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Guerra in Ucraina

“I russi stanno con Putin ma non hanno ancora capito quanto gli costerà la guerra”

Parla a Fanpage.it il sociologo Lev Gudkov. “Il patriottismo è forzato dalla propaganda anti-occidentale”. La società “si illude di essere impermeabile a conseguenze che saranno catastrofiche”. E il regime sconfina nel totalitarismo. Mentre l’“Homo sovieticus” torna a prosperare.
Intervista a Lev Gudkov
Sociologo
A cura di Redazione
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Questo articolo non è firmato a tutela del nostro inviato a Mosca, dopo l'approvazione di leggi contro la libertà di stampa in Russia

Nessun entusiasmo e “un miscuglio di emozioni” che vanno dalla depressione alla vergogna e che potrebbero prevalere quando la popolazione si troverà a pagare “i costi catastrofici del conflitto”. Secondo Lev Gudkov del Levada Tsentr, l’indubbio successo del regime nel creare consenso intorno alla bandiera potrebbe avere vita breve. Anche se la narrativa della contrapposizione all’Occidente “tocca corde profonde e funziona”. E l’”accentuazione dei caratteri totalitari” del sistema rianima il conformismo cinico e opportunista che fu tipico dei cittadini dell’Urss. L’Istituto indipendente di indagini sociologiche Levada non è mai stato chiuso dalle autorità, probabilmente perché anche il Cremlino ha bisogno di sondaggi credibili. È però da tempo stato inserito nella lista degli “agenti stranieri”. Clienti e commissioni sono spariti. Occupa ormai solo poche stanze della sua sede storica sulla Nikolskaya, strada pedonale regina di quello che fu il turismo internazionale moscovita, a due passi dalla Piazza Rossa. Lev Gudkov è probabilmente il più autorevole sociologo del Paese.

Lev Gudkov
Lev Gudkov

Come è cambiata la società russa negli ultimi 70 giorni, se è cambiata?

Non è cambiata la società, è cambiato il suo stato: oggi è in uno stato di mobilitazione a supporto delle forze armate. Diverso da quello in cui era prima della guerra. La mobilitazione è dovuta al fatto che tutti i canali alternativi di informazione sono stati bloccati. È il motivo per cui la propaganda funziona. Parallelamente, sono state varate nuove leggi repressive e gli interventi di polizia e magistratura son diventati più duri: chi protesta contro la guerra viene punito severamente, non solo con l’arresto ma anche con le multe e col licenziamento dal lavoro.

Intanto, il sostegno dei russi alla guerra resta alto, anche se in discesa rispetto al mese di marzo: dall’81% all’attuale 74%. Il patriottismo sembra vincente.

È patriottismo forzato. La situazione è diversa da quella vista nel 2014 con l’annessione della Crimea. Al contrario di allora, oggi non osserviamo alcun entusiasmo. Piuttosto, un miscuglio di sentimenti: da un lato c’è soddisfazione e orgoglio perché la Russia – spiega la narrativa del regime – sta combattendo per liberare il mondo dal “nazismo ucraino”; dall’altro lato, vediamo agire disperazione, depressione, orrore, vergogna, shock per ciò che sta accadendo. Quali di questi sentimenti possano prevalere, dipende via via da quello che accade.

Per il 9 maggio prevarrà il sostegno alla guerra.

Sarà certo il culmine della campagna patriottica. Ma la guerra lampo è fallita e non ci sono molti successi da celebrare. Detto questo, la maggioranza sarà a favore di continuare fino alla vittoria. Il conformismo in questo momento è più forte della paura, che pure è ben presente nella società.

Il gradimento dei russi nei confronti del loro presidente resta molto alto ma sembra aver raggiunto il plateau. Dall’ 83% di marzo è sceso all’81%. Come leggere questi dati?

Il sostegno a Putin aumenta ogni volta che la Russia inizia una guerra. È stato così per la seconda guerra cecena, la guerra in Georgia, l’annessione della Crimea. Ed è così anche oggi. Il massimo si registrò nel 2015, un anno dopo il successo in Crimea: 89%. Poi però, per esempio nell’autunno del 2017 e in quest’ultimo autunno del 2021, abbiamo osservato una notevole diminuzione del rating e della popolarità del presidente, e registrato persino del malcontento. Solo la campagna militare attualmente in corso ha rialzato le quotazioni.

