Il cardinale Pizzaballa descrive cosa ha visto a Gaza: “Distruzione enorme, la gente vive senza niente”

“A Gaza la fame non si vede, ma si tocca”, ha dichiarato il Cardinale Pierbattista Pizzaballa rispondendo ad alcune domande durante una conferenza stampa a Gerusalemme. Il Cardinale è appena rientrato dalla Striscia di Gaza, dove è riuscito ad entrare insieme al patriarca greco-ortodosso Theophilos III, in seguito al bombardamento israeliano sulla Parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza.
“Ancora una volta non abbiamo le prove (che testimoniano che l’attacco alla chiesa sia stato casuale o meno)”, ha dichiarato riferendosi a quanto detto in precedenza del Segretario di Stato Parolin. “Non conosciamo ancora i dettagli esatti di ciò che è accaduto. Ma i fatti restano e non è la prima volta che la comunità cristiana viene colpita a Gaza. Sono attacchi casuali? Sono intenzionali? Non lo sappiamo. La mancanza di informazioni si presta a tante interpretazioni”.
L’esercito israeliano l’ha definito “un errore”, ma bombardare chiese, moschee, come ospedali, scuole e giornalisti restano comunque crimini di guerra e contro l’umanità.
“La distruzione che ho trovato a Gaza è enorme, – così ancora il Patriarca latino di Gerusalemme – molto più estesa rispetto all’ultima volta che sono entrato nella Striscia. Mi ha fatto impressione vedere un quartiere che prima era vivacissimo, intorno alla scuola delle suore, ora trasformato in una landa desolata, morto. Poi le tende dappertutto, soprattutto sulle spiagge, una distesa incredibile, un mare di tende dove la gente vive senza niente".
Durante la sua visita a Gaza, che sarebbe dovuta terminare domenica ma che si è prolungata fino a ieri a causa dell’"assenza di vie sicure" per uscire, il Cardinale Pizzaballa ha anche visitato l’ospedale Al-Ahli: “Si tratta più di un ospedale da campo che di un ospedale vero e proprio. È uno dei pochi ancora parzialmente funzionanti. Migliaia di persone arrivano ogni giorno, spesso sono costrette a stare per terra perché non c’è posto. Quello che colpisce davvero è vedere i bambini mutilati. Alcuni non parlano, non riescono a comunicare nemmeno con i genitori. Un padre mi ha detto che quello che avevo davanti era il suo unico figlio rimasto. Sono cose che fanno impressione, un conto è sentirle raccontare un conto è toccarle con mano”.
Poi ha aggiunto: “Andare a Gaza, vedere le immagini, incontrare le persone, ascoltare le storie – ogni volto ha dietro di sé una storia precisa – fa una grande differenza”.

“La fame a Gaza – continua il Cardinale – non ha un volto visibile, ma si capisce da tante cose: dalle domande che le persone fanno, dal modo in cui camminano, dal modo in cui parlano i medici. Anche i nostri, che pure sono protetti e in condizioni relativamente migliori, sentono la fame. Cucinano due volte alla settimana, e “cucinare” vuol dire un po’ di riso, un po’ di pane, tutto lì. Non c’è altro. (A Gaza) c’è una fame reale”.
"Ma, nonostante tutto, – ha concluso – rimanere uomini significa coltivare ancora speranza, coltivare il desiderio di fare qualcosa, di una speranza per il dopo. Una cosa che mi ha colpito è che le persone usavano il tempo presente, dicevano ‘io ho un negozio', ‘io ho una casa', nonostante abbiano perso tutto, non abbiano più niente, usano ancora il presente, per sottolineare che ‘io sono ancora qui, sono ancora vivo'".