con visori e costano poche centinaia di euro. Se riescono ad abbattere o danneggiare un mezzo blindato da milioni di euro, è evidente che il rapporto costi/benefici è sbilanciato a favore di chi li usa.
Una domanda conclusiva, generale. Alla luce dello scenario sul campo, se oggi lei fosse a capo di Stato Maggiore ucraino cosa consiglierebbe a Zelensky?
È una domanda difficile, ma credo che la prima cosa che deve fare Zelensky sia non cedere. Cedere significherebbe legittimare l’uso della forza come strumento per ottenere vantaggi territoriali, e non è accettabile: detto questo, suggerirei una revisione strategica, ripiegare su posizioni difensive più solide, magari lungo il fiume Dnipro, che può offrire una efficace barriera naturale. In questo modo si guadagnerebbe tempo, si proteggerebbero meglio le truppe e si potrebbe sperare in un mutamento della situazione internazionale. Attualmente la Russia ha dichiarato di aver conquistato oltre 500 km² a giugno: non è molto, ma è un segnale importante. Continuare a insistere su posizioni deboli ha portato a costi umani elevati, come accaduto a Kupiansk. È tempo di pensare in termini di logoramento, non più di avanzata. Zelensky dovrebbe accettare di perdere del terreno ma guadagnare del tempo e collocare le sue truppe su posizioni più solide e ben difendibili. È l'unica speranza che ha oggi l'Ucraina per rallentare l'avanzata russa. Kiev deve resistere, nella speranza che le dinamiche geopolitiche cambino. Ma per farlo serve lucidità strategica, capacità di adattamento, e anche il coraggio di fare scelte difficili.