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Tasmania di Paolo Giordano, essere frammentari per raccontare la crisi dell’uomo contemporaneo

In Tasmania, ultimo libro di Paolo Giordano, lo scrittore narra la crisi (personale, climatica, di vocazione) davanti a cui ci troviamo e lo fa con uno stile frammentato che ne è in parte la forza.
A cura di Francesco Raiola
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Leggendo alcune recensioni al nuovo romanzo di Paolo Giordano si nota come una delle critiche – sì, in senso negativo – al libro è nell'inafferrabilità della sua forma. Che genere è? Fiction? Saggio? Autofiction? Il Paolo del libro è proprio l'autore o come il Walter Siti di Troppi Paradisi è uno dei tanti strumenti nelle mani dello scrittore. Insomma, è nella forma che ho letto le principali titubanze rispetto al libro, con qualcuno che, invece, ne sottolinea l'inconcludenza. Insomma, nella marea di ottime recensioni e buone impressioni, a colpirmi sono state le critiche. Se nessuna, tra quelle lette, mette in dubbio la scrittura del libro, che in effetti è difficilmente attaccabile, i più critici se la prendono con la forma e con alcune incongruenze scientifiche, o col fatto che siamo di fronte all'ennesimo libro di un quarantenne in crisi con sé e col mondo.

Eppure uno dei tratti più convincenti del libro mi sembra proprio ciò che più viene criticato, ovvero quella forma ibrida che unisce il romanzo puro a una sorta di autofiction che potrebbe non esserlo. Non c'è dubbio che quello di Giordano sia un romanzo frammentato e frammentario, come se fosse un testo assemblato partendo da una serie di scritti nati per usi diversi e poi uniti ex post dall'autore. In parte, Giordano suggerisce che possa anche essere così, come con la storia della ricerca sulle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki nata come ricerca per un libro ad hoc poi naufragato perché, in fondo, cosa si può dire di nuovo di quell'evento, dovendosi scontrare anche con le difficoltà linguistiche e dopo capolavori già pubblicati? Eppure proprio questa forma ibrida, questo scivolare e a volte perdersi pare una delle cose più interessanti del libro, qualcosa che riesce a tenere alta l'attenzione del lettore.

È vero che siamo di fronte all'ennesimo libro sulla crisi del maschio quarantenne, eppure a fare la differenza resta sempre come lo si scrive e quale prospettiva si usa: vale un po' il discorso di sempre sul racconto dell'amore. Tutti gli amori sono stati raccontati, eppure non smettiamo mai di leggere storie d'amore, almeno finché ci saranno prospettive e forme diverse a cui abbeverarsi. Il libro di Giordano è evidentemente un libro sulle crisi: quella personale, quella climatica, quella amorosa, quella amicale, quella di vocazione e forse anche quella stilistica. Tutto è crisi in Tasmania – titolo che evoca un'isola su cui ci si potrebbe salvare dalla crisi climatica, ma questo è un altro discorso -, tutto è crisi in Giordano: la crisi con la moglie Lorenza, quella climatica a cui assistiamo costantemente, la crisi con l'amico scienziato Novelli, la crisi dell'amico Giulio con la madre del figlio, la crisi di vocazione del prete Karol, la crisi sessuale, la crisi di mezz'età.

E come succede in ogni crisi, la fuga – o il sogno di fuga – è la soluzione sognata, che anche questa volta si evidenzia in varie forme: in un rapporto sessuale a quattro, nella voglia di fuggire in Sudafrica a fare il ranger, nella fuga a Parigi, nel rapporto amoroso quando si è ancora prete. Una serie di crisi e fughe che Giordano sceglie di raccontare con la frammentarietà di cui è fatta la contemporaneità che viviamo. È vero che a volte resta un senso di incompiutezza nella lettura, la ricerca di un senso finale, di una storia più lineare, ma forse è l'effetto dell'abitudine, la nostra voglia di trovare una categoria in cui incasellare questa frammentarietà ad acuire questa senso di vuoto in cui ci ritroviamo (e chissà che non sia quello in cui vuole gettarci l'autore).

Succede la stessa cosa nella musica: oggi alcuni dei progetti più interessanti sono quelli meno catalogabili, quelli che uniscono jazz e rap, urban e pop, elettronica e classica, nella costante incapacità di definire cosa sia ormai jazz, rap, urban, pop, elettronica e classica. Nella musica è un dato di fatto che soprattutto le nuove generazioni abbiano enormi difficoltà a sentirsi incasellati e ad autoincasellarsi, cosa che seppur non estranea alla letteratura, continua a provocare qualche difficoltà di senso. E lo stesso fa Giordano che invece di cercare una soluzione più facile con una storia meno frastagliata si lascia prendere completamente la mano. Non sarà il libro perfetto, Tasmania, ma è questa imperfezione ciò che lo rende un oggetto ancora più interessante e leggibile. Assieme al modo in cui Giordano racconta la perdita di bussola davanti a cui tutti ci troviamo.

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