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Opinioni

Telefonica pronta a mollare Telecom Italia

Dopo aver vinto la corsa per Gvt il gruppo spagnolo, finora socio industriale di riferimento di Telecom Italia, si prepara a passare la mano proprio ai francesi con Mediaset che resta sullo sfondo. E’ ora di fare delle scelte…
A cura di Luca Spoldi
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Settembre si apre all’insegna di un ulteriore indebolimento per Telecom Italia, cui non è bastata la “vicinanza” al finanziere francese Vincent Bollorè, cui fa capo il gruppo Vivendi e che è azionista e consigliere d’amministrazione di Mediobanca (tuttora azionista, attraverso Telco, di Telecom Italia), per riuscire nell’impresa, invero non agevole, di mettere le mani su una società come Gvt valutandola di meno e offrendo meno contanti della sua concorrente, che putacaso è pure (ancora per poco?) un suo azionista, ossia Telefonica. Mentre sul mercato torna a circolare l’ipotesi di una “convergenza tecnologica” tra telecomunicazioni e media, ossia tra la stessa Telecom Italia e Mediaset, ipotesi che secondo alcuni è sempre stata “presente” anche durante lo studio della proposta da presentare ai francesi ma che di fatto è lettera morta già da alcuni anni.

Il motivo è presto detto: non è unendo due debolezze che si ottiene una qualsivoglia forza. Telecom Italia soffre da tempo della crisi del suo mercato di riferimento (l’Italia), del rallentamento del principale mercato estero rimastole (il Brasile) e della crescente concorrenza sia nel settore della telefonia mobile/internet sia della telefonia fissa (ovunque in tutto il mondo). Mediaset a sua volta soffre del declino delle televisioni generaliste in chiaro, delle incerte prospettive del digitale terrestre e della crescita di concorrenti satellitari come Sky. Certo, teoricamente unire un distributore di contenuti, come ormai a tutti gli effetti sono le società di telecomunicazioni come Telecom Italia, ad un produttore di contenuti (come Mediaset) parrebbe suggestivo, tanto è vero che il presidente dell’ex monopolista telefonico italiano, Giuseppe Recchi, si è ben guardato dall’escludere l’ipotesi limitandosi ad osservare in alcune interviste di “convergenze con Mediaset” se ne è parlato in passato, “ma il mercato non è mai stato pronto”.

Di certo per Telecom Italia è urgente capire a quale destino va incontro: la sensazione diffusa è infatti che il gruppo sia affetto da una “sindrome Alitalia”, dati i troppi pesi che gravano su di esso. Alcuni sono squisitamente politici e si riassumono nella malintesa difesa del falso valore della “italianità” della proprietà che in Italia ha finito col prevalere con quella che avrebbe dovuto essere l’obiettivo primario di ogni politica economica degna di tal nome: la difesa della profittabilità delle aziende operanti in Italia (che è cosa ben diversa dalla difesa della “bandiera”). Così non deve stupire che oggi Cesar Alierta, presidente di Telefonica, ribadisca che il gruppo spagnolo non intende restare socio di Telecom Italia dopo l’acquisizione di Gvt da Vivendi. Come noto Telefonica, attualmente socia al 14,77% del gruppo italiano sempre tramite Telco (holding che è in via di scioglimento), ha offerto ai francesi un’opzione per acquistare un 8,3% di Telecom Italia, opzione che il gruppo francese ha giudicato “attraente”.

Posto che Bollorè entri nel capitale, Allierta ha già emesso un prestito convertendo che comporterà la cessione a termine una partecipazione fino al 9% del capitale di Telecom Italia, sia pure con clausole di riacquisto del bond (che scadrà nel luglio 2017) per una qualsivoglia ragione “che non consenta il trasferimento delle azioni Telecom Italia”. In pratica come minimo Allierta potrà scendere sotto il 6% nel capitale di Telecom Italia entro i prossimi tre anni, ovvero potrà azzerare anche completamente la propria partecipazione modulando l’esercizio del convertendo in base a quanti titoli Vivendi deciderà di acquistare nei prossimi mesi. All’orizzonte si profila l’ennesimo “cambio di cavallo” a cui sono stati abituati ad assistere i soci di minoranza di Telecom Italia a partire dalla privatizzazione (a 10.902 lire per azione, ovvero 5,63 euro) del 1997, dal “nocciolino duro” guidato dall’Ifil degli Agnelli alla coppia “d’assalto” Gnutti-Colaninno (1999), dall’era di Marco Tronchetti Provera (2001) alla reggenza Telco-Telefonica (dal 2007).

In questi anni il gruppo ha visto le quotazioni passare da poco più di 4 euro per azione dell’estate 1999, pre “Opa” ad un massimo di quasi 9 euro per azione, nella primavera successiva, in piena “bagarre”, per poi assestarsi per qualche tempo attorno agli 8 euro, prima di crollare attorno ai 2 euro per azione già nell’autunno del 2001. Da lì per sette anni le quotazioni di borsa hanno oscillato tra i 2 e i 3 euro mentre il gruppo continuava a dismettere asset e indebitarsi. Uscito di scena Marco Tronchetti Provera (e il gruppo Benetton, compagno di cordata), dal 2008 i nuovi soci di Telco (entrati pagando i titoli attorno ai 2,7 euro l’uno) videro le quotazioni scivolare inesorabilmente sotto i 2 euro, fino a toccare, giusto nell’agosto dello scorso anno, un minimo appena inferiore ai 50 centesimi per azione da cui lentamente il titolo è risalito nell’ultimo anno fino ai valori attuali, mentre il debito finanziario lordo saliva sino a sfiorare i 35 miliardi di euro, (quello netto rettificato era pari a oltre 27,35 miliardi a fine giugno) per di più con un costo medio attorno al 5,5% nettamente superiore ai costi attuali per durate attorno agli 8 anni (pari alla scadenza media delle sole obbligazioni Telecom Italia).

Un gruppo indebitato, che fa tuttora fatica a quadrare i numeri (il primo semestre ha visto il giro d’affari calare dell’11,2% dagli 11.888 milioni di euro dei primi sei mesi del 2013 a 10.551 milioni, con un Ebitda sceso a 4,345 miliardi da 4,7 miliardi, anche se l’Ebit, ossia il risultato operativo ante oneri finanziari, è risalito a 2,225 miliardi, pari ad un margine del 21,1%) non può esattamente avere, e infatti non ha, una fila di possibili acquirenti pronti a svenarsi pur di ottenere il controllo. Se poi si vuole anche scegliere chi e come può proporre un’offerta il rischio che la situazione continui a non trovare uno sbocco è elevato.

Certo occorre fare delle scelte: qualsiasi nuovo socio di controllo non potrà e vorrà che tutelare anzitutto i propri interessi, se questi saranno in contrasto con gli interessi degli azionisti di minoranza di Telecom Italia è inevitabile prevedere ulteriori cali delle quotazioni, se si dovranno fare sacrifici saranno più facilmente scaricati sul mercato meno redditizio, se si potranno risparmiare investimenti si risparmieranno là dove la pressione concorrenziale è inferiore e non necessita di una continua innovazione dell’offerta. Ma questa è del resto la fotografia dell’Italia intera, un paese fatto di una moltitudine di piccole e piccolissime imprese cui la politica (e le banche) non sa prestare ascolto, preferendo riempire i titoli dei giornali di battaglie “d’immagine”. La realtà è una brutta bestia, non è vero?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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