video suggerito
video suggerito
Opinioni

Perché non riusciamo a toglierci dalla testa Piangere a 90 di BLANCO

Blanco è appeso per un filo, con braccia e gambe ciondoloni, abbandonato e vulnerabile. Ma è tutta una finzione. Se dovessi giudicare la posta in gioco del nuovo singolo di Blanco, Piangere a 90, dovrei parlare di manifattura della tensione. E la musica pop è proprio questo, in buona sostanza: un teatro. E per questo non possiamo fare a meno di ascoltarla.
A cura di Federico Pucci
284 CONDIVISIONI
Immagine

Blanco è appeso per un filo, con braccia e gambe ciondoloni, abbandonato e vulnerabile. Ma è tutta una finzione. Se dovessi giudicare la posta in gioco del nuovo singolo di Blanco, dal titolo Piangere a 90, dal video e dalla copertina (dove addirittura si guarda dietro il velo e si mostra il green screen), dovrei parlare di manifattura della tensione. E la musica pop è proprio questo, in buona sostanza: un teatro. E per questo non possiamo fare a meno di ascoltarla.

La “bambola di pezza” del pop italiano (ogni riferimento alla band punk Bambole di pezza è puramente casuale) è tornata da un paio di settimane con una canzone, la prima dopo quasi un anno di silenzio, che ha dato al pubblico esattamente quello che si aspettava. Caduta e redenzione, dolcezza e rabbia, leggerezza e melodramma.

Abbiamo parlato già dell’importanza del comeback nella narrazione che un artista fa di sé con la sua discografia. Quella di Blanco è talmente didascalica da iniziare con una nuova introduzione di sé al mondo, quasi fosse un nuovo inizio: si tratta di uno dei topoi più efficienti della musica pop, “l’atteso ritorno” appunto, mescolato all’impareggiabile “ritorno alle origini”. Proprio in questo punto iniziale e già cruciale del testo Blanco fa uso anche di un ingegnoso dispositivo retorico, la rima mancata: dopo “sono stanco” ci aspetteremmo  “sono Blanco”, e invece arriva un affrettato “son Riccardo”. Ma non si tratta veramente di un tradimento delle aspettative: non tanto perché tutti o quasi sanno il vero nome dell’artista, ma perché lo stesso atto di rivelarsi, mettersi a nudo, parlare in modo onesto è l’ABC di Blanco.

Le canzoni di Blanco sono ossessionate dal concetto di verità. “Non puoi rifarti il cuore come ti rifai le labbra”, dice in questo brano, riecheggiando un sentimento che è diffuso in tutta la sua discografia e che – come si diceva – compare fin dal primo verso di questo nuovo brano: la sincerità, la rude onestà, l’imperfetta autenticità sono valori assoluti, che regolano l’approccio del personaggio cantato da Riccardo Fabbriconi a tutti gli aspetti dell’esistenza, dai rapporti sentimentali a quelli con sé stesso. La sua propensione verso questo argomento sembra aver contagiato anche il suo pubblico. “Questo è l'unico ragazzo che nonostante l’autotuning mi fa venire i brividi con la sua scrittura”, dice un commento sotto il video su YouTube, andando oltre lo scetticismo verso questa tecnologia che tipicamente avviluppa il pubblico italiano. E forse parte della fortuna di Blanco è sempre stata in questo: mettersi letteralmente a nudo, correndo senza filtri e senza maglietta verso un pubblico che sembra come non mai affamato di autenticità, qualunque cosa voglia dire.

Piangere a 90, quindi, si presenta musicalmente con uno dei suoni che le nostre abitudini inveterate hanno storicamente associato alla sincerità: pianoforte e voce. Certo, nella strofa le note si muovono sopra gli stessi accordi che vanno da Dente ad Alicia Keys (e pure quelli della canzone di cui abbiamo parlato una settimana fa), cioè l’inossidabile giro degli anni ‘50. Ma le parole, queste sì che sono sentite veramente e originali e oneste. E per percepire questa onestà in modo immediato, quasi epidermico, ci viene incontro la produzione della voce: sporca, imprecisa, imperfetta e distorta quando Blanco alza il volume (puoi sentire chiaramente questa scelta estetica irrituale quando canta “Non ho firmato per una vita in diretta”). Non è una novità assoluta per il cantante: pure nella più laccata produzione di Nostalgia la traccia della voce è satura e distorta, come lo sarebbe una chitarra in overdrive, per restituire l’effetto della potenza e dell’irruenza. Dentro questo contesto di arrangiamento (con gli archi che verranno nella seconda strofa e una generale compostezza classicheggiante) anche il vecchio risulta nuovo: classica equazione di un successo.

In verità, non è del tutto nuovo alle orecchie del pubblico di Blanco nemmeno l’accompagnamento: il piano, gli archi, la commistione di delicatezza e virulenza, ma soprattutto il movimento degli accordi e della melodia dalla strofa al ritornello. Questo passaggio ricorda da vicino il pre-chorus di Brividi, la canzone che l’artista portò al successo con Mahmood nel Festival di Sanremo 2022. Si tratta di una classica sostituzione dell’accordo di sottodominante con l’accordo parallelo minore, un trucco di gran moda di questi tempi come dimostra la sua presenza in almeno due canzoni in gara all’ultimo Festival, compresa la vincitrice e Incoscienti giovani di Achille Lauro (e ne avevamo parlato in entrambi i casi, per la gioia dei secchioni in ascolto!): in tutti e tre i casi questo artificio compositivo sembra suggerire all’ascoltatore un momento di debolezza del nostro protagonista, come se le gambe del cantante avessero ceduto sotto il peso immane del sentimento che porta sulle sue spalle. Nel caso di Piangere a 90, però, Blanco, Michelangelo e Tananai (i tre autori/compositori accreditati) fanno qualcosa di ulteriore e intelligente: mentre l’orecchio è concentrato sul Fa, rigirano la sequenza di accordi facendo sparire l’ancora della tonica (Do maggiore) e proiettandoci verso il La minore. Come diciamo da sempre. Non è necessariamente un cambio di tonalità: è più che altro un effetto speciale, come il green screen davanti al quale “precipita” Blanco. Ma è sufficiente per dare all’ascoltatore l’impressione di una tensione vera e forte, e sicuramente per immergere tutto il ritornello in un bagno di incertezza.

