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Guerra in Ucraina

Chi ci guadagna dalla guerra in Ucraina: tutti i profitti milionari dei produttori di armi

Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, i profitti dei produttori di armi sono volati alle stelle. Analisi di un business che non conosce crisi. Con buona pace delle vittime.
A cura di Giorgio Sestili
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Il dolore e la distruzione provocati dalla guerra sono un qualcosa di terribile ma per qualcuno sono anche un’enorme fonte di profitto. Inutile girarci intorno: la guerra è da sempre una delle leve per il rilancio dell’economia. Mettere in moto una macchina bellica necessita di ingenti investimenti in spesa pubblica, che a sua volta incentiva i consumi e la domanda interna e le esportazioni di armi, materie prime, tecnologie e altri prodotti verso l’esterno.

Per comprendere la stretta relazione tra gli investimenti in spese militari e i cicli economici espansivi basta guardare il Grafico 1 elaborato dal Bureau of Labor Statistics della Federal Reserve Bank di St. Louis. Il grafico mostra il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi. Le bande in grigio rappresentano i periodi di recessione economica, che anticipano sempre il picco della disoccupazione.

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Grafico 1: andamento della disoccupazione negli Stati Uniti. Le bande in grigio indicano i periodi di recessione dell’economia. Fonte: Bureau of Labor Statistics

Il primo grande momento di espansione dell’economia americana inizia a partire dal 1950, dopo la recessione indotta dalla fine del conflitto mondiale, con l’esplosione della guerra di Corea e la grande spinta al riarmo. La NATO triplica le spese militati con gli Stati Uniti che nel 1952-53 arrivano a spendere il 15% del PIL per gli armamenti.

Arrivano gli anni ’60, la crisi economica che precede l’arrivo di John F. Kennedy alla Casa Bianca, la guerra del Vietnam. Gli investimenti in spese militari USA tornano a superare il 10% del PIL e a partire dal 1964 l’economia statunitense conoscerà una delle più lunghe fasi espansive della sua storia.

Andando avanti arriviamo all’inizio degli anni ’80 e alla presidenza Reagan che tra il 1981 e il 1985 aumenta le spese per la difesa del 7% l’anno, con la quota delle spese militari all’interno del bilancio federale che cresce dal 23% al 27%; poi la guerra del Golfo all’inizio dei ’90; infine le guerre in Afghanistan e Iraq dei primi anni 2000. In tutti questi casi la spesa militare americana è cresciuta e la disoccupazione scesa ai minimi.

La guerra spinge anche la finanza

Ma non è soltanto l’economia reale a trarre beneficio dalla guerra. Basta osservare le performance del Dow Jones (il più noto indice azionario della borsa di New York) durante i principali conflitti che si sono succeduti dalla I Guerra Mondiale ad oggi. Nei periodi bellici considerati, il Dow Jones ha sempre guadagnato.

Non c’è da stupirsi quindi se i titoli dell’industria bellica e della sicurezza informatica stanno vivendo un vero e proprio rally da quando è esplosa la crisi tra Russia e Ucraina, nonostante i principali indici azionari siano in ribasso. La spinta al rialzo delle quotazioni delle società attive nel settore difesa è trainata soprattutto dagli impegni economici e politici che Europa e Stati Uniti stanno prendendo in queste giornate così concitate.  Negli Stati Uniti, Biden ha chiesto al Congresso 10 miliardi per l’emergenza in Ucraina, ma la metà andrebbero al Pentagono per rafforzare le difese del paese. In Europa, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha promesso di aumentare la spesa militare del Paese di 100 miliardi di euro quest'anno, con ulteriori incrementi successivi nei prossimi anni. Si tratta di una mossa storica, dato che la principale economia europea ha resistito a lungo prima di aumentare la propria spesa militare.

Agli annunci sui nuovi investimenti pubblici in spese per la difesa si aggiungono le decisioni di molti paesi di inviare armi e mezzi militari in Ucraina e nei confini ad Est della NATO. La Germania sta fornendo all'Ucraina 1.000 armi anticarro e 500 missili Stinger terra-aria. Anche l’Italia invierà sistemi anticarro e antiaereo, mitragliatrici leggere e pesanti e mortai, per un valore stimato tra i 100 e 150 milioni. A Germania e Italia si aggiungono Francia, Olanda, Belgio, Lituania, Polonia, Usa, Gran Bretagna e Turchia, con l’invio di materiale di difesa e offensivo, inclusi i droni militari.

