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Dal Sudan in Ciad per fuggire alla guerra: “Fucilavano uomini per strada, non seppellivano i corpi”

Le testimonianze raccolte dal team di Medici senza Frontiere ad Adré in Ciad, che tra la fine di maggio e l’inizio di giugno 2023 ha accolto centinaia di persone in fuga dalla guerra in Sudan: “Abbiamo accolto anche bambini e donne incinte. In tre giorni abbiamo curato oltre 800 pazienti”.
A cura di Ida Artiaco
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Da metà aprile nel cuore dell'Africa si combatte una guerra di cui quasi nessuno parla. Si tratta della guerra del Sudan, che si va ad aggiungere a quella che da anni è scoppiata in una delle sue province, il Darfur, da almeno due decenni alle prese con la violenza etnica.

I combattimenti, scoppiati tra le forze armate sudanesi (SAF) e le forze paramilitari di supporto rapido (RSF), hanno riacceso le linee di frattura nelle comunità di tutto il Darfur, in particolare nella città di El Geneina, con conseguenti violenze e attacchi su larga scala contro i civili, intensificatisi tra la fine di maggio e l'inizio di giugno, con centinaia di migliaia di persone che sono fuggite nel Ciad orientale.

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In particolare verso Adré, dove un team di Medici senza Frontiere provvede a fornire cure e beni di primi necessità. Molti sono coloro che arrivano feriti e si dicono vittime delle milizie arabe all'interno di El Geneina.

"Tutto è cambiato per noi il 15 giugno scorso – ha raccontato Papi Maloba, unico chirurgo di MSF presente ad Adré -. Arrivano pazienti da ogni dove. Alcuni venivano trasportati su carretti trainati da asini o portati dai parenti. Non sapevamo dove iniziare. Le lesioni erano gravi: all'addome, al torace, agli arti inferiori, ai glutei. In un batter d'occhio, l'ospedale si è trasformato in un vero e proprio campo in meno di due ore. Eravamo preparati, ma non ci aspettavamo così tanti feriti
tutti insieme. Abbiamo pensato che il giorno successivo sarebbe stato un po' più tranquillo, che ci avrebbe permesso di pianificare le cose correttamente. Si è rivelato peggio: abbiamo ricevuto quasi 400 nuovi feriti".

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Dal 15 al 17 giugno scorsi sono arrivati ad André in totale 858 feriti di guerra. Dal 25 giugno alla fine di luglio, la media è scesa a 10 o meno pazienti al giorno. Il più giovane ad essere stato ricoverato aveva due mesi, il più anziano aveva più di 70 anni. In sette sono arrivati già morti. Sessantadue donne incinte hanno ricevuto cure per ferite da arma da fuoco e ferite da percosse e altre aggressioni.

"La prima paziente che sono stato chiamato a vedere era una donna che era stata colpita allo stomaco e petto, era incinta di sei mesi. Avevamo molta paura per lei perché un pezzo di proiettile è stato conficcato nel suo utero. Sfortunatamente, il bambino è morto, ma lei è riuscita a sopravvivere", ha detto Clémence Chbat, ostetrica di MSF.

Un gran numero di pazienti afferma di essere stato attaccato dalle milizie arabe a El Geneina e durante la loro fuga in Ciad. Riferiscono di essere stati presi di mira perché di etnia Masalit.

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Tante sono le testimonianze raccolte da Medici senza Frontiere. Tra queste quella di H., 26 anni: "Io e le mie due figlie insieme a mia madre e quattro delle mie sorelle ci siamo trasferiti in un rifugio collettivo nel quartiere di Al Madares. Ma non era sicuro. Il quartiere era sotto costante bombardamento. Le milizie arabe prendevano di mira i civili nei rifugi. Per un po' abbiamo avuto lenticchie e farina di mais, ma tutto è finito dopo un mese. Durante quel periodo, non avevamo cure mediche o medicine. Poi, le milizie arabe ci hanno attaccato nel rifugio. Ci hanno detto che questo non era il nostro paese e ci ha dato due opzioni: partire subito per il Ciad o essere uccisi. Hanno preso degli uomini e li hanno fucilati per le strade, senza nessuno che seppellisse i cadaveri".

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“Il 18 giugno – invece il racconto di K. 44 anni -, ho pagato un autista armato arabo 300.000 sterline sudanesi per far arrivare mia moglie e i miei figli ad Adré. Non potevo partire con loro perché ha detto che non era sicuro per la mia famiglia. Il 25 giugno sono andato sulle colline nel nord di El Geneina. Ho visto almeno 20 corpi quando ho guardato giù nella valle, e ho pregato Dio di salvarmi e permettermi di unirmi alla mia famiglia".

E oggi l'emergenza continua: secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), circa 130.000 rifugiati, principalmente donne e bambini, sono arrivati ad Adré nelle ultime settimane, provocando seri problemi umanitari. Mancano cure mediche, alloggi, aiuti alimentari, acqua e servizi igienico-sanitari, in un luogo dove l'accesso a questi bisogni è già difficile per la popolazione locale.

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