Cosa sono gli asset russi congelati, quanto valgono e perché la UE per ora non li usa

Volodymyr Zelensky sarebbe stato più contento se l’UE avesse deciso di utilizzare i fondi russi per finanziare l’Ucraina in guerra. Se non altro perché ammontano a ben più del doppio dei 90 miliardi del prestito concesso invece da Bruxelles. Ma il suo Paese ha evitato la catastrofe. A tasso zero, garantito dal bilancio comunitario — e quindi finanziato da debito comune — il prestito è comunque sufficiente per tirare avanti un paio d’anni.
Senza questa iniezione di liquidità, Kyiv rischiava di avere le casse vuote fra tre mesi o poco più. E poi, gli asset russi restano bloccati. In gran parte in Belgio, nei registri informatici del sistema Euroclear. Si può sempre decidere di usarli in futuro. Forse per ricostruire l’Ucraina, a guerra finita. Intanto, si è evitato un ulteriore scontro frontale con Mosca. Non che cambi molto. I rapporti restano di conflitto strategico. Si tratta di non precludere eventuali spiragli di dialogo nel caso fossero utili a prevenire escalation o sostenere eventuali negoziati di pace.
“Un catastrofe evitata”
Il finanziere e attivista Bill Browder, noto per la sua campagna contro Putin dopo la morte dell’avvocato Sergei Magnitsky in una prigione di Mosca, è stato fra i primi e più visibili sostenitori dell’uso degli asset russi congelati per aiutare l’Ucraina. Oggi si sente tutt’altro che sconfitto. “Va bene così, si è scongiurato il peggio”, spiega a Fanpage.it. “Entro marzo o al massimo aprile Kyiv non avrebbe più potuto sostenere la sua resistenza, e i russi avrebbero completato l’invasione”.
Tra le molte conseguenze, “venti milioni di profughi in Europa, molti dei quali in Italia”. Ora, l’erogazione immediata di euro all’Ucraina rende improbabile un simile scenario. Ma anche la precedente decisione di prolungare a tempo indeterminato il congelamento degli asset russi è considerata da Browder “di fondamentale importanza”. Un’ipoteca che può condizionare il comportamento del Cremlino. Soprattutto quando si dovrà parlare di riparazioni e ricostruzione.
Cosa sono e quanto valgono gli asset congelati
I “fondi” in questione sono riserve e titoli di proprietà dello Stato russo. Sono denominati in euro, dollari o altre valute estere. “Non sono soldi degli oligarchi: sono soldi dei cittadini russi”, ha detto a Fanpage.it un alto funzionario russo. “Tecnicamente è vero, sono fondi sovrani della banca centrale”, concorda Browder. “Ma in pratica i normali cittadini russi non li vedranno mai: sono soldi dello Stato. Ovvero di Putin”.
Europei e alleati di Kyiv li hanno bloccati dopo l’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022. Non sono confiscati. Restano legittimamente russi. Ma non possono essere spostati. Né gestiti in alcun modo dalla banca centrale russa o da altre istituzioni della Federazione.
Il valore complessivo è enorme: circa 300 miliardi di euro. Di questi, 210 sono immobilizzati in Europa, in gran parte sui conti del sistema di compensazione finanziari Euroclear a Bruxelles. Altri miliardi sono fuori dall’UE, negli Stati Uniti, in Giappone e altrove. Non vi immaginate pile di dobloni, è denaro smaterializzato: titoli, obbligazioni, riserve valutarie. Producono rendimenti e interessi.
Dal 2024 l’UE ha autorizzato l’uso dei proventi generati da questi asset per sostenere l’Ucraina nel breve termine. “Circa 5 miliardi sono stati di fatto confiscati”, dice a Fanpage.it Chris Weafer, capo di Macro-Advisory, società di consulenza economico-finanziaria con 20 anni di esperienza in Russia. “Finora il Cremlino ha fatto finta di niente. Adesso ha chiarito che non tollererà oltre la situazione”.
Perché ne ha discusso l’UE
I conti russi in Euroclear furono congelati per punire Mosca e isolare l’economia russa. Non se ne prevedeva alcun utilizzo. Era una sanzione e basta. Poi le cose son cambiate. L’Ucraina ha sempre più bisogno di soldi per pagare i salari, comprare armi e munizioni, garantire i servizi pubblici.
