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Guerra in Ucraina

Cosa rischiamo con la fine dell’accordo sul grano decisa dalla Russia

L’intervista di Fanpage.it a Tommaso Emiliani, strategic synergies manager presso EIT Food e ricercatore per ISPI, sulla decisione presa dalla Russia di non rinnovare l’accordo sul grano: “Ci sono tre implicazioni immediate: sopravvivenza dell’Ucraina, inflazione e crisi alimentare”.
Intervista a Tommaso Emiliani
Strategic Synergies Manager presso EIT Food e ricercatore per ISPI.
A cura di Ida Artiaco
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"Ci sono diverse implicazioni che possono derivare dal mancato rinnovo dell'accordo sul grano da parte della Russia. La più immediata riguarda la sopravvivenza stessa dell'Ucraina, ma anche l'inflazione e i problemi alimentari dei paesi in via di sviluppo".

A parlare è Tommaso Emiliani, strategic synergies manager presso EIT Food e ricercatore per ISPI, l'Istituto per gli studi di politica internazionale, che a Fanpage.it ha spiegato quali saranno le conseguenze della fine dell'accordo sul grano da parte di Mosca.

Il patto, stipulato a luglio 2022, ha permesso di esportare attraverso il Mar Nero quasi 33 miliardi di tonnellate di cereali provenienti dall'Ucraina. In questo modo il Cremlino non garantirà più il passaggio sicuro dei rifornimenti di grano e altri beni di prima necessità ucraini via mare. Decisione che è stata definita "irrevocabile" dal rappresentante di Mosca all’Onu

Emiliani, le Nazioni Unite hanno affermato che milioni di persone affamate pagheranno il prezzo della decisione russa di mettere fine all'accordo sull'export di grano. Può darci dei numeri?

"Come sempre in questi casi, quando si verificano eventi che hanno una portata planetaria, si tende a estremizzarne gli effetti. Ma numeri esatti riguardo all'impatto di questa decisione al momento non è facile darli. Quello che si può fare invece sono considerazioni contestuali che ci aiutano a capire meglio la situazione".

Perché il Cremlino ha preso questa decisione?

"Cominciamo col dire che l'accordo non è proprio morto. La Russia da diversi mesi minaccia di ritirarsi dall'accordo anche prima dell'ultimo rinnovo, firmato a marzo scorso. Si era parlato di una volontà di Mosca di ritirarsi definitivamente, poi alla fine è stata convinta dal presidente turco Erdogan a cedere. Questa volta sembra fare ancora di più sul serio.

Il punto centrale è quello che la Russia vuole ottenere, e cioè vuole assicurarsi in primo luogo che tutta una serie di oligarchi, i cosiddetti signori dell'ammoniaca, che è uno dei componenti dei fertilizzanti che esporta in tutto il mondo, non vengano toccati dalle sanzioni. Mosca dice che l'Occidente sanziona i fertilizzanti e quindi in qualche modo mette a repentaglio la sicurezza alimentare del mondo, mentre ribadisce che le sanzioni non toccano l'esportazione russa di cibo e fertilizzante, e quelle in essere sono sanzioni individuali, che toccano singoli personaggi vicini al governo di Putin, che utilizzerebbero i proprio averi per supportarne il regime e continuare la guerra. È su questo snodo che si gioca tutta la questione".

Quali sono le conseguenze?

"Ci sono diverse implicazioni. La più immediata, che è anche quella a cui l'Unione europea e le Nazioni Unite tengono di più, è la faccenda della sopravvivenza dell'Ucraina. Il vero valore aggiunto di questo accordo è dare una valvola di sfogo all'economia in guerra di Kiev. L'Ucraina esporta una quantità vicino all'80% del proprio compartimento agro-industriale, che a sua volta rappresenta il 10% del PIL, attraverso il mare, quindi se quest'ultimo viene bloccato, per il Paese c'è un problema grave di poter continuare le proprie esportazioni.

C'è poi un altro impatto immediato ma di più difficile valutazione che è quello dei prezzi, quindi conseguenze sull'inflazione. L'Ucraina è una grandissima produttrice di grano ma, in un momento in cui i prezzi dei generi di prima necessità sono così volatili, riducendosi l'offerta sui mercati globali perché grani e altri cereali non possono lasciare i porti del Mar Nero, si comprime quella disponibile. Il che potrebbe portare ad una nuova oscillazione del prezzo del grano e del frumento di portata difficile da prevedere.

Il terzo impatto è quello che viene menzionato come principale, perché sia le Nazioni Unite sia la Turchia hanno molto interesse a spingere la narrazione sul fatto che questo accordo per l'esportazione del grano ucraino è in realtà una maniera di sfamare il mondo e far arrivare generi di prima necessità a paesi poveri o che hanno problemi di alimentazione.

In realtà tutta questa enfasi sull'importanza del grano esportato attraverso i porti del Mar Nero proviene da statistiche ufficiali pubblicate sul sito delle Nazioni Unite che riferiscono che 35 miliardi di tonnellate di grano e altri generi di prima necessità sono stati esportati dall'inizio dell'accordo, ma se andiamo a spacchettare un po' questi dati totali scopriamo che proprio le Nazioni Unite ammettono che solo il 55% del grano che esce dal Mar Nero prende la via dei paesi in via di sviluppo. Il resto prende la via dei mercati occidentali per poi essere utilizzata in maniera diversa.

Per di più, del 55% che in teoria sarebbe destinato ai paesi in via di sviluppo, tra questi la parte del leone la fa la Cina. Evidentemente, se gran parte dei 17 miliardi di tonnellate di generi alimentari destinati ai paesi in via di sviluppo va a Pechino, quello che rimane è un volume sì significativo, ma non è tale da decidere le sorti delle popolazioni del Corno d'Africa o del Medio Oriente alle prese con carestie e crisi alimentare".

Cosa può dirci, più nello specifico, delle conseguenze per l'Italia, anche dal punto di vista dei prezzi?

"È sempre difficile parlare di conseguenze pratiche per l'Italia piuttosto che per un altro paese perché in quanto membro dell'Unione europea ha una serie di doveri ma anche di scudi e protezioni che derivano dal fatto che siamo parte del mercato unico europeo.

Ci sono meccanismi di ammortizzamento che vengono inclusi nel sistema di governance e riequilibrio dei prezzi previsti dal mercato unico. Ma il problema dei prezzi in Europa, e quindi anche in Italia, è essenzialmente legato all'aumento di costi dell'energia, non tanto alla restrizione delle importazioni di grano perché l'Ue, e in particolare i paesi mediterranei, producono un surplus di grano e cereali quindi non abbiamo un problema immediato di scarsità di generi di prima necessità.

Quello che abbiamo è un rialzo dei prezzi dell'energia, non direttamente legato al grain deal, ma al fatto che Russia e Ucraina sono grossi esportatori di gas e petrolio, e ciò si riflette su tutta la catena dell'agro-alimentare, ma anche il fatto che l'Europa utilizza grossa parte della sua produzione agroalimentare cerealiera per esportare. Produciamo molto, esportiamo in altri paesi e importiamo grano più a buon mercato da paesi extra comunitari. Ecco, anche questo tipo di dinamiche possono essere impattate dall'accordo".

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