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Guerra in Ucraina

“Chiuderci è un autogol e Putin perderà la guerra”: parla Elena Milashina, giornalista di Novaya Gazeta

La sospensione delle pubblicazioni non fermerà il lavoro dell’erede di Anna Politkovskaya: “Io vado avanti”. Per la Russia, un futuro ridimensionato “più gentile e meno militarista”.
A cura di Redazione
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Questo articolo non è firmato a tutela del nostro inviato a Mosca, dopo l'approvazione di leggi contro la libertà di stampa in Russia

“Senza il controllo di Putin sui media, non ci sarebbe mai stata la guerra. E la Russia la guerra la perderà, diventando più piccola, più gentile e meno militarista”. Elena Milashina è la giornalista più famosa della Novaya Gazeta, l’ultimo grande quotidiano d’opposizione russo, costretto a sospendere le pubblicazioni per evitare il definitivo ritiro della licenza. “Quello delle autorità è un autogol: senza di noi il Cremlino si pone sempre più al di fuori dalla realtà”, spiega a Fanpage.it. Per la testata diretta dal premio Nobel per la pace Dmitri Muratov, Milashina si occupa in particolare della Cecenia, la repubblica della Federazione Russa su cui impera il dittatore Ramzan Kadirov, fedelissimo di Putin e tra i campioni mondiali degli abusi dei diritti umani, secondo organizzazioni come Human Rights Watch. Alcuni di questi abusi li ha scoperti e raccontati proprio Milashina. Se ne occupa da 16 anni, di Cecenia. Ovvero da quando la sua compagna di scrivania Anna Politkovskaya fu ammazzata perché si occupava troppo di Cecenia. Ci risponde al telefono da un Paese esterno alla Russia: ha lasciato Mosca all’inizio del febbraio scorso seguendo un protocollo di sicurezza elaborato dallo stesso Muratov. Pochi giorni prima Kadirov in persona l’aveva definita su Telegram una “terrorista”, aggiungendo che le autorità cecene i terroristi “li distruggono”. E non era la prima minaccia. Mica facile fare giornalismo d’inchiesta nel regno di Vladimir Putin. Che certo non ti dà la scorta. Milashina non può rilasciare commenti sulla sospensione “temporanea o permanente” –  così la definisce – della Novaya Gazeta. In questi giorni stava lavorando ad articoli sulle perdite subìte in battaglia dai reparti ceceni del ministero della Difesa, della Guardia nazionale e volontari.

Dove pubblicherà, ora che il suo giornale è chiuso?

Troverò il modo. Non sono certo la sola in questa situazione, in Russia. Sta nascendo una maniera nuova di fare un giornalismo indipendente che non può più contare sul sostegno e la ribalta dei media tradizionali.

E su cosa conta? Praticamente non ci sono più media indipendenti.

Non ce n’è più di tradizionali: non c’è più Ekho Moskvy (la popolare radio moscovita chiusa il 3 marzo scorso dopo l’oscuramento da parte delle autorità, ndr), non ci sono più televisioni libere. Ora non ci saremo neanche noi. Ma esistono forze che continuano a produrre giornalismo indipendente. Cercando modi alternativi di lavorare in questa nuova realtà di stretta censura. Che non durerà solo per il tempo della guerra in Ucraina, ma continuerà anche dopo. È una nuova sfida per i giornalisti, e tra questi mi ci metto anch’io: dobbiamo reinventarci per continuare il nostro lavoro in una situazione in cui non c’è più una testata tradizionale di appartenenza che ci sostenga e ci protegga. Dobbiamo creare una nuova forma di giornalismo.

Soprattutto attraverso i social, certo. Ma insomma Elena, la propaganda di regime sta vincendo. Non le pare? 

Sta vincendo. Stava già vincendo da molto tempo: in preparazione dell’operazione in Ucraina, erano già stati chiusi la maggior parte dei media indipendenti. E oggi vince perché influisce pesantemente sulla maggioranza della popolazione russa. Lo possiamo vedere dalla reazione della gente alla guerra: se c’è un sostegno, è il risultato del lavoro della propaganda. Per tutti questi anni quella contro la propaganda è stata una lotta impari. Era impossibile vincerla. Lo Stato ha tante risorse in più rispetto a noi. Così hanno eliminato tutte le voci in cui il mondo intero e una minoranza di russi avevano fiducia.

Ecco appunto, una minoranza. Eravate famosi nel mondo ma non è che aveste moltissimi lettori a casa.