Elaborando l’idea promossa da Bill Browder, da altri attivisti e da politici, l’esecutivo UE ha proposto di usare gli asset russi come garanzia per emettere obbligazioni. I soldi raccolti sarebbero andati a Kiev. Che li avrebbe restituiti solo se e quando la Russia avesse pagato le riparazioni alla fine della guerra. Da qui la definizione di “reparations loan”, o “prestito di riparazione”.
L’operazione non prevedeva trasferimenti di proprietà: i fondi sarebbero restati russi. Ma la loro immobilizzazione sarebbe servita a garantire gli investitori, i sottoscrittori delle obbligazioni. Sarebbero stati quello che sui mercati finanziari si chiama “collaterale” del prestito.
Le decisioni di Bruxelles
La decisione di protrarre indefinitamente il congelamento ha reso stabile una situazione che prima richiedeva rinnovi semestrali. I leader europei hanno concordato che i fondi rimarranno immobilizzati fino alla fine della guerra e oltre, “finché la Russia non pagherà per i danni causati”. La questione di un prossimo uso degli asset congelati rimane quindi aperta.
Il motivo per cui, nella notte tra giovedì e venerdì, il Consiglio europeo ha deciso di non usarli per adesso è la mancanza di un consenso. Non serviva l’unanimità. Ma le preoccupazioni del Belgio — che teme il costo di cause legali contro Euroclear — e di altri Paesi tra cui l’Italia, insieme alla drastica opposizione di Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchi, stavano creando una spaccatura politicamente insostenibile.
Ma c’era il piano B. L’ultima possibilità. Cèchi, ungheresi e slovacchi hanno alla fine detto sì. A patto di non tirar fuori nemmeno un euro. Bontà loro. Da qui, l’approvazione del prestito da 90 miliardi. “È vergognoso che i tre Paesi beneficiari netti dell’Unione e sempre a chieder soldi, impongano agli altri un onere extra per finanziare l’Ucraina”, dice Browder. “Il prestito non fornito andrebbe triplicato e detratto dai fondi UE di cui sono destinatari”.
I rischi di un futuro utilizzo
Dopo che l’immobilizzazione dei fondi è stata protratta a tempo indeterminato, la Banca di Russia ha citato in giudizio Euroclear chiedendo 230 miliardi di danni. L’uso diretto degli asset congelati potrebbe violare regole internazionali sulla proprietà degli Stati. Molti giuristi invitano alla prudenza. Si temono rappresaglie economiche, contenziosi e instabilità finanziaria.
“Se finora Mosca non ha reagito, da ora in poi lo farà”, ritiene Chris Weafer. “Sono a rischio immediato i conti delle aziende dei ‘Paesi ostili’ in Russia: potrebbero essere oggetto di confische di entità proporzionale a quella dei fondi russi congelati in Europa.
Tra gli Stati nel mirino, Belgio, Francia, Austria e Germania. Poi, se le tensioni tra UE e Russia dovessero aumentare oltremodo, “il Cremlino potrebbe arrivare a colpire le aziende occidentali ancora attive nella Federazione, ma sarebbe solo un ultima istanza — quando non ci fosse più alcuna speranza di restaurare rapporti commerciali, e la Russia vorrebbe restaurarli”. In Russia operano ancora circa circa 600 aziende italiane, tra piccole e grandi, secondo Macro-Advisory. Al Cremlino ritengono anche di poter lanciare — nel caso di utilizzo unilaterale dei fondi in Euroclear — una campagna internazionale di sfiducia nei confronti dell’area euro, ci ha riferito una persona vicina ai centri decisionali moscoviti.
“Sciocchezze”, commenta Browder. “Nessuno perderebbe fiducia nell’euro. Parlando da investitore, posso anzi dire che la fiducia anzi aumenterebbe, perché aumenterebbero i problemi di un nemico dell’Europa: Vladimir Putin”. Resta il fatto che con la Russia prima o poi si dovrà tornare a parlare. La decisione presa a Bruxelles va valutata anche alla luce della dichiarazione di Emmanuel Macron, secondo cui l’Europa “dovrà tornare a parlare direttamente con Putin” per rimanere coinvolta nei negoziati e mantenere rilevanza politica.