
Dimenticate Schlein, Conte, Fratoianni e pure le liti con Salvini, o le turbolenze nella Lega e in Forza Italia, o i presunti complotti del Quirinale. Dimenticatevi pure gli Eurocrati, le toghe rosse, la corte penale internazionale, le Ong.
Dimenticateveli, perché il vero nemico di Giorgia Meloni e del suo governo, da qui alle elezioni del 2027, è molto più subdolo e temibile. Si chiama economia italiana, e senza essere grandi indovini prevediamo la farà sudare parecchio. E i suoi numeri, impietosi, temiamo non possano essere accusati di essere al soldo dell’opposizione.
Partiamo dal prodotto interno lordo, la misura della ricchezza del Paese, che ormai non riesce a superare la soglia dell’1% di crescita – se si eccettua il rimbalzo post Covid, che non fa testo – dal 2017, quando crebbe dell’1,6%. Quest’anno, dicono le stime, crescerà dello 0,5%, in calo rispetto alle previsioni e alla crescita comunque asfittica degli ultimi due anni, dove si era fermato allo 0,7%.
“È comunque una crescita”, direte voi. Sì, ma anche no.
Primo, perché i prezzi, dal 2018 a oggi, sono cresciuti sempre più del PIL, e il nostro potere d’acquisto è diminuito. Anche quest’anno, l’inflazione fa segnare un +1,1%, stabile rispetto al 2024. Il problema sono i due anni precedenti, in cui i prezzi sono cresciuti tantissimo a causa del Covid e della crisi energetica post guerra in Ucraina, e altissimi sono rimasti.
Secondo, perché tutto questo ovviamente ha un forte impatto sui consumi, soprattutto alimentari e relativi a beni durevoli, e sulla fiducia dei consumatori. E i dati sulle spese natalizie che vediamo in questi giorni sono la rappresentazione plastica di queste difficoltà. Tanto più se gli stipendi restano al palo, e la pressione fiscale continua a crescere.
Terzo, perché le nostre imprese sono sempre più in difficoltà, con gli italiani che sempre più si rivolgono a produttori o distributori stranieri, più efficienti e a buon mercato, e comprano sempre meno italiano. Con un export che sempre meno riesce a compensare questa tendenza, a causa dei dazi e delle barriere che gli Stati Uniti del nostro “amico” Donald Trump ha alzato quest’anno. E con l’economia tedesca, che sovente in questi anni ci ha fatto da locomotiva in crisi nera.
Quarto, perché se l’industria va male è lecito aspettarsi contraccolpi sul lato dell’occupazione. E infatti nei primi nove mesi del 2025 le ore di cassa integrazione sono cresciute di quasi 20 punti percentuali rispetto al 2024. Sono dati questi, che stridono con quelli che sbandiera il governo – il tasso di occupazione più basso degli ultimi vent’anni – ma che rappresentano un campanello d’allarme di non poco conto per l’anno che verrà.
Quinto, perché la poca crescita di quest’anno – anzi, di questi ultimi tre anni – è drogata dai soldi del Pnrr e pure dalle ristrutturazioni del tanto vituperato Superbonus. Senza, probabilmente, saremmo già oggi in recessione, o quasi.
Per Giorgia Meloni, per il suo governo e per la maggioranza che lo sostiene, il consenso di questi anni, stabile nonostante tutto, potrebbe essere una trappola. Quando la realtà bussa alla porta, del resto, non c’è arma di distrazione di massa che tenga.