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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

7 ottobre, ISPI a due anni dall’attacco di Hamas: “Senza nascita dello Stato palestinese pace ancora lontana”

L’intervista di Fanpage.it a Luigi Toninelli, Ricercatore ISPI dell’Osservatorio Medioriente e Nord Africa: “Due anni fa il 7 ottobre 2023. È cambiato tutto e allo stesso tempo non è cambiato niente. Il piano di Trump è a mio avviso il piano migliore raggiungibile in questa fase visto che le posizioni si sono notevolmente polarizzate”.
Intervista a Luigi Toninelli
Ricercatore ISPI dell'Osservatorio Medioriente e Nord Africa.
A cura di Ida Artiaco
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"È cambiato tutto e allo stesso tempo non è cambiato niente. È cambiato tutto perché sembra che per la prima volta dopo molti anni a livello internazionale si sia creato un consenso ancora più deciso per la creazione di uno Stato palestinese e di condanna di certe politiche adottate dal governo israeliano. Ma al contempo non è cambiato nulla perché dopo due anni siamo ancora qui a parlare di una pace tra Hamas e Israele, che è ancora lontana".

A parlare è Luigi Toninelli, ricercatore ISPI dell'Osservatorio Medioriente e Nord Africa, che a Fanpage.it ha fatto il punto sulla guerra tra Hamas e Israele a esattamente due anni dal 7 ottobre 2023. Anni in cui migliaia di persone all'interno della Striscia di Gaza e non solo sono state uccise o sono morte di fame e di stenti, in cui la maggior parte delle scuole e degli ospedali sono stati distrutti e decine di ostaggi non sono mai tornati a casa. Ieri a Sharm el-Sheikh sono cominciati i negoziati tra le delegazioni delle due parti. Ma la pace, quella vera, sembra essere ancora lontana.

Luigi Toninelli, ricercatore ISPI dell’Osservatorio Medioriente e Nord Africa.
Luigi Toninelli, ricercatore ISPI dell’Osservatorio Medioriente e Nord Africa.

Dott. Toninelli, cosa è cambiato, oltre al numero dei morti a Gaza che continua a salire, in questi due anni?

"È cambiato tutto e allo stesso tempo non è cambiato niente. È cambiato tutto perché sembra che per la prima volta dopo molti anni a livello internazionale si sia creato un consenso ancora più deciso per la creazione di uno Stato palestinese e di condanna di certe politiche adottate dal governo israeliano. Ma al contempo non è cambiato nulla perché dopo due anni siamo ancora qui a parlare di una pace tra Hamas e Israele. Una pace che in questo caso potrebbe presupporre la fine stessa del gruppo Hamas, ma non sappiamo ancora esattamente come si plasmerà la situazione sul campo. E stiamo ancora parlando di una situazione in cui non si può arrivare a definire una pace tra il popolo palestinese e lo stato israeliano".

Perché?

"Perché a prescindere da questo accordo di 20 punti che le parti stanno discutendo, dalla smilitarizzazione di Hamas o dalla liberazione dei prigionieri, ancora non c'è un processo che porta alla nascita di uno Stato palestinese, quindi proprio per questo non segnerà la fine di questa parentesi che ormai dura dalla fine dagli anni '30 di conflitto tra due popoli e che appunto è destinata probabilmente a proseguire in maniera magari non così violenta come l'abbiamo conosciuta in questi due anni, ma sotto altre forme".

Lei come giudica questo piano di Trump per Gaza? Secondo lei ci sono delle possibilità che venga approvato? E in caso di esito positivo, effettivamente è una cosa che potrebbe aprire ad un processo di pace? 

"Sicuramente lo valuto in maniera positiva perché sembra porre fine alle violenze che stavamo vedendo all'interno della Striscia di Gaza e sembra poter far portare a casa i prigionieri che erano ancora nelle mani di Hamas. Quindi in questo senso sicuramente è qualcosa di positivo e credo che possa essere adottato e accettato proprio perché le pressioni sono molte, soprattutto nei confronti di Israele. Tuttavia, questo stesso piano di pace al suo interno nasconde notevoli punti interrogativi e, come sappiamo bene, molto spesso il diavolo si nasconde nei dettagli e sono molti i dettagli che ancora rimangono un po' oscuri.

