Il dramma delle donne che partoriscono sotto le bombe a Gaza: “Vivono nel terrore, anche questo è genocidio”

"Attaccare le donne incinta e i bambini significa bloccare la generazione futura, anche questo è genocidio", spiega a Fanpage.it Martina Marchiò, che per mesi è stata nella Striscia di Gaza come responsabile delle attività di Medici senza frontiere.

Con il costante intensificarsi dell'offensiva israeliana su Gaza, e in particolare con l'inizio dell'offensiva di terra a Gaza City, anche le condizioni di vita delle donne incinta sono sempre più a rischio. Secondo le ultime rilevazioni del Fondo delle Nazioni unite per la popolazione (Unfpa), riferite dal portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric, ogni settimana circa 15 parti avvengono senza assistenza medica e 23mila donne rimangono senza cure.
Moltissime di loro sono costrette a partorire per strada, non avendo accessi a ospedali o ambulatori. Per raggiungerli, infatti, dovrebbero spostarsi anche per chilometri e chilometri. Come spiega ancora Marchiò "è proprio questa la prima sfida che le donne incinta sono costrette ad affrontare", anche solo per ricevere le cure ostetriche di base. Se ci riescono, poi, la loro situazione rimane comunque instabile.
"È capitato molte volte che delle donne arrivate nei nostri ambulatori per dei controlli non siano ritornate più, perché sfollate e costrette a spostarsi in una nuova zona, dove tra l'altro non è detto che ci siano altre strutture mediche" continua l'infermiera.
Lo stato di incertezza è quello in cui vivono anche le donne con gravidanze a rischio, "che non sanno se alla fine della gestazione saranno capaci di raggiungere un ospedale dove si svolgono operazioni chirurgiche, come per esempio i cesarei".
Tutto questo impatta non solo sul corpo, ma anche sulla mente. "Lo sappiamo dalle sessioni di psicoterapia: queste donne vivono nel terrore", afferma Marchiò. "Sono sottoposte a violenze e sfollamenti durante tutto il periodo della gravidanza. Quando arrivano nei nostri ambulatori, spesso soffrono di depressione o ansia cronica". Nel complesso, la loro situazione è estremamente delicata.
Si aggiunge poi il problema della malnutrizione, che peggiora di giorno in giorno con l'intensificarsi degli attacchi. "Nella clinica di Gaza City in cui mi trovavo a maggio, avevamo circa 260 pazienti malnutriti, tra bambini sotto i cinque anni e donne incinta" spiega Marchiò. "Nelle ultime due settimane, siamo arrivati a 1500. Si tratta di numeri senza precedenti".
"C'erano pazienti che al sesto mese di gravidanza pesavano anche meno di 40 kili" e a essere malnutriti sono anche i neonati. Infatti, Israele blocca anche l'accesso nella Striscia del latte in polvere che è "essenziale per questi bambini che non possono ricevere il latte dalle loro madri, perché appunto malnutrite" commenta tragicamente Marchiò.
Oltre al latte in polvere, poi, sono tante le necessità mancanti, che invece servirebbero per portare cure adeguate. Mancano i materiali sanitari, le incubatrici, ma anche il carburante per i generatori elettrici.
"Quando mi trovavo a Gaza, alcuni ospedali hanno avuto dei blackout che sono durati anche 4 o 5 ore" e non è tutto, perché il carburante servirebbe per desalinare e filtrare l'acqua. Gravidanze e parti diventano complicatissimi da gestire in un contesto in cui manca l'acqua pulita a causa dei numerosi attacchi israeliani ai siti essenziali per la sua reperibilità.
L'attacco di Israele alle donne, non solo quelle incinta, è sistematico. Secondo quanto riferito dalle Nazioni Unite a luglio, il 67% dei palestinesi uccisi sono donne o ragazze. Reem Alsalem, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro donne e ragazze, l'ha chiamato "femicidio", il genocidio delle donne. Si tratta della sistematicità con cui Israele colpisce la popolazione femminile con l'intento di "interrompere la continuazione del popolo palestinese".
Da qui, gli impedimenti posti alle gestanti, costrette a vivere in una realtà drammatica, di cui gli operatori sanitari sul territorio sono testimoni. Martina Marchiò racconta a Fanpage.it un episodio che racchiude tutta la tragicità del portare avanti una gravidanza a Gaza City. "Una volta nel nostro ambulatorio a Gaza City è arrivata una donna incinta disperata. Mi ha chiesto del cibo terapeutico piangendo e urlando, non mangiava da 5 giorni. Ma non ho potuto darglielo, perché questa risorsa era solo per i malnutriti e lei di fatto non lo era".
Marchiò spiega poi che la situazione è destinata solo a peggiorare, anzi è al limite. "L'ospedale dove ho lavorato io, l'Al-Elhou Hospital di Gaza City, si trova in una zona che adesso è sottoposta a continui attacchi e bombardamenti. Se non arriva a breve un cessate il fuoco e se Gaza City viene cancellata, questo sarà un punto di non ritorno".