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Guerra in Ucraina

Il consulente del Cremlino: “Mosca risponderà duramente se oltre alle sanzioni darete i missili Tomahawk a Kiev”

Da Mosca Alexey Maslov, accademico e consulente del Cremlino, avverte: l’offensiva contro il petrolio russo e la prospettiva di missili a lungo raggio in Ucraina spingono Mosca verso contromisure sproporzionate in Europa. Torna l’incubo nucleare. “Non è come per le linee rosse del passato, la risposta ci sarà, e dura”, concorda l’oppositore di Putin Vladislav Inozemtsev. “Prima di fornire armi del genere l’Occidente deve avere una strategia a lungo termine condivisa”. L’intervista a Fanpage.it.
Intervista a Alexey Maslov
direttore dell’Istituto per gli studi su Asia e Africa dell’Università statale di Mosca
A cura di Riccardo Amati
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Stavolta la reazione potrebbe essere “travolgente”. Proprio come ha detto Vladimir Putin. Le pressioni simultanee esercitate dall’Occidente su più fronti preoccupano il Cremlino come mai prima. Anche se l’efficacia delle nuove sanzioni è dubbia e l’eventuale dispiegamento di missili strategici a lungo raggio in Ucraina non cambierebbe il corso della guerra, nell’immediato la Russia potrebbe subire traumi tali da alterare gli equilibri che permettono l’autoconservazione della élite al potere.

Per questo, su una fornitura a Kyiv di Tomahawks o di missili simili a Kyiv è bene pensarci due volte— concordano un consulente del governo russo e un intellettuale espatriato critico dello zar. E dovrebbe essere semmai accompagnata da una visione precisa sul da farsi dopo contromisure senza precedenti da parte di Mosca.

“Putin vuole usare le sue nuove armi”

“La risposta russa rischia di essere eccessiva”, dice a Fanpage.it Alexey Maslov, professore dell’Università statale Lomonosov, e adviser del Cremlino per le relazioni internazionali, in particolare con la Cina. “Si utilizzerebbero i nuovi missili, finora rimasti negli hangar. E le operazioni non sarebbero limitate al territorio ucraino ma investirebbero l’Europa. I Paesi baltici o la Polonia, anche se è difficile fare previsioni”.

Maslov si aspetta una reazione forte fin dalle prossime settimane. Di fronte alla minaccia dei Tomahawk e alle ultime sanzioni petrolifere e finanziarie occidentali Putin non vorrà passare per uno capace solo di far la voce grossa: “Ha nuove armi da sfoggiare e non esiterà a farlo”.

Le nuove armi sono quelle a cui Putin ha fatto riferimento il 10 ottobre scorso alla Conferenza di Dushanbe, in Tagikistan. Disse che la Russia stava sviluppando e testando ordigni nucleari di nuova generazione, senza elaborare oltre. Quella delle “armi miracolose” di Putin è una saga che va avanti da almeno sette anni e che — come nel caso del Burevestnik, il missile teoricamente in grado di colpire anche dopo la fine del mondo — riguarda spesso armamenti dalla operatività e invulnerabilità illusorie. C’è chi ci fa su dell’ironia, ricordando le Wunderwaffen sbandierate da un altro dittatore poco prima della fine. Ma Putin non è alla fine, e il quadro è diverso.

Megatoni a gogo

Secondo la Federation of American Scientists (FAS), nel 2024 la Russia deteneva circa 4.300 testate nucleari, di cui poco più di 1.710 operative e pronte all'uso. Di queste, circa 870 erano installate su missili balistici terrestri, circa 640 su missili balistici lanciati da sottomarini e circa 200 su bombardieri strategici pesanti.

Il 22 ottobre, il capo del Cremlino ha diretto esercitazioni delle forze nucleari strategiche, con lanci di missili intercontinentali e bombardieri strategici. Le manovre hanno testato la prontezza della triade nucleare e le procedure per autorizzare l’uso delle atomiche. Questo, mentre Trump cancellava il summit con Putin a Budapest e preparava le nuove sanzioni contro Mosca.

La Russia ha aggiornato la sua dottrina nucleare nel novembre 2024, adottando una politica più aggressiva che abbassa la soglia per l'uso delle armi strategiche in risposta ad attacchi convenzionali. In realtà, la nuova dottrina non ha aumentato il rischio. Perché informalmente le regole d’ingaggio erano già anche più basse, dicono i diplomatici della non proliferazione. Quel che è cambiato, però, è che alcuni dei più ascoltati consiglieri di Putin hanno si sono inventati una teoria strategica che prevede la possibilità di attacchi nucleari preventivi, per far paura ai nemici e al mondo.

Alexey Maslov
Alexey Maslov

La dottrina della paura

“Dalla deterrenza all’intimidazione”, l’hanno definita i suoi due maggiori sponsor, i politologi Sergey Karaganov e Dmitry Trenin. Leggendo i loro saggi, è evidente che in una situazione come quella attuale il consiglio per il presidente è di lanciare un atomica su un territorio non abitato, a scopo dimostrativo, per incutere paura, appunto. Ed evidenziare che si fa sul serio.

La bomba potrebbe esser fatta esplodere su un poligono nell’Artico, o — perché no — sul Mar Nero, “ In modo che chi osserva da Odessa, da Nikolaev e dall’Europa capisca bene il messaggio”, come ha detto recentemente un colonnello che ha fatto parte dello Stato maggiore delle forze armate russe, Mikhail Khodarenok.

