Gaza, scontro tra Netanyahu ed esercito: il premier spinge per l’occupazione, il capo dell’IDF frena

"La decisione è presa: Israele occuperà la Striscia di Gaza". La notizia è arrivata nel tardo pomeriggio di ieri da fonti di primo piano dell'ufficio del primo ministro, Benjamin Netanyahu. Secondo alti funzionari dell'esecutivo citati dai media dello stato ebraico, il premier è convinto che "Hamas non rilascerà altri ostaggi senza la resa completa", anche se il suo progetto reale non sembra essere quello di portare in salvo gli ostaggi, quanto estendere definitivamente la colonizzazione della Palestina anche a Gaza, come d'altro canto aveva ammesso la ministra israeliana della Scienza e della Tecnologia, Gila Gamliel, pubblicando di recente un video in cui la Striscia viene presentata come una grande riviera stracolma di turisti e grattacieli di lusso.
Il piano di Netanyahu prevede che l’esercito prenda il controllo anche al restante 25% del territorio della Striscia, comprese le aree dove si sospetta siano detenuti gli ostaggi. Ma a opporsi frontalmente a questa strategia è stato il Capo di Stato Maggiore delle forze armate Eyal Zamir, secondo cui una simile manovra militare comporterebbe un rischio operativo altissimo, oltre che potenzialmente letale per gli stessi prigionieri israeliani. Il messaggio di Netanyahu al generale è stato perentorio: "Se non è d'accordo, si dimetta".

A pesare sullo scontro è anche la recente scelta di Zamir di revocare lo stato di emergenza bellica introdotto dopo il 7 ottobre. Secondo YNet tale misura, che obbligava i soldati regolari a prolungare il servizio per ulteriori quattro mesi in riserva, è stata annullata proprio mentre il governo discuteva l'espansione del conflitto. Una scelta interpretata da molti come un segnale chiaro del capo dell’IDF: ridurre il carico sui combattenti, non allargare l’offensiva. L'esercito ha motivato la decisione con preoccupazioni concrete: "Abbiamo identificato carenze nel nuovo modello, e il ritardo nelle dimissioni ha causato seri danni alla struttura delle riserve. Si sono verificati squilibri nei team di combattimento e ne ha risentito anche il modello di alimentazione delle forze di riserva".
Lo scontro tra Netanyahu e Zamir si riflette anche nel gabinetto di sicurezza, dove si delineano due fronti contrapposti. A favore della linea dura – l’espansione dell’offensiva e l’occupazione totale – si schierano il ministro degli Affari Strategici Ron Dermer, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir, il segretario militare Roman Gofman e il segretario di gabinetto Yossi Fuchs. Dall’altra parte, accanto a Zamir, si posizionano figure di primo piano dell’apparato di sicurezza e intelligence, come il capo del Mossad David Barnea, il capo della sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi, il negoziatore dello Shin Bet e il maggiore generale Nitzan Alon, responsabile del dossier ostaggi. Con loro anche il ministro degli Esteri Gideon Saar e il leader religioso Aryeh Deri, favorevoli a mantenere aperta la strada del cessate il fuoco. Secondo fonti militari, un’operazione su larga scala – con almeno sei divisioni da impiegare in aree densamente popolate e fortificate da Hamas – comporterebbe mesi di combattimenti intensi e nuove vittime tra i civili, già in condizioni umanitarie disperate.