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Così i paesi UE finanziano l’ISIS

I paesi dell’Unione Europea acquistano petrolio dallo Stato Islamico. A lanciare l’allarme, lo scorso anno, è stata l’ambasciatrice dell’UE in Iraq. Acquistare greggio dall’ISIS conviene e offre agli operatori finanziari ampi margini di profitto.
A cura di Davide Falcioni
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Il 2 settembre del 2014 Jana Hybášková, ambasciatrice in Iraq dell'Unione Europea, ha sostenuto di fronte alla Commissione Affari Esteri del Parlamento UE che alcuni paesi membri hanno acquistato petrolio direttamente dallo Stato Islamico. La diplomatica non ha specificato di quali stati parlasse, ma si è limitata a chiedere al Parlamento di mettere in campo strategie per fermare questo commercio agendo con Iran, Turchia e Kurdistan. Le dichiarazioni dell'ambasciatrice tuttavia non sono cadute nel vuoto: tre giorni dopo la parlamentare europea Kati Piri ha chiesto formalmente un approfondimento della questione con un'interrogazione in aula, mettendo fortemente in risalto la possibilità che paesi europei finanziassero lo Stato Islamico acquistando petrolio per una cifra tra i 2 e i 5 milioni di dollari al giorno: "Può l'Alto Commissario (si riferiva all'italiana Mogherini) confermare l'esistenza di un commercio illegale di petrolio, diretto o indiretto, tra alcuni stati dell'UE e l'IS? Può l'Alto Commissario spiegare cosa verrà fatto per interrompere immediatamente questo traffico?".

Poco più di due mesi dopo e in seguito a un approfondimento sulle gravi accuse formulate da una diplomatica in prima linea in Iraq, quindi realisticamente molto informata, Federica Mogherini – Alto Rappresentante dell'UE per gli Affari Esteri – ha risposto all'interrogazione della Piri: "Non esistono attualmente prove di un commercio illegale di petrolio tra IS e strutture degli Stati Membri dell'UE (…). Vi è tuttavia la possibilità che petrolio proveniente dalle zone controllate da IS venga contrabbandato attraverso il confine turco, il Kurdistan, l'Iran e altri paesi vicini. Non può esserci quindi nessuna garanzia che il petrolio proveniente da questi stati non includa quello arrivato da territori controllati dallo Stato Islamico". Una mezza ammissione, dunque, per di più dalla più alta rappresentante europea agli esteri.

Le zone di produzione di petrolio dell'IS

La produzione di greggio in Siria e Iraq. Credit: FT
La produzione di greggio in Siria e Iraq. Credit: FT

Per vie indirette alcuni stati membri del'UE finanziano lo Stato Islamico. Se i raid aerei della Grande Coalizione nell'ultimo anno potrebbero aver offerto un pretesto "ideologico" a migliaia di persone per imbracciare le armi e arruolarsi, il sostegno economico arriva in larga parte dal controllo degli importanti giacimenti di petrolio in Siria e Iraq. I combattenti di Daesh, infatti, non rischiano la vita solo per la gloria, né in cambio di 72 vergini: i compensi mensili dei miliziani sono infatti generosi. Come spiega il Financial Times la principale zona di produzione di petrolio è quella di Deir Ezzor, in Siria, con 34-40mila barili al giorno. L'IS controlla anche l'area di Qayyara, nei pressi di Mosul, in Iraq, dove la produzione è sensibilmente inferiore (8mila barili al giorno). Il greggio viene quindi venduto a prezzi estremamente concorrenziali rispetto a quelli dei mercati "ufficiali": per un barile, infatti, sono generalmente sufficienti 30 dollari, mentre ad oggi la quota finanziaria è di 45. Un risparmio significativo per gli acquirenti che – nelle zone controllate da Daesh – sono disposti a rimanere in fila anche per diversi giorni per accaparrarsi l'"oro nero", quindi re-immetterlo sul mercato. La gran parte alimenta circuiti prevalentemente locali, ma inevitabilmente non mancano i contrabbandieri pronti a fare affari con l'estero.

Acquistare petrolio dall'IS conviene

Quanto costa il greggio IS. Credit: FT
Quanto costa il greggio IS. Credit: FT

Come ricorda il Washington Post determinante è il ruolo della Turchia, paese che più volte ha dato l'idea di voler usare il bastone contro i comunisti curdi del PKK e la carota contro i feroci miliziani dell'IS: ebbene, il confine tra Turchia e Siria misura 512 chilometri ed è ridotto a un colabrodo, così come quello tra Turchia e Iraq, dove transitano centinaia di camion ogni giorno. Quanti di questi, tra le altre merci, trasportano petrolio prodotto nei territori di Daesh? E che dire del fiume Oronte, solcato – secondo il FT – da decine di piccole imbarcazioni cariche di greggio? Non mancano sistemi ben più rudimentali: sui dorsi dei muli vengono caricate tra le 4 e le 8 taniche da 25 litri alla volta. Gli animali partono da al Sarmada, attraversano il confine turco, scaricano e tornano indietro. Osservatori internazionali, tuttavia, non dimenticano il sistema di pompe clandestino tra zone di confine. Così migliaia di barili di greggio dalle aree dell'IS finiscono in Turchia (e altri paesi) e da qui sul mercato internazionale. Come ha dichiarato la stessa Mogherini, non esiste "nessuna garanzia che il petrolio proveniente da questi stati non includa quello arrivato da territori controllati dallo Stato Islamico".

Senza un controllo attento gli stati membri dell'UE finiscono per finanziare anche Daesh. Roger Diwan, vice presidente dei servizi finanziari presso IHS Energy, ha spiegato con estrema chiarezza: "Se il petrolio dell'IS è più conveniente rispetto a quello del mercato ‘regolare' ci sarà sempre un acquirente pronto a fare affari". Appare evidente, dunque, che la guerra dello Stato Islamico non ha motivazioni religiose, come sempre più spesso viene raccontato.  Le ragioni sono al contrario economiche, ed è quindi sui canali di finanziamento che è necessario agire. Secondo numerosi studi, l'IS può contare su beni per un valore stimato in 2miliardi di dollari e un fatturato annuo di 2,9 miliardi di dollari, in buona parte provenienti dalla vendita di petrolio, ma anche da altre fonti (ad esempio il traffico di esseri umani, opere d'arte e altri finanziamenti esterni). Per avere un'idea del colosso con cui abbiamo a che fare basti sapere che il fatturato dei talebani è stimato in soli 53,2 milioni di dollari.

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