La liberazione di Tredici Pietro: “Prima volevo essere Pietro, non Morandi, ma oggi non m’importa più”

Lo scorso 4 aprile è stato pubblicato il nuovo album di Tredici Pietro dal titolo Non guardare giù, coprodotto da Sedd e Fudasca e che vede la partecipazione in Verità di Tommaso Ottomano, anche collaboratore di Lucio Corsi. Il disco, un atto di "liberazione" come lo descrive l'autore emiliano, è stato anticipato da Serve Amore con Irbis, Morire pubblicata lo scorso gennaio e più recentemente Verità dello scorso 7 marzo. Un atto di consapevolezza che arriva alla fine di un lungo percorso per Tredici Pietro, che anche attraverso brani come Verità è riuscito ad affermare: "Forse la musica che volevo fare è quella che faccio adesso: prima volevo essere Pietro, non Morandi. E adesso invece sono arrivato, mi sono fottuto di tutto perché è quello che volevo". Nel frattempo, il singolo Likethislikethat è uno dei brani in tendenza nell'ultimo mese su TikTok Italia, con quasi 8mila video con il suo in sottofondo. Qui l'intervista a Tredici Pietro.
Perché hai chiamato l'album Non guardare giù?
"Non guardare giù" mi piace perché può voler dire tante cose, mi rappresenta, ha tante interpretazioni possibili. È un titolo aperto. Se dovessimo dargli una definizione precisa, non mi piacerebbe. Preferisco che, quando lo si ascolta, ognuno lo interpreti a modo suo. Per me "Non guardare giù" vuol dire: non fermarti a dare senso a tutto per forza. Spesso, se ti fermi troppo, le cose sembrano non avere senso. A volte succede qualcosa di forte, poi ti butti giù (nel senso che perdi il controllo) ma spesso il senso delle cose lo trovi più tardi, anche dopo mesi. Capisci solo dopo perché hai preso una certa strada, o fatto una certa scelta. Quindi Non guardare giù vuol dire non bloccarti, non analizzare troppo, ma trova il senso nel fare le cose. È anche una provocazione, perché oggi viviamo in un'epoca dell'io, dell'individualismo. Spesso non guardiamo l’altro, non ci interessa. Ma per stare bene con gli altri, serve anche guardare fuori da sé. Ci ritroviamo negli altri, anche quando non vogliamo ammetterlo.
Nel racconto dell'album emerge la politica del fare, un aspetto che si può trasformare negativamente anche in qualcosa come la sindrome performativa.
Sì, è così. Racconto quello che vedo, che sento. Viviamo nell’epoca della performance, del racconto di sé mitico: tutti vogliono una fine spettacolare, non sappiamo più aspettare. Ci raccontiamo che possiamo tutto, che possiamo essere tutto. Ok, va bene, ma a volte è logorante. Ti ritrovi fermo, guardi giù e ti rendi conto che non è cambiato nulla. Invece, spesso