Alla fine del ritornello il pianoforte esegue una sequenza di accordi che permette alla canzone di trovare un fulcro sufficientemente solido per alzare la tonalità: anche questo artificio compositivo, oggi considerato fuori moda, torna utile un’altra volta a una giovane popstar (come abbiamo visto parlando di una canzone di Damiano David) per dare una rinfrescata al punto di vista e iniettare un po’ di forza nel secondo giro di giostra del suo brano. Siamo saliti di due semitoni (“Anche una scusa non regge più”) ma Blanco ferma il ritmo armonico: adesso gli accordi si danno il cambio ogni due battute, rallentando ulteriormente il tempo in modo surreale. Siamo “nell’occhio del ciclone”, come canta lo stesso artista, e le cose sembrano immobili nelle nostre immediate vicinanze. Mentre il pianoforte scivola con l’aiuto degli archi tra gli accordi del pre-chorus, si alza la tensione nel resoconto cantato di Blanco, che ripercorre i suoi incidenti più o meno triviali dell’ultimo paio d’anni (i fiori calciati all’Ariston, e il resto è aperto all’interpretazione). Questa tensione non è banalmente spesa per lanciare un ritornello, ma viene usata per alzare ancora la posta in gioco. Alla fine di questa sequenza, infatti, entra un accordo estraneo alla tonalità che ci spiazza: lo senti quando inizia il verso “e vincere, vincere, vincere non è destinazione”. Per un paio di battute siamo sotto il controllo del La maggiore, sentiamo di nuovo le gambe della sottodominante cedere, e ci viene introdotta – forse – una spiegazione di tutta questa elegia: nonostante abbia raggiunto prima dei trent’anni tutti gli obiettivi che altri artisti non riescono ad avere in una vita intera (dischi di platino, vittorie e vetrine, concerti negli stadi) Blanco non si sente “arrivato”, e questo dovrebbe far venire a lui e a noi un momento di commozione.

Ora il secondo ritornello, a questo punto riatterrato sulla tonalità di Re (terzo cambio in 2:33 minuti di canzone, un record per lo standard pop recente), può effettivamente beneficiare dell’iniezione di energia di una modulazione. E noi restiamo qui con il dubbio di cosa abbia da “piangere a 90” Blanco: certo, gli ossimori funzionano sempre, e lui non ha intenzione di divulgare i fatti della sua vita privata (lo diceva nella prima strofa) che potrebbero avergli causato un dispiacere. Dopotutto, a noi non dovrebbe nemmeno interessare – e sottolineo il condizionale. Ma a questo punto la somma di simbologie e di allusioni ci ha messo in moto la memoria, e d’un tratto punti dalle rose prese a calcioni ci tornano in mente tutte le altre volte in cui Blanco ci aveva raccontato qualcosa di simile. Che la fama, il successo, la realizzazione dei propri sogni, la tranquillità economica, l’approvazione del pubblico e di molti critici non basta. Ce lo diceva già nella prima traccia dell’album Innamorato, quello che con due soli dischi di platino di fronte ai sette di Blu celeste potrebbe quasi definirsi il “flop” della carriera fulminea di Blanco: allora ci diceva “Chi lo sa a cosa serve essere ricchi se la fedeltà e l'amore non lo compri, Mi chiedo chi lo sa chiuso in una stanza d'albergo, Chi lo sa che non è quello che volevo, Chi lo sa se questa vita è vera oppure artificiale” (di nuovo l’ossessione con l’autenticità). Se la copertina di quel disco vedeva Blanco tra le nuvole, ora le nuvole sono scure, come vediamo nel videoclip. Ma le nuvole sono fasulle: è un green screen, e ce l’ha messo Blanco stesso.

I soldi non fanno la felicità, come dicono il calendario di Frate Indovino e le pagine Facebook dei Buongiornissimi. Blanco in Piangere a 90 ci tiene a ricordarcelo ancora una volta, e se il pubblico approva e ascolta si vede che non ne ha mai abbastanza. Vuole avere la conferma che arrivare al numero uno non è bastato alla giovane popstar per togliersi di dosso i suoi fantasmi; che la realizzazione di un sogno alle sue condizioni artistiche, scrivendo senza filtri non gli è stato sufficiente; che nemmeno quando gli “hanno offerto tanti soldi” (come ci diceva in La mia famiglia) la tristezza se n’è andata. E anche se fosse scomparsa, la si può sempre fabbricare a beneficio del pubblico, con un po’ di CGI e un’ingegnosa sequenza di accordi piano e voce. Perché il pop è prima di tutto uno spettacolo in cui la commozione conta più della verità.

284 CONDIVISIONI
Immagine
Federico Pucci è un giornalista musicale. Ha collaborato con ANSA dal 2012 al 2019, occupandosi di spettacoli e cultura per la sede di Milano. Tra il 2020 e il 2023 ha diretto il magazine musicale online Louder, creando e producendo oltre 200 videointerviste e format originali. Nel 2019 ha scritto un libro sui sessant'anni di storia di Carosello Records. Ogni settimana pubblica una newsletter chiamata Pucci.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views