Si sente dire parecchio in giro che la situazione creata dalla guerra durerà qualche mese e poi tutto tornerà come prima. È una pia illusione?

È naturale che ci sia questo tipo di illusione nella società: le persone vorrebbero essere impermeabili alle conseguenze di questa avventura militare. E saranno conseguenze catastrofiche: la Russia subirà un ritardo di dieci anni nel suo sviluppo economico. Se non ci sarà un finale ancora più drammatico. I russi non hanno ancora capito quanto costerà loro questa guerra. Sia in termini economici che in termini politici.

A proposito di costi politici: anche prima dell’ “operazione speciale” in Ucraina lei definiva il sistema Putin come un “totalitarismo ricorrente”. Nel senso che vi si riscontravano caratteristiche del totalitarismo sovietico, mai metabolizzato. La guerra oggi sembra alimentare questi aspetti del regime. La Russia sta diventando uno stato pienamente totalitario?

Ancora non lo è. Ma è certamente in aumento la tendenza a rafforzare il regime repressivo e il controllo statale sugli ambiti della vita civile, dell'arte, della cultura, della religione, della vita privata, dell’istruzione. È un’accentuazione dei caratteri totalitari. Lo stato cerca di controllare tutte le aree della vita sociale. E siccome questo provoca resistenza, anche la repressione si intensifica.

Il suo maestro Yuri Levada e poi lei in prima persona avete studiato il concetto di “Homo sovieticus”: il cittadino tipico dell’ Urss che aveva sviluppato alti livelli di conformismo, cinismo e opportunismo per adattarsi al regime totalitario. L’ Homo sovieticus non si è estinto con l’Urss, avete scoperto. Come sta, oggi? Quanto è diffuso nella Russia dI Putin?

Quello del sovetsky chelovek (uomo sovietico) è un modello complesso, ma la sua caratteristica principale è di aver imparato ad adattarsi a uno stato repressivo. Pertanto, l’attuale inasprimento della politica repressiva e il rafforzamento delle strutture di potere lo stanno rianimando. Complice un’istruzione pubblica mai riformata, le nuove generazioni sviluppano le stesse capacità di adattamento alla repressione dell’Homo sovieticus. Tutte le abitudini tipiche di un’esistenza in una società chiusa si stanno oggi attivando, in parte sotto l’influenza della propaganda, in parte per la cultura politica di tipo sovietico che Putin vuol restaurare.

È per questo che ai russi sembra non pesare troppo l’auto-isolamento indotto dal conflitto ucraino?

Certo. Quando la gente dice di potercela fare senza l'Occidente, anche questo è un elemento del passato sovietico.

Perché la narrativa anti-occidentale è così importante per il sistema Putin?

Perché tocca corde profonde. La presunta minaccia proveniente dall’Occidente è sentita come una minaccia alla cultura, ai valori e all'esistenza materiale della Russia. Inoltre c’è un forte risentimento, verso l’Occidente. Perché per i russi resta ancora un ideale irraggiungibile. Un modello dove c'è libertà, democrazia, un alto tenore di vita. Nonostante la narrativa anti-occidentale, la percezione resta questa. E per screditare i valori occidentali, la propaganda ribalta i fatti. Spiega che l'Occidente cerca di distruggere, umiliare e indebolire la Russia. E che l'Occidente ha provocato la guerra in Ucraina. Senza questo fattore di minaccia per l'esistenza della Russia, l'intero sistema repressivo non funzionerebbe. Senza la costante intimidazione, la minaccia di un'invasione militare, l'ostilità dell'Occidente, il consolidamento della società russa nei confronti dell’autorità sarebbe impossibile. La cosa funziona: quando nei sondaggi chiediamo chi è responsabile della guerra in Ucraina, la maggioranza risponde che sono gli Stati Uniti e la Nato. Al secondo posto, il governo ucraino. E solo un numero insignificante di persone dice che la colpa è di Mosca.

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