
Se c’è qualcuno che ama Israele, la sua cultura e le sue tradizioni, lo fermi.
Se i sionisti e tutti coloro che finora hanno ignorato o minimizzato la portata del genocidio, che ancora definiscono Israele “l’unica democrazia in Medio Oriente” e un Paese con il solo problema di Netanyahu, e che etichettano come "sostenitori di Hamas" chiunque si schieri a favore del popolo palestinese, hanno davvero a cuore il destino di Israele, dovrebbero avviare una campagna di pressione sullo Stato Ebraico.
Il governo di Netanyahu, la maggioranza che lo sostiene e gli altri gruppi politici all’opposizione che ne condividono la linea sono ormai fuori controllo. In preda a manie di onnipotenza e persecuzione, negli ultimi due anni hanno accentuato la totale noncuranza delle leggi internazionali e della sovranità di altri Stati.
In soli due anni, l'esercito israeliano ha colpito ripetutamente Gaza, la Cisgiordania, l’Iran, il Libano, la Siria, l’Iraq e lo Yemen. Bombardamenti giustificati dal gabinetto di guerra come azioni "contro organizzazioni ostili".
Ha effettuato raid quotidiani nella Cisgiordania occupata, spingendo per la creazione di centinaia di colonie illegali e portando avanti la pulizia etnica dei palestinesi. Ha invaso il Sud del Libano, ha occupato l’80% della Striscia di Gaza e si è spinto fino alle porte di Damasco, occupando ulteriore territorio siriano, oltre alle alture del Golan illegalmente occupate da decenni. In Libano, oltre all’invasione di terra, ha bombardato ripetutamente la capitale Beirut, distruggendo interi quartieri nella parte sud della città, giustificandosi sempre con la "presenza dei terroristi di Hezbollah". Ha bombardato più volte lo Yemen e ha attaccato l’Iran, con il premier Netanyahu che ha incitato all’insurrezione contro il regime degli Ayatollah.
In Iraq ha bombardato l’ambasciata siriana e colpito le milizie sciite. In Siria ha bombardato ripetutamente obiettivi militari del vecchio e nuovo regime. Per errore ha persino colpito Paesi alleati come la Giordania e l’Egitto, a dimostrazione di cosa accade quando le bombe cadono ovunque e contro chiunque.
Se si escludono Gaza e la Cisgiordania, occupate da decenni da Israele, tutti gli altri sono Paesi sovrani con un proprio governo ed esercito, che ci piacciano o meno. Nelle ultime 24 ore ha compiuto due attacchi contro la Global Sumud Flotilla in acque tunisine. Le autorità locali hanno negato il primo attacco, parlando di un incendio partito da giubbotti di salvataggio: una scusa per non ammettere che Israele ha violato lo spazio aereo tunisino e ha bombardato un’imbarcazione nel porto. L’autocrate Kais Saied in questo momento ha altre priorità e, nonostante la causa palestinese sia sempre stata centrale per i governi tunisini, la realpolitik impone calma, sangue freddo e una buona dose di bugie.
Sono lontani, infatti, i tempi in cui Tunisi ospitava il quartier generale dell’OLP, dopo la cacciata dei palestinesi dal Libano nel 1982, anch'essa a seguito di un’invasione israeliana. Quel quartier generale venne bombardato dall’IDF 40 anni fa, il 1° ottobre 1985, provocando 68 morti.
All’epoca ci fu una grande mobilitazione, cosa che fino a pochi mesi fa sembrava impensabile. La Global Sumud Flotilla ha incanalato quasi due anni di frustrazione di persone che si sono sentite impotenti di fronte al genocidio a Gaza. Oggi, più che mai, la società civile è distante dalla politica istituzionale e di governo che, ad eccezione della Spagna e di altri Paesi non occidentali come Sudafrica, Brasile, Colombia e altri, non ha preso una posizione netta contro Israele. Nel frattempo, le Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali vengono costantemente boicottate e private della loro influenza dalle potenze mondiali.
È in questo vuoto geopolitico che Israele ha deciso di alzare il tiro, bombardando il Qatar durante una riunione della delegazione di Hamas con alcuni membri della leadership del movimento palestinese. L'attacco ha dovrebbe aver ucciso i negoziatori, i leader di Hamas e, tra gli altri, un funzionario delle forze di sicurezza qatariote e ne ha feriti altri.
Questo non è un attacco ad Hamas, ma un bombardamento alla capitale di uno Stato sovrano che in questi due anni ha svolto un ruolo importante di negoziatore. Un Paese che ha fatto della diplomazia il suo biglietto da visita e che riesce a fungere da tramite tra Stati privi di relazioni diplomatiche. Il Qatar è un importante alleato degli USA, tanto che è stato avvertito poco prima dell'attacco proprio dagli Stati Uniti, ha una partnership commerciale significativa con l’Iran, un filo diretto con la Turchia e un altro con la Siria, mentre vende gas all’Italia e ad altri Paesi occidentali.
L’attentato di Israele a Doha – perché le parole sono importanti ed è corretto definirlo così – innalza il livello dell’impunità internazionale di Israele, in un delirio che sta portando lo Stato ebraico verso il suo suicidio, come descritto da Anna Foa nel suo libro edito da Laterza.
In passato la strategia era simile, ma a mobilitarsi non era l’IDF bensì il Mossad. Molti attentati furono compiuti al di fuori del territorio israeliano, ma almeno avevano la decenza di non rivendicarli, per salvare le apparenze.
Questo suicidio è dettato dalla sindrome di accerchiamento e dalla volontà di scovare i nemici ovunque, anche mentre quei nemici erano riuniti per discutere e accettare la proposta di Trump per un cessate il fuoco a Gaza. L’ex direttore di Repubblica Maurizio Molinari, noto per le sue posizioni pro-Israele, poche ore prima dell’attacco aveva rilanciato il Jerusalem Post, un giornale vicino al governo di Netanyahu, dove si affermava che Hamas era sul punto di accettare la proposta americana, avanzata anche grazie al lavoro del Qatar come mediatore.
Non c’è una logica in questo attacco se non quella di una guerra permanente in tutta l’area e su più fronti, "ovunque si trovino i nostri nemici" per usare le parole dei leader israeliani dopo il 7 ottobre 2023. Una guerra che costringe il Paese a una costante mobilitazione militare, che trascina diverse generazioni nel conflitto e crea un terreno fertile per l’ascesa del movimento dei coloni, sempre più influente nella Knesset.
Chi si è schierato a difesa del popolo palestinese ne è consapevole da tempo ma oggi dovrebbero essere i sostenitori di Israele a intimargli di fermarsi, a vedere il baratro verso cui lo Stato ebraico sta correndo a massima velocità, perché oggi è il Qatar, domani potrebbe essere la Turchia, membro NATO, e dopodomani chissà a chi toccherà. Se non ci fosse un totale asservimento legato alle nostre responsabilità storiche e non avessimo legami commerciali e militari, oggi Israele sarebbe trattato come uno Stato canaglia, ne più ne meno della Corea del Nord.