Innanzitutto, perché si fa solamente un breve accenno a quella che sarà la nascita dello Stato palestinese e non se se parla in maniera approfondita. In seconda istanza, perché il ritiro israeliano presunto, che dovrebbe esserci da qui ai giorni successivi dell'adozione di questo di questo accordo di pace, non è ben chiaro come dovrebbe avvenire. Sappiamo da indiscrezioni che probabilmente Israele in una prima fase continuerà a occupare il 70% della Striscia di Gaza, ovvero la stessa porzione di territorio che occupava prima di questa ultima avanzata che ha scatenato tutte le ire e le proteste internazionali, quindi si ritorna alla situazione di qualche mese fa. Inoltre, non si definisce nel dettaglio quali saranno le tempistiche per far tornare la Striscia di Gaza tra le mani di un governo palestinese. Si dice che si deve aspettare la riforma dell'Autorità Nazionale Palestinese, ma al di là di questo non si va a definire quanto tempo servirà o quali sono le riforme che ci si aspetta, e soprattutto il governo che si impone è un governo di stampo occidentale sotto cui lavoreranno tecnocrati palestinesi e arabi. In questo modo, si va a certificare come la leadership palestinese abbia fallito. E questo è di per sé un approccio problematico, che ha fallito molte volte in passato e che mi chiedo come mai questa volta dovrebbe aver successo. Ma, nonostante i dubbi, è a mio avviso il miglior piano raggiungibile in questa fase visto che le posizioni si sono notevolmente polarizzate. Per questo si deve sperare che vanga accettato da entrambe le parti".

A proposito di governo occidentale, nei giorni scorsi si parlava anche di Tony Blair come futuro governatore di Gaza. Cosa ne pensa?

"Sicuramente Tony Blair è un personaggio controverso. Ricordiamoci che è uno dei responsabili delle guerre in Afghanistan e in Iraq, di tutta quella stagione delle armi chimiche che avrebbe dovuto possedere Saddam Hussein. È una persona che durante il suo governo è intervenuto anche in Kosovo e in Sierra Leone militarmente, quindi è una persona che è estremamente controversa ed è ritornato in auge un po' in maniera inconsueta. È molto probabile a questo punto che avrà un ruolo nell'amministrazione della Striscia di Gaza, ma di per sé non è esattamente una persona né super partes né che ha un curriculum vitae che può essere definito immacolato".

Cosa ne sarà invece del popolo palestinese?

"La notizia migliore di questo piano è proprio nei confronti della popolazione palestinese, perché a differenza del piano della Riviera di Gaza di Trump dello scorso febbraio, in questo piano si dice che alla popolazione palestinese sarà consentito di rimanere all'interno della Striscia, che non c'è la volontà di portarli in altri in altri paesi, in altri territori e solamente chi vorrà andarsene sarà in qualche modo lasciato partire, ma la popolazione palestinese si certifica che in qualche modo ha il diritto a vivere all'interno della Striscia. Questa è una grande conquista rispetto a quello che era il piano di Trump fino a pochi mesi fa. Al di là di questo c'è poco altro, come dicevamo prima. Non c'è un progetto per dare loro un governo e uno Stato e questo è probabilmente il punto più critico di questo piano, che – ricordiamo però ancora una volta – è un piano per chiudere la guerra iniziata il 7 di ottobre, la quale è solo una fase di una guerra ben più ampia che è cominciata all'inizio del ‘900".

Secondo lei, l'unico modo per mettere fine a questa guerra pluridecennale resta la soluzione due popoli e due stati? 

"Le opzioni sono tendenzialmente due: la prima è la creazione di due popoli e due stati, e la seconda opzione è la creazione di uno stato unico ma binazionale un po' sulla falsariga di quello che è il Belgio contemporaneo. Quindi due nazioni, una israeliana e una palestinese, che vivono in uno stesso stato ma che hanno ampie autonomie come comunità. Questo è uno scenario che in molti in realtà prima del 7 ottobre dicevano essere il più probabile. A oggi invece la situazione sembra essere ribaltata. Quindi la soluzione di due stati è al momento la più probabile".

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