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Conflitto Israelo-Palestinese

Cosa potrebbe succedere se Iran e Israele arrivassero allo scontro diretto

L’annuncio di imminenti attacchi di Teheran in Israele ha attivato il lavoro delle diplomazie internazionali per scongiurare in Medio Oriente un’estensione senza precedenti del conflitto ed evitare una guerra su larga scala.
A cura di Giuseppe Acconcia
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Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha assicurato che a stretto giro potrebbe esserci un attacco iraniano contro Israele e ha chiesto a Teheran di “evitarlo”. “Siamo impegnati nella difesa di Israele e l'Iran non vincerà”, ha aggiunto.

A conferma che un attacco iraniano sia ancora sul tavolo sono arrivate le parole del portavoce della sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, che ha parlato di minaccia “possibile”, nonostante le telefonate, improntate alla distensione, alle autorità iraniane, arrivate nelle ultime ore da Gran Bretagna, Germania e Italia.

Tensione alle stelle

Non è chiaro quando e dove questi raid iraniani potranno avere luogo. All'indomani degli attentati di Kerman, rivendicati da Isis, che lo scorso 3 gennaio hanno causato 100 vittime tra i sostenitori del regime iraniano, il presidente, Ibrahim Raisi, aveva assicurato: “Decideremo noi quando e dove agire”.

Quindi, non è detto che una risposta iraniana sia davvero imminente. La strategia iraniana fino a questo momento è stata improntata sulla prudenza, lo scopo è sempre stato quello di evitare un'escalation del conflitto a Gaza, in Siria e in Libano che potrebbe mettere in discussione le fondamento stesse della Repubblica islamica.

Gli iraniani hanno fatto lo stesso anche in circostanze critiche simili a questa, come in occasione degli assassini mirati di ingegneri impegnati nel programma nucleare da parte israeliana in territorio iraniano o dopo l'uccisione della guida delle milizie al Quds, Qassem Soleimani, voluta da Trump nel 2020.

Eppure questa volta funzionari degli Stati Uniti, intervistati dalla CBS, hanno ribadito il rischio di un possibile attacco iraniano su larga scala con un massiccio uso di droni e missili. E così India, Francia, Polonia e Russia hanno chiesto ai loro cittadini di evitare viaggi nella regione. Non solo, la compagnia tedesca Lufthansa ha cancellato i suoi voli per Teheran, lo stesso ha fatto con i suoi voli diretti a Londra, e che avrebbero dovuto sorvolare i cieli iraniani, la compagnia australiana Qantas.

Lo scorso venerdì, la Francia aveva ordinato l'evacuazione delle famiglie dei suoi diplomatici nella regione e lanciato avvertimenti ai suoi concittadini in Israele e Libano. Lo stesso hanno fatto gli Stati Uniti.

A partire da Damasco la possibile escalation del conflitto

È la guerra in corso a Gaza e le difficoltà per arrivare a un accordo sul cessate il fuoco tra Israele e Hamas che stanno alimentando la guerra per procura in Medio Oriente. Un raid israeliano lo scorso primo aprile aveva colpito il consolato iraniano nel quartiere di Mezzeh a Damasco uccidendo 13 persone. Tra di loro si trovavano anche sette ufficiali delle guardie rivoluzionarie iraniane, tra cui uno dei comandanti delle milizie al-Quds, Mohammad Reza Zahedi, e il suo vice, Mohammad Haji-Rahimi.

Di “violazione delle convenzioni internazionali” aveva parlato il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian. “L’America deve essere ritenuta responsabile dell’attacco”, aveva aggiunto in quell'occasione Abdollahian, mentre il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, ha assicurato che “il crimine codardo non rimarrà senza risposta”. Aveva rincarato la dose la Guida suprema, Ali Khamenei, che aveva definito il raid al Consolato come “un attacco diretto al territorio iraniano”.

Il venerdì precedente un attacco simile a Damasco aveva causato 53 vittime, tra cui 38 soldati siriani e 7 membri del movimento sciita libanese Hezbollah. Israele aveva già colpito la Siria e il Libano dopo l’inizio della guerra a Gaza, uccidendo tra gli altri lo scorso 25 dicembre il consigliere delle milizie al-Quds, Razi Mousavi, il 2 gennaio scorso uno dei leader di Hamas a Beirut, Saleh al-Arouri, e pochi giorni dopo il comandante di Hezbollah, Wissam Hassan al-Tawil.

Parola d'ordine: contenere l'Iran

Se gli Usa hanno mostrato di non gradire più le immagini di morte e distruzione che arrivano da Gaza, non ponendo il veto alla risoluzione Onu che chiede un cessate il fuoco immediato, il tono cambia molto quando si tratta di “contenere l'Iran”. Questa è la parola d'ordine che motiva più di ogni altra le scelte del presidente Biden. E così gli Usa sono passati dal tradizionale doppio contenimento di Iran e Arabia Saudita, senza un intervento diretto, ai continui raid contro gli interessi regionali iraniani.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l'attacco con droni di produzione iraniana contro la base (Torre 22) Usa al confine tra Giordania e Siria che lo scorso 28 gennaio ha causato la morte di tre soldati statunitensi. In risposta a quei raid, gli Usa hanno approvato una serie di attacchi mirati contro interessi iraniani in Siria e in Iraq. Il primo raid su larga scala ha colpito 85 obiettivi nei due paesi prendendo di mira le milizie iraniane al-Quds.

