Dipendente morto per aver lavoro troppo. La Sony dovrà pagare: cosa è successo

Il "superlavoro" è da considerare una causa di morte. L'ha deciso l'Ufficio di verifica delle condizioni di lavoro del Giappone che, chiamato a sentenziare sul decesso un dipendente di Sony negli Emirati arabi uniti a gennaio 2018, ha condannato la multinazionale a risarcire i parenti della vittima.
80 ore mensili medie in più dell'orario previsto
La vittima, 40enne assunto a tempo indeterminato nel 2007 e poi inviata a occuparsi del marketing dei prodotti elettronici Sony a Dubai, nel gennaio di tre anni fa è morto a causa di infarto. Nei tre mesi precedenti aveva lavorato 80 ore mensili medie in più dell'orario previsto, stando a quanto accertato. La famiglia, ha presentato la richiesta di risarcimento per infortunio sul lavoro, che in un primo momento non è stato riconosciuta, perché sulle registrazioni dei badge non risultava che il dipendente avesse fatto straordinari. Pur essendo morto per l'eccesso di lavoro, nell'azienda non si è voluto accertare se vi fossero responsabilità, si è trattata la questione come se nulla fosse accaduto", ha continuato la donna.
La replica della Sony
Sony ha preso atto del pronunciamento. "Preghiamo dal profondo del cuore – ha detto in un comunicato l'azienda – che il nostro collega possa riposare in pace. Prendiamo atto con sincerità del riconoscimento da parte dell'Ufficio di controllo delle condizioni di lavoro e ci impegniamo con la massima serietà nel prevenire gli infortuni sul lavoro e nel controllare le condizioni di salute dei nostri dipendenti".
La morte per superlavoro in Giappone
Il "karoshi", ovvero la morte per troppo lavoro, è un problema sociale in Giappone. Secondo gli ultimi dati disponibili (2019) ci sono state oltre 174 morti per superlavoro, la maggior parte dei quali per suicidio. Secondo le autorità nipponiche, infatti, non conta tanto la causa del decesso (infarto, ictus, o altro), ma l'ambiente e le condizioni di lavoro entro cui questo si è consumato.