Un susseguirsi di notizie che hanno scosso i mercati, portando le società impegnate nell’industria bellica a forti rialzi.

Le principali società occidentali produttrici di armi e mezzi militari

La più grande azienda in ambito militare è con notevole distacco la statunitense Lockeed Martin Corporation, con sede a Bethesda, in Maryland, e con oltre 400 sedi in tutto il mondo. Attiva nel settore della sicurezza e dell'aerospazio, la Lockheed Martin è famosa per essere il produttore del jet da combattimento F-35 e, insieme a Raytheon, del sistema di difesa missilistica Patriot che sarà schierato dalla Nato in Slovacchia. Dall’inizio dei conflitti in Ucraina le sue azioni hanno guadagnato oltre l’8%. Dal 2012 ad oggi il loro valore è quadruplicato.

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Grafico 3: prezzo in dollari (USD) delle azioni della Lockheed Martin Corporation

C’è poi la Northrop Grumman, altro colosso americano, azienda aerospaziale e di difesa globale e produttore leader di droni di attacco e sorveglianza. Le sue quotazioni in borsa sono cresciute di oltre il 10% dall’inizio della guerra in Ucraina e di circa 7 volte dal 2012 ad oggi.

Ma i balzi in alto maggiori in borsa sono stati compiuti dall’industria bellica europea. In cima alla lista troviamo la tedesca Rheinmetall AG, fondata nel 1889 e con sede a Düsseldorf. La società è divisa in due settori aziendali: Rheinmetall Automotive e Rheinmetall Defence, che produce “tecnologia di sicurezza adeguata alle minacce”. Dall’inizio dell’invasione in Ucraina le sue quotazioni in borsa hanno guadagnato il 39%, spinte dalle dichiarazioni del Cancelliere Scholz sul riarmo della Germania.

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Grafico 4: prezzo in euro delle azioni della Rheinmetall AG

Al secondo posto in Europa c’è Thales Group, un appaltatore della difesa con sede a Parigi, leader mondiale nello sviluppo e nella costruzione di radar, stazioni di armi controllate a distanza, veicoli di fanteria e industria aerospaziale, fondata nel 2000 e parzialmente controllata dal governo francese. Tra i suoi “gioielli” ci sono il veicolo blindato Bushmaster, l'auto blindata Hawkei, il missile Starstreak, e il drone Watchkeeper WK450. I bilanci dell’azienda indicano che circa il 50% delle entrate sia generato dalla vendita di armi e acquisti relativi alla difesa. Dall’inizio della crisi Ucraina il suo valore in borsa è cresciuto del 17%.

Infine, non poteva mancare l’italiana Leonardo Finmeccanica. Prima azienda in Europa nell’industria bellica (dopo l’uscita con la Brexit del gigante inglese BAE Systems) e con una capitalizzazione di 4,6 miliardi di euro, Leonardo Finmeccanica è leader nella produzione di aerei e componenti aeronautici a livello internazionale, operante sia nel settore della difesa, sia in quello commerciale. Dall’inizio del conflitto ha guadagno in borsa circa il 15%, spinta dalle decisioni del governo Draghi di inviare armi in Ucraina.

La novità di questo conflitto risiede nella cyber security

Al giorno d’oggi la guerra si combatte anche sul piano della sicurezza informatica. Non a caso da quando è esploso il conflitto in Ucraina, la Russia ha sferrato attacchi hacker contro siti istituzionali del governo di Kiev, e Anonymous è sceso in campo con ripetuti attacchi nei confronti di siti governativi russi. Di conseguenza, anche le aziende attive nella cyber security hanno visto il loro valore in borsa crescere nelle ultime settimane, spinte da aspettative di aumento della spesa per i servizi relativi alla sicurezza informatica.

Tra i fondi quotati in borsa (ETF) che seguono il settore, l'ETF Global X Cybersecurity è aumentato di circa il 10% dall’inizio del conflitto e la banca d’affari Morgan Stanley ha scritto che l'accresciuta tensione geopolitica "continuerà a fornire un forte vento in poppa per i titoli di sicurezza informatica".

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Fisico di formazione, comunicatore scientifico di professione. Mi occupo di scienza, tecnologia, innovazione, e aiuto a comunicarle bene. Fondatore del progetto "Coronavirus - Dati e Analisi Scientifiche". Tutto su di me su giorgiosestili.it
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