Perché i Tomahawk irritano il Cremlino

“Forse è il caso di ascoltare Putin e lasciar perdere i Tomahawk, per il momento”, dice a Fanpage.it da Vienna Vladislav Inozemtsev. Economista, già professore nelle più importanti università moscovite, critico del regime russo, Inozemtsev è co-fondatore del think tank europeo Center for Analysis and Strategies (CASE). “Meglio considerare misure efficaci contro gli invasori all’interno dell’Ucraina, e su quei missili pensarci due volte”.

Secondo l’accademico, la linea rossa tracciata da Putin sui Tomahawk è diversa da quelle poste in passato: “Siamo in un territorio inesplorato: qui non si tratta di carri armati o cacciabombardieri da usare per difendere il territorio ucraino, e nemmeno di missili a medio raggio. Parliamo di armi che colpirebbero i russi in profondità del loro territorio”. E questo è un tabù, per la leadership russa. Ne va della sua sopravvivenza.

Se succedesse qualcosa di terribile all’interno della Russia, il regime sarebbe improvvisamente a rischio: “Ora il sistema non è in pericolo, perché tutto ciò che vogliono i russi è che la situazione non peggiori: nessuno si aspetta progressi o più benessere. Basta che non accada nulla di terribile”, spiega Inozemtsev. “L’approccio è razionale: è un adattamento silenzioso a una realtà in cui l’azione politica è bloccata e il dissenso punito”. Ma di fronte a missili su Mosca o a disastri simili, la proverbiale pazienza dei russi si esaurirebbe.

Non è l’economia, baby

Un differente tipo di disastro che il Cremlino farebbe bene a temere è quello economico. L’effetto espansivo della forte spesa per il settore militare, ormai pari al 7,2 per cento del Pil, si è esaurito. La banca centrale si aspetta una crescita di appena lo 0.5 per cento, quest’anno. L’economista Inozemtsev è più pessimista: “Ci sarà una moderata recessione”. Al contempo, è ripartita l’inflazione, spinta dall’imminente aumento dell’Iva e dagli effetti dei bombardamenti ucraini su raffinerie e depositi di benzina. Con i Tomahawk anche le istallazioni energetiche della Russia più profonda, storicamente sicura in caso di guerre, sarebbero sotto tiro. Mentre le sanzioni petrolifere “di certo sono un fattore esterno negativo”, ha ammesso la governatrice di Banca di Russia Elvira Nabiullina.

Me anche se per l’economia “non c’è alcun segnale positivo”, Putin potrà andare avanti con la sua guerra “per diversi anni”, secondo Vladislav Inozemtsev. “Ha limitato ogni altra sua ambizione. Economizzerà su tutto il resto, se avrà problemi a finanziare la guerra. Che resta la priorità”. E i cittadini non si lamenteranno. A meno di vere catastrofi. A confermare che il leader russo intende continuare a combattere fino a ottenere i suoi obiettivi massimalistici in Ucraina, e che non sta mettendo in conto una pace in tempi brevi, e in atto una “mobilitazione strisciante” — così la definisce Inozemtsev. Una nuova legge permetterà di mandare i riservisti in Ucraina anche senza che vengano proclamate mobilitazione generale e legge marziale. E i riservisti sono tanti. Fino a due milioni, secondo alcune stime.

“Smertonomika”

Per molti, far la guerra conviene. O almeno così pensano i volontari quando firmano il contratto: circa duemila euro al mese, come minimo. Oltre a un “premio di ingaggio” di 17mila euro. In Siberia, nella oblast degli Altai o in quella di Tuva, dove la paga di un operaio è di circa 250 euro, partono per il fronte in parecchi. In caso di morte, la famiglia del soldato ucciso incassa l’equivalente di una ventina di salari medi annuali. Inozemtsev la chiama “smertonomika”, ovvero “economia della morte”(Smert in russo vuol dire morte). “È un sistema efficiente”, spiega l’economista. La morte in guerra diventa fonte di reddito e di sviluppo. “Chi riceve questi soldi li investe quasi sempre in modo saggio e produttivo”. Tragica efficacia. “Questo sistema resterà in piedi ancora a lungo, con qualche variazione che permetterà allo Stato di risparmiare qualcosa. Sfruttando i riservisti, per esempio”.

Linee rosse e linea dura

Il Cremlino in questi quasi quattro anni di guerra ha posto linee rosse decine di volte. L’ Institute for the Study of War (ISW) ne ha contate 39 solo nel 2022 e nel 2023. Ogni volta, Putin o chi per lui ha minacciato il finimondo. Ma le linee rosse sono state oltrepassate senza che il mondo finisse. Intanto, anche il più ostinato sognatore, o “wishful thinker” se preferite, ha ormai capito che la pace non è la priorità di Putin e che il regime russo intende continuare questo conflitto fino a quando potrà dire di averlo vinto, sul campo o “a tavolino” con un accordo che ratifichi la disfatta di Kyiv. “L’Occidente a questo punto non può aspettarsi mosse diplomatiche distensive da parte di Mosca”, afferma Alexey Maslov. “Deve muoversi l’Occidente”. Ogni volta che qualcuno si è mosso, spesso male, ha però sbattuto contro i “niet” del Cremlino.

Ha ragione da vendere chi ritiene che solo con pugno di ferro, leve economiche adeguate e armi potenti si possa convincere lo zar a un compromesso e porre fine alla carneficina. Ma prima di una mossa, quella su missili a lunga gittata, dalle conseguenze potenzialmente devastanti, è necessario definire “una strategia a lungo termine chiara e condivisa con gli alleati della NATO, per saper come rispondere alle contromosse di Putin”, per dirla con Inozemtsev. Altrimenti, è consigliabile astenersi.

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