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Perché rischiamo davvero un attacco speculativo senza precedenti

Un debito da record, un’economia che rallenta, prezzi che si impennano e una situazione internazionale che non ci arride. Ecco perché la finanza potrebbe scommettere contro l’Italia. Con l’incognita elezioni dietro l’angolo.
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La finanza è strana e bisogna prenderla per quello che è, senza farsi troppe domande. E mettersi a discutere dei segnali che preluderebbero a un attacco speculativo sul debito pubblico italiano – l’acquisto di 39 miliardi di obbligazioni con finalità ribassiste da parte degli hedge fund, valore più alto dal 2008 – o di quelli che dovrebbero farci stare più tranquilli – lo spread che viaggia tranquillo e stabile a quota 230 – è impresa vana, se non si è professionisti della materia.

Però un paio di cose si possono dire. Si possono provare a mettere in fila i motivi che rendono questo attacco speculativo verosimile, se non addirittura possibile. E si possono provare a valutare gli effetti di un simile attacco sulla tenuta dei conti pubblici e dell’economia italiana.

Partiamo dai motivi per cui non è peregrino pensare a una tempesta perfetta sui mercati contro il debito pubblico italiano. Cominciando proprio dall’entità del medesimo debito, quasi 2800 miliardi di euro, in rapporto al nostro prodotto interno lordo. Che pur essendo calato in ragione dell’aumento dei prezzi balla comunque attorno ai 150%. Quando nel 2011 si scatenò l’attacco speculativo che portò lo spread oltre quota 500 e fece cadere il governo Berlusconi eravamo attorno al 119%, tanto per fare un confronto.

Allora, a salvarci, fu la difesa a oltranza dell’allora presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, quando disse che avrebbe fatto di tutto per salvare l’Euro, cosa che ha in effetti fatto acquistando ingenti quote di debito pubblico italiano e tenendo i tassi d’interesse sotto terra. Oggi però Mario Draghi non è più alla Bce, e al suo posto c’è Christine Lagarde, che ha già detto di voler ridurre gli acquisti di debito pubblico e di voler alzare i tassi. Certo, c’è il nuovo scudo anti spread, i cui confini e il cui potenziale sono ancora però tutto da dimostrare. Eccolo, insomma, il secondo motivo per cui essere preoccupati.

Il terzo motivo di preoccupazione è legato alla crescita economica che ci stava spingendo fuori dalle secche dalla crisi legata alla pandemia di Covid-19 e che è successivamente rallentata dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, a causa soprattutto del vertiginoso aumento del prezzo del gas e dell’energia, che l’Italia deve acquistare dai Paesi produttori, e del cui razionamento si discute proprio in questi giorni. Un destino che ci accomuna con la Germania, economia manifatturiera a cui siamo molto legati e le cui difficoltà si sommano alle nostre e che rischiano davvero di portare alla paralisi la nostra economia. Risultato? Se il Pil cala, il rapporto tra debito e Pil torna a impennarsi e ci tocca pagare interessi sul debito più alti, anche se i prezzi aumentano.

E i prezzi – quarto motivo – continuano ad aumentare anche se cala il Pil. Allo stato attuale ci ritroviamo con un inflazione acquisita per il 2022 pari al 6,7%, ma è probabile che entro fine anno la progressione ci porti a lambire la soglia del 10%. E qui la tempesta, dai forzieri del Tesoro, si estende fino a colpire famiglie e imprese, innescando un vortice recessivo di quelli che fanno male: la recessione fa chiudere le imprese e fa diminuire l’occupazione, l’inflazione riduce il potere d’acquisto delle famiglie, il debito che aumenta riduce lo spazio fiscale a disposizione dello Stato per ovviare alle difficoltà delle persone e tutto questo alimenta ulteriori turbolenze sui mercati, amplificando la crisi e spingendo altre persone a scommettere sul default italiano.

A tutto questo, quinto motivo, aggiungiamo la ciliegina sulla torta: una tornata elettorale che potrebbe portare al governo quella stessa coalizione che nel 2011 fu costretta a lasciare Palazzo Chigi per evitare che l’Italia sprofondasse nella tempesta. Ironia della sorte, allora fu un tecnico come Mario Monti, sostenuto da un grande coalizione, a sostituire Berlusconi nella disperata impresa di far tornare il sereno. Stavolta, undici anni dopo, potrebbe essere Giorgia Meloni a sostituire un tecnico come Mario Draghi, che proprio allora divenne presidente della Bce ed ebbe un ruolo cruciale nel salvare l’Italia.

Se ripartirà anche la giostra della speculazione sul debito italiano lo vedremo a breve. Manca meno di un mese, ormai.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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