Non solo, per settimane sono andati avanti gli attacchi di Usa e Gran Bretagna contro le milizie Houthi che hanno portato il caos nel Golfo di Aden appensantendo il traffico commerciale nel Canale di Suez. Tutti i raid di queste settimane hanno avuto sì lo scopo di contenere l'influenza iraniana nei paesi vicini ma anche di limitare le possibilità che il conflitto si estendesse ulteriormente, sebbene mai dall'uccisione di Qassem Soleimani (2020) si sia andati più vicini a uno scontro diretto tra Stati Uniti e Iran, come in questa fase.

Se l'Iran attacca Israele tutto sarebbe lecito

Così come, se dalla guerra per procura in Siria e in Libano si passasse a una guerra diretta tra Iran e Israele, Tel Aviv avrebbe molto da guadagnare. Già dal 7 ottobre scorso le autorità israeliane hanno tentato di descrivere gli attacchi di Hamas contro Israele come orchestrati da Teheran.

“Gli interessi geopolitici occidentali saranno soddisfatti solo se Gaza sarà sottratta al controllo iraniano. Teheran ha già il controllo di Hezbollah dall’altro lato in Libano. In questo modo le potenze occidentali coinvolte nel conflitto sperano di raggiungere una vittoria finale contro l’Iran”, ha spiegato il docente dell'Università di Melbourne, Ghassan Hage.

In altre parole, nel caso di un attacco iraniano diretto in territorio israeliano, il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, avrebbe di nuovo il sostegno incondizionato da parte statunitense per attaccare Rafah e continuare fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi, tra cui la distruzione di Hamas, la sua guerra a Gaza.

E così l'Iran, anche questa volta, per evitare un'escalation che metterebbe a rischio il progetto che va avanti da 44 anni della Repubblica islamica potrebbe ripiegare su nuovi raid mirati delle milizie controllate nei paesi vicini, per esempio contro obiettivi circoscritti come ambasciate e consolati. Il clima è già molto teso nel Sud del Libano, dove nella giornata di ieri sono stati lanciati 50 missili del movimento sciita libanese Hezbollah verso il Nord di Israele.

Lo stesso potrebbe avvenire in altri contesti. In risposta all'attacco al consolato iraniano di Damasco, potrebbero essere attivate le milize al-Quds in Siria e in Iraq. L'esperienza post-rivoluzionaria in Iran ha avuto un'influenza centrale sui partiti sciiti in Iraq, nonostante il malcontento per le influenze esterne nel paese tra i giovani, manifestatosi con le proteste del 2019.

Come se non bastasse, le milizie sciite, così come l'esercito russo, sono essenziali, per garantire il potere di Basahr al-Assad in Siria, dove ormai va avanti da anni la guerra per procura tra Israele e Iran, ben prima degli attacchi del primo aprile scorso. Infine, non esiste un canale diretto, quotidiano, tra la Guida suprema, Ali Khamenei, o i vertici dei pasdaran iraniani, e i leader Houthi in Yemen ma di sicuro anche questi ultimi hanno subìto il fascino del modello post-khomeinista così come aiuti materiali e contatti di intelligence che vengono dall'Iran.

Anche loro potrebbero riattivarsi per fare quadrato con l'Iran che deve dare una risposta militare per limitare i raid di Israele nella regione evitando di estendere ulteriormente il conflitto. La prima azione, su questo fronte di guerra, è già arrivata nella mattinata di sabato con l'assalto alla nave container Msc Aries, battente bandiera portoghese, associata con la londinese Zodiac Maritime nello Stretto di Hormuz.

Il mito di un Iran come potenza regionale che estende la sua influenza da Teheran a Baghdad in Iraq, fino a Kabul in Afghanistan, a Beirut in Libano, a Damasco in Siria e Sanaa in Yemen si sta scontrando sempre più direttamente con la necessità di Stati Uniti e Israele di contenere le milizie filo-iraniane nella regione. Questa presenza così capillare delle Guardie rivoluzionarie è stata spesso diretta conseguenza proprio del fallimento della strategia di esportazione della democrazia voluta dagli Usa e della politica di disimpegno statunitense dal Medio Oriente, avviata da Trump.

A questo punto però, nonostante la volontà generale sembra ancora quella di evitare una guerra su larga scala, diventa sempre più pressante la necessità di chiudere la lunga pagina di conflitto a Gaza per evitare che il contesto di guerra provochi attacchi diretti tra Tel Aviv e Teheran che potrebbero determinare un'estensione senza precedenti del conflitto.

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Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente. Insegna Stato e Società in Nord Africa e Medio Oriente all’Università di Milano e Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze politiche all’Università di Londra (Goldsmiths), è autore tra gli altri de “Taccuino arabo” (Bordeaux, 2022), “Le primavere arabe” (Routledge, 2022), Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), Il grande Iran (Padova University Press, 2018).
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