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“Haiti è un campo di battaglia, servono sangue e medicine”: il racconto di Medici senza Frontiere

L’intervista di Fanpage.it a Nicoletta Bellio, responsabile medico di Medici senza Frontiere ad Haiti, dove continua la spirale di violenza dopo che le bande armate hanno assediato gran parte dell’isola: “Mancano sangue e medicine, le scorte penso si esauriranno nelle prossime settimane. La popolazione sta soffrendo”.
A cura di Ida Artiaco
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Continua la spirale di violenza ad Haiti, dove da inizio mese le bande criminali hanno messo a ferro e fuoco l'intera isola caraibica, assediando commissariati di polizia, liberando i detenuti dalle carceri e bloccando porti e aeroporti.

E tutto mentre si aggrava la situazione umanitaria, con un numero di sfollati in continuo aumento e le difficoltà del personale medico di curare tutti i feriti che arrivano nelle strutture sanitarie a causa delle continue violenze per le strade.

Fanpage.it ne ha parlato con Nicoletta Bellio, responsabile medico di Medici senza Frontiere ad Haiti, da 11 mesi sull'isola, che ha lanciato un appello alla comunità internazionale affinché intervenga a favore della popolazione "che sta soffrendo".

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Dottoressa Bellio, si parla molto di Ucraina e Gaza, ma anche ad Haiti c'è una importante crisi umanitaria al momento….

"Haiti viene vista come una novità, è un paese che non è stato considerato, ma la crisi non è nuova. La situazione è già da qualche anno che non è delle migliori e adesso ha ricevuto il colpo di grazia e comincia ad essere complicata".

A cosa state facendo fronte in questo momento?

"Il problema principale è l'accesso alle cure perché alcuni ospedali pubblici e privati si sono ritrovati in zone che prima erano tranquille e poi sono diventate di colpo dei campi di battaglia. I pazienti e il personale in molti casi non hanno più accesso nemmeno alle strutture. Altre sono chiuse o con servizi ridotti perché non c'è personale disponibile. Per altro, una delle strutture più grandi che ha chiuso è l'ospedale universitario generale di Haiti.

Noi come Medici senza Frontiere lavoriamo in quattro strutture, due centri d'urgenza e due ospedali traumatologici. Due di queste sono state aperte proprio all'inizio del mese di marzo a seguito dell'aggravarsi della situazione".

Ci sono delle situazioni in particolare che vuole segnalare?

"Dall'ultimo weekend di febbraio abbiamo registrato un aumento importante di feriti da violenza, per cui soprattutto l'ospedale universitario ha dovuto aggiungere posti letto per poter far fronte ad un afflusso importante. Oltre a questo, c'è anche un altro problema e cioè la mancanza di sangue per le trasfusioni e la mancanza di medicine.

La situazione sanitaria è a rischio e c'è anche numero elevato di sfollati. La popolazione fugge verso quartieri più tranquilli, al momento ci sono 23 campi allestiti nella Capitale. Solo negli ultimi 10 giorni si parla di 15mila nuovi sfollati che stanno cercando rifugio soprattutto nelle scuole e nei collegi, centri improvvisati dove non ci sono docce e servizi igienici, anche l'accesso all'acqua potabile è diventato complicato. Il ministero della Salute sta istituendo cliniche mobili ma la popolazione è tanta"

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Le bande criminali hanno bloccato tutto. Cosa chiede alla comunità internazionale?

"Sì, l'aeroporto è bloccato, così come il porto. Sebbene il ministero della Salute abbia avuto la possibilità di far arrivare materiale per trasfusioni attraverso la Repubblica Dominicana, è stata una cosa eccezionale. A parte questo cargo siamo tutti bloccati. Abbiamo scorte di medicine che però credo si esauriranno entro qualche settimana. Dal punto di vista sanitario dico che la popolazione sta soffrendo, spero e chiedo che ci sia la possibilità di aprire rapidamente le frontiere al materiale medico e al personale sanitario. Noi siamo limitati nella nostra possibilità di aiutarli nonostante sforzi incredibili".

Voi vi sentite al sicuro?

"Io sono qui da 11 mesi e devo dire che abbiamo regole di sicurezza rigide, siamo tranquilli quando ci muoviamo. Non mi sento di dire di essere più vulnerabile rispetto al resto della popolazione".

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