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Il consulente del Cremlino: “Russia, Cina e Corea, il nuovo ordine mondiale è qui per restare”

L’intervista di Fanpage.it al sinologo russo Alexey Maslov: “Autocrazie stabili ma diffidenti, economie interdipendenti ma in competizione: l’asse asiatico non è una Nato alternativa” ma un blocco politico-energetico “destinato a incidere sugli equilibri internazionali e a durare almeno qualche anno”. L’Occidente dovrà adeguarsi.
Intervista a Alexey Maslov
direttore dell’Istituto per gli studi su Asia e Africa dell’Università statale di Mosca
A cura di Riccardo Amati
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La stretta di mano tra Xi Jinping, Vladimir Putin e Kim Jong-un a Pechino, sullo sfondo dei missili nucleari e dei caccia Mighty Dragon in parata, “significa che è nato un nuovo ordine mondiale”. Instaurato da Paesi “molto diversi tra loro” ma uniti da un “desiderio di indipendenza dall’Occidente”. Alimentato dalle “politiche fallimentari” di Donald Trump. A parlare è l’esperto di rapporti tra Russia e Cina Alexey Maslov, che consiglia il Cremlino sulla politica asiatica e ha fatto parte delle delegazioni di Mosca ai summit tra Putin e Xi.

La Cina, finora restia ai conflitti, mostra al mondo che oggi, se necessario “è pronta a usare la sua potenza bellica”, dice Maslov a Fanpage.it. Ma l’unica vera alleanza militare è quella tra Mosca e Pyongyang. Mentre tramonta la possibilità di una mediazione cinese per la pace in Ucraina.

Alexey Maslov è il direttore dell’Istituto per gli studi su Asia e Africa dell’Università statale di Mosca. Lo abbiamo raggiunto al telefono nell’estremo oriente russo.

Alexey Maslov
Alexey Maslov

Professor Maslov, l’asse Russia-Cina-Corea del Nord sostenuto dall’India e da parte del Sud del globo cambia l’ordine mondiale?

Sì, c’è un nuovo ordine mondiale. Non che questi Paesi formino una vera “famiglia”. Sono troppo diversi tra di loro. Per mentalità e percorso storico. Non hanno le caratteristiche in comune che ci sono tra Europa e Stati Uniti. Ma trovano un senso di unità nel desiderio di indipendenza dalle tecnologie e dalla mentalità dell'Occidente. Anche se continuano a servirsi di istituzioni e organizzazioni occidentali, come ad esempio il sistema monetario, quello bancario e l’Organizzazione Mondiale del Commercio.

Ma è un precario matrimonio di convenienza o un solido blocco contro l’Occidente?

E molto più di un matrimonio di convenienza. Molti Paesi che ne fanno parte sono governati da regimi poco simpatici ma molto stabili.

Si tratta spesso di autocrazie, con leader dalle idee sovraniste. Una politica estera comune sembra un ossimoro per i sovranismi. Crede che un fronte del genere sia sostenibile?

Per quanto riguarda la stabilità interna di questi Paesi lo è. Proprio perché sono autoritarismi. Se non conosci altre situazioni, se vivi, per esempio, tutta la tua vita in Cina o in Corea del Nord, non conosci nessun altra realtà. Solo lo statalismo, il potere assoluto dello Stato o di un solo uomo. Magari con una app di messaging unica sul telefono. Ma è il tuo mondo, non ti pare strano.

Già. E a sovvertirlo non ci pensi nemmeno. Ma di questo “nuovo ordine mondiale”, la Cina è poi così convinta? I cinesi sono pragmatici, vogliono commerciare e fare soldi. I loro mercati più importanti sono Europa e America. Non hanno mai voluto una “rivoluzione” degli assetti internazionali. Hanno cambiato idea?

La Cina ha sempre avuto e ha tuttora una propria agenda. Che riguarda soprattutto il commercio e lo sviluppo. Fino a poco tempo fa, lo sviluppo high-tech non si è mai fondato su una reale contrapposizione all’Occidente. Il sistema cinese ha potuto sopravvivere grazie a una situazione di non-confronto.

Non è più così?

Il modello è cambiato. La Cina usava la non contrapposizione per massimizzare il suo progresso tecnologico. Ma ora non è possibile. Per questo ha deciso di aprirsi alla collaborazione con India e Russia.