È vero, non erano in tanti nella popolazione che ci seguivano e ci sostenevano. Paradossalmente, non eravamo neanche una vera minaccia, per il Cremlino e la sua propaganda. Solo che il regime ha deciso di mettere la Russia sotto un controllo totale. Non hanno voluto più sentire alcuna voce che raccontasse la verità. Perché in fondo erano loro i nostri più assidui lettori: gli uomini del Cremlino e lo stesso Putin. Hanno dimostrato che non vogliono leggere o sentire o vedere notizie vere, perché non vogliono sapere che stanno facendo qualcosa di sbagliato. Si sono posti al di fuori della realtà.

È il mondo di Orwell. Un mondo in cui è difficile pensare alla possibilità di un cambio di regime. 

Non abbiamo mai puntato a cambiare il regime, non siamo politici. E comunque solo il popolo russo ha il potere di cambiare il regime. Volevamo solo coprire la situazione da tutti i punti di vista: quello della gente comune come quello del potere e delle autorità.

Avete almeno pensato di poter dissuadere il Cremlino dall’intraprendere l’ “operazione militare speciale” in Ucraina?

Se ci fossero stati più media indipendenti questa tragedia enorme non si sarebbe mai verificata. Perché, per assurdo, le autorità, il Cremlino e Putin avrebbero saputo che l’Ucraina non è certo un Paese che avrebbe dato il benvenuto all’esercito russo. E che l’esercito russo è debole a causa dalla corruzione dilagante. E che tutti i potenti armamenti che sfilavano davanti a Putin e sulla tivù di stato non erano che una bufala. Perché in realtà gli armamenti russi sono di scarsa qualità, e l’esercito è male equipaggiato e ha molti problemi. Si sono fatti un autogol, trasferendo al Cremlino il controllo totale dei media: son rimasti prigionieri di quelle stesse fake news create dalla propaganda di regime. E adesso in Ucraina si trovano ad affrontare la dura realtà, con tutte le negatività che si stanno sviluppando. Noi abbiamo sempre e solo voluto raccontare la realtà per quella che è. Se avessimo potuto farlo senza censure e oscuramenti, non saremmo nella situazione di oggi.

Raccontare la realtà può far cadere il regime?

Non so se possa farlo cadere. La gente vuol ancora credere quel che gli conviene credere. Molti sostengono Putin anche se capiscono che combattere gli ucraini è un terribile errore, se non altro perché stanno morendo molti soldati russi.

E perché allora lo sostengono?

Il fatto è che le corde che Putin tocca nei russi delle generazioni nate e cresciute nell’Unione Sovietica sono molto sensibili. Si tratta di emozioni forti. E di sentimenti imperialisti. La gente ricorda i giorni in cui credeva di vivere in un grande Paese, e non ricorda tutte le cose negative di quei giorni.

L’”operazione militare” in Ucraina allora stringe i russi intorno alla bandiera?

Ma gli imperi con le guerre finiscono per  autodistruggersi, ci dice la Storia. Noi abbiamo iniziato questa guerra, e in questa guerra saremo battuti. Non la vinceremo. E dopo che avremo perso dovremo dire addio all’imperialismo russo per come l’abbiamo conosciuto per molti secoli.  E  cominciare a costruire un altro Paese. Più piccolo, più gentile e meno militarista. Ma dobbiamo probabilmente affrontare tempi orribili, prima di poter dire addio al nostro passato.

Quali sono i suoi prossimi progetti giornalistici? 

In questo anno vorrei completare un’inchiesta sul malaffare nel settore imprenditoriale della repubblica cecena. Ho molto materiale inedito. Persone che hanno avuto un ruolo diretto e che per la prima volta ne parlano pubblicamente. Un secondo progetto è una ricerca sulle radici e le caratteristiche del regime di Kadirov e su che tipo di regime è. Un terzo è la pubblicazione di un libro sulla tragedia di Beslan (l’attacco terroristico a una scuola avvenuto nel 2004 e terminato con la morte di 364 persone, tra cui 186 bambini, ndr). Ne sto finendo la stesura. Ci sono novità importanti sul modo in cui la strage fu investigata. E poi vedrò come va, ma continuerò a lavorare sulla Cecenia, ho ancora le mie fonti nel Paese, ho accesso a molte informazioni. Ci tornerò presto.

I rischi sono tanti, senza il giornale alle spalle saranno ancora di più. Ma i giornalisti vanno e vengono, la gente che abita in Cecenia resta: “sono loro ad essere davvero in pericolo”, ha sempre detto Elena Milashina. “E io vado avanti”.

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