Gaza, MSF denuncia: “Aiuti insufficienti e bloccati da Israele, ospedali della Striscia senza elettricità”

Nonostante il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, nella Striscia di Gaza proseguono i bombardamenti e le uccisioni di civili palestinesi in uno scenario apocalittico, tra quartieri interamente rasi al suolo, resti umani intrappolati tra le macerie e migliaia di sfollati che tornano alla ricerca di quella che un tempo era la loro casa. In questo quadro catastrofico nei giorni scorsi Medici Senza Frontiere ha potuto riaprire una delle sue strutture sanitarie, quella di Gaza City, tornando a fornire assistenza e cure a centinaia di pazienti.
"I bisogni sono enormi, cessate il fuoco o no", racconta a Fanpage.it Jacob Granger, Coordinatore delle emergenze di MSF nella Striscia, appena rientrato nella principale città della Striscia. A fine settembre, l’organizzazione era stata costretta a chiudere la sua unica clinica e a interrompere la distribuzione dell’acqua per motivi di sicurezza: i carri armati si trovavano a meno di duecento metri dagli ospedali, le esplosioni rendevano impossibile ogni attività. Oggi, nonostante una fragile tregua, la popolazione continua a vivere in condizioni disperate.
Le urgenze mediche si intrecciano con la mancanza di acqua potabile, il rischio di epidemie e l’assenza di infrastrutture di base. Interi quartieri del nord, da Jabalia a Sheikh Radwan, sono ridotti in macerie, e chi è rimasto sopravvive senza elettricità, cibo o cure. Nonostante gli accordi del cessate il fuoco prevedano una ripresa della distribuzione degli aiuti umanitari, Granger denuncia le gravi limitazioni ancora imposte unilateralmente da Israele: generatori, materiali per sterilizzare strumenti chirurgici, apparecchiature mediche essenziali sono ancora bloccati. "Non è solo una questione di quantità, ma di ciò che ci è permesso far entrare", spiega. Senza un accesso umanitario libero e garantito, spiega Granger, l’assistenza sanitaria resta un’impresa quasi impossibile.
Circa un mese fa siete stati costretti a sospendere le attività mediche a Gaza City a causa dell’incessante offensiva israeliana; ci sono ora le condizioni per lavorare in sicurezza? Qual è la situazione nella Striscia di Gaza dopo l’inizio del cessate il fuoco?
Il 24 settembre abbiamo dovuto chiudere l’unica clinica che gestivamo a Gaza City, il nostro centro di assistenza sanitaria primaria vicino all’ospedale Shifa. Già due giorni prima, il 22 settembre, avevamo interrotto il servizio di distribuzione dell’acqua. La decisione è stata inevitabile: la situazione di sicurezza era insostenibile. Le autorità israeliane non avevano garantito condizioni minime per lavorare; i bombardamenti erano continui e i carri armati si trovavano a meno di 150 metri dagli ospedali, e a 500 o 700 metri dalle cliniche di Medici Senza Frontiere.
Siamo stati costretti a lasciare la città nonostante i bisogni fossero enormi. Siamo riusciti a tornare a Gaza City e a riaprire la clinica, oltre a riprendere la distribuzione dell’acqua, soltanto il 14 e 15 ottobre. I bisogni restano enormi, cessate il fuoco o no. Il fatto che ci siano meno bombardamenti non cambia la realtà: le persone continuano ad ammalarsi, continuano ad avere bisogno di acqua, di cibo e di cure.
Al momento la situazione consente il nostro ritorno a Gaza City, ma la domanda resta la stessa: per quanto tempo? Quali garanzie abbiamo che il cessate il fuoco regga davvero? E oltre al cessate il fuoco, è fondamentale che venga garantito un accesso umanitario libero, senza ostacoli, da tutti i valichi della Striscia.

Molte persone stanno tornando nel nord della Striscia di Gaza nonostante la scarsità di servizi medici. Quali rischi sanitari affronta oggi la popolazione in quelle aree e quali sono le urgenze più gravi che state riscontrando?
Sì, molte persone stanno tornando verso il nord della Striscia e a Gaza City, ma ciò che trovano è devastazione. Nei quartieri di Jabalia, Beit Hanoun, Sheikh Radwan, Sabra o Tell el-Hawa non ci sono più edifici, solo macerie su macerie. Ci sono stato la settimana scorsa: tutto è distrutto. Ho visto persone cercare di capire se la loro casa fosse ancora in piedi, se avessero ancora un posto dove vivere. Un mio collega, che abitava nel nord di Gaza City, non è riuscito nemmeno a riconoscere la zona in cui viveva: le strade non esistono più.
Alcune famiglie sono rimaste lì fin da settembre, senza aver mai potuto lasciare la zona. Per loro i bisogni sono estremi: assistenza medica, cibo, acqua e, soprattutto, la garanzia che la guerra non ricominci.
Le emergenze più gravi che vediamo oggi riguardano la mancanza di acqua potabile, l’accesso alle cure mediche e lo sfollamento continuo della popolazione. C’è il rischio di epidemie legate alla scarsità d’acqua e alle cattive condizioni igieniche. Senza forniture sanitarie adeguate e senza infrastrutture funzionanti, è impossibile affrontare malattie infettive o curare ferite di guerra in modo sicuro.
MSF ha chiesto un “aumento massiccio e sostenuto” degli aiuti: cosa manca ancora? Avete forniture mediche a sufficienza per le vostre strutture sanitarie?
La quantità di aiuti che entra nella Striscia è assolutamente insufficiente, e non è solo una questione di quantità ma anche di tipologia dei materiali autorizzati. Molti articoli essenziali restano bloccati dalle autorità israeliane. Parliamo di generatori, pezzi di ricambio per i generatori, autoclavi – le grandi macchine necessarie per sterilizzare i set chirurgici – apparecchi per radiografie e molto altro.
Oggi negli ospedali non c’è elettricità: nessuna struttura sanitaria è collegata a una linea elettrica stabile. Senza generatori o ricambi è impossibile far funzionare le sale operatorie o mantenere in vita i pazienti in terapia intensiva.
È urgente che gli aiuti umanitari e medici possano entrare liberamente nella Striscia di Gaza, senza restrizioni arbitrarie, e che arrivino fino alla popolazione attraverso tutti i valichi. Senza questo, non possiamo garantire cure né risposte umanitarie adeguate.