Qual è stato il maggior fattore di questo cambiamento di prospettiva da parte della Cina?

I dazi e la politica estera erratica di Trump. Ma anche le giravolte dell’Unione Europea. A volte favorevole e a volte del tutto contraria a una maggior cooperazione con la Cina. A questo punto, l’unica cooperazione possibile in Europa per Pechino è con i singoli Paesi, non con l’Ue. La Cina non capisce più quali posizioni abbia Bruxelles e cosa voglia in realtà.

Fino a che punto la Cina era disponibile a incrementare il commercio con l’Europa, dopo che Trump ha scatenato la guerra dei dazi?

La Cina si aspettava piena apertura dall’Europa nel suo insieme. Non ha capito perché l’Ue non volesse accordarsi sulle sue proposte e ha reagito con frustrazione. Pechino non ha compreso i diversi interessi nazionali dei singoli Stati membri.

E l’India? Fino a ieri rivale della Cina su tutti i fronti, a partire dalla questione dei confini, per la quale fino a cinque anni fa si sparava. Inoltre, è membro del Quad, il forum strategico con Stati Uniti, Giappone e Australia in funzione anti-cinese. Cosa ha portato all’improvviso idillio tra Xi Jinping e Nerendra Modi?

Ancora Trump. L’India si è trovata al momento giusto nel posto giusto. La politica estera del presidente americano è l’opposto di quella che fu di Kissinger, che costruì un dialogo con Cina e India Cina, facendo in modo che i due Paesi non si avvicinassero tra loro.

Trump invece è andato allo scontro con quasi tutti gli asiatici: India, Vietnam, Malaysia. E questo ha portato al desiderio di un’unità tra i Paesi della regione, cosa più unica che rara. La Russia, dal canto suo ha cavalcato la nuova realtà

Una “unità” destinata a durare, come diceva?

Mi riferivo alla stabilità dei regimi autocratici, che possono durare a lungo. Ma questa “unità asiatica” ha una prospettiva temporale che non supera i dieci o 20 anni. Le contraddizioni storiche sono troppo profonde, Un’alleanza a lungo termine appare irrealistica.

Ma Mosca vorrebbe un triangolo duraturo almeno con Pechino e Pyongyang, no?

È un atteggiamento opportunistico. Non solo da parte di Mosca. Ma nessun Paese asiatico vuole firmare formali accordi militari multilaterali. Non nascerà alcuna “Nato asiatica”. Anche se, di fatto, un’alleanza esiste già: cos’altro si deve pensare quando tre leader di potenze nucleari si stringono la mano?

Che segnale è per gli Stati Uniti?

Un segnale forte. Trump ha fallito almeno tre volte: con la Corea del Nord, con la Russia e con la Cina, che ha resistito alle tariffe americane. Nel complesso, la sua politica estera in Asia si è rivelata del tutto inefficace.

La Cina anche senza una “Nato asiatica” potrebbe farsi coinvolgere in un conflitto globale?

La Cina non vuole essere coinvolta in operazioni militari e vuole mostrarsi una potenza pacifica. Ma oggi manda un messaggio chiaro: se sarà costretta, è pronta a difendersi.

La possibilità di un ruolo di mediazione della Cina per la pace in Ucraina è tramontata? Ormai è in tutto e per tutto schierata con la Russia?

La Cina vorrebbe mediare ma gioca secondo i propri interessi, senza spingere né per quelli russi né per quelli ucraini o americani. Ma le proposte cinesi non sono state ascoltate dall’Occidente, il che ha causato frustrazione a Pechino.

La Cina non vuole che la Russia perda: i due paesi hanno ancora bisogno di cooperazione politica. Ma desidera una rapida soluzione del conflitto, soprattutto per proteggere il proprio commercio.

La congiuntura politica attuale, però, porta XI a farsi bastare quello che ha detto Putin al summit di Anchorage: è Kiev a porre ostacoli alla pace. Non credo che la Cina si farà di nuovo avanti per mediare la fine della guerra.

Xi Jinping è un partner militare attendibile per Putin?

La Russia non considera la Cina un partner militare affidabile. E se Pechino dovesse attaccare Taiwan, la Russia non si farebbe coinvolgere direttamente. Considererebbe la cosa un affare interno cinese. Ha da tempo riconosciuto formalmente Taiwan come parte del Repubblica popolare. Quindi, se la sbrighino loro.

Con la Corea de Nord, invece, la collaborazione militare è già in atto. Kim Jon-un considera aiutare la Russia sui campi di battaglia “un dovere”. I suoi soldati hanno combattuto nell’oblast di Kursk. Il partner bellico è in questo caso affidabile?

La Russia si mostra più aperta e concreta nel cooperare con Pyongyang. La collaborazione militare è reale e significativa. La Corea del Nord è un alleato militare ancora più stretto della Biolorussia, dopo l’ultimo trattato (Putin e Kim hanno firmato nel giugno 2024 un trattato che prevede mutua assistenza militare in caso di aggressione, ndr).

Sono finiti i tempi in cui Mosca puntava sulla Cina per frenare le velleità di Kim Jon-un. Oggi la Russia è pronta a fornire alla Corea del Nord tecnologie militari e missili. Soprattutto, l’uranio necessario per il programma nucleare bellico del Paese asiatico.

Che messaggio si è voluto dare con la parata militare a Pechino?

È stato principalmente uno spettacolo visivo, ma allo stesso tempo un messaggio di prestigio. Non indica necessariamente una profonda cooperazione militare. A sfilare non è stata una “Nato asiatica”, che non esiste.

Quindi l’Occidente non si dovrebbe preoccupare?

Il consiglio per l’Occidente è di non reagire frettolosamente, magari con un’escalation. I Paesi asiatici e la Russia vogliono mostrare la propria visione del mondo e preservare dignità e autonomia nelle questioni internazionali. Esiste già un’alleanza del “Sud Globale”, anche se non stabile né molto coesa.

Il miglior approccio è la flessibilità: riconoscere che esistono regimi con cui non si è d’accordo, ma con cui bisogna convivere, cercando in modo pragmatico cooperazione e dialogo.

Pechino ha finalmente firmato con la Russia un “accordo giuridicamente vincolante” per la costruzione del gasdotto “Forza della Siberia 2”, che un giorno potrebbe fornire 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno alla Repubblica Popolare.  Prevale il valore industriale o quello politico?

La Cina vuole il gas siberiano per diversificare le forniture e ridurre la dipendenza dall’Occidente, approfittando di un prezzo probabilmente molto basso. È un memorandum d’intesa, non un trattato. Ha valore soprattuto politico: la Cina vuol mostrare che anche se venisse tagliata fuori dal mercato degli idrocarburi potrebbe contare sulla Russia.

I dettagli, però, sono tutti da definire. Resta il nodo del finanziamento della sezione che attraverserebbe la Mongolia. Se completata, la pipeline creerebbe una vasta rete energetica asiatica con la Russia come hub strategico. I ricavi del gas potrebbero essere reinvestiti da Mosca nello sviluppo industriale non legato al petrolio. Ma la storica dipendenza della Russia dal settore energetico è destinata a rimanere invariata.

La passerella internazionale di Putin e Xi insieme ai leader del Sud globale era iniziata a Tianjin col summit della Shangai Cooperation Organization (Sco). Sta nascendo un nuovo quadro economico internazionale, 80 anni dopo Bretton Woods e la nascita di Fmi e Banca mondiale?

No, non si parla di creare un Fondo monetario e una Banca Mondiale asiatici: la SCO punta a cooperare con le istituzioni esistenti, mostrando apertura e collaborazione. L’idea è un sistema più equo, trasparente e con una voce propria nella definizione dell’ordine globale.

L’idea di creare una moneta unica, lanciata in ambito Brics, è tramontata?

È considerata irrealistica. Ora si discute piuttosto di una sorta di “SWIFT asiatica”, volta a garantire sicurezza e trasparenza nei trasferimenti di denaro, accettabile per tutti i Paesi membri.

Però esiste un Banca mondiale asiatica esiste: la Banca Sco

E si è sbloccato lo stallo sui contributi da parte dei Paesi che vi aderiscono. Una imposizione che a molti non piaceva per niente. Ci ha pensato la Cina: ha fornito all’istituto crediti per l’equivalente di  circa 1,4 miliardi di dollari. Il nuovo ordine mondiale non è scritto nella pietra: è un equilibrio instabile, ma è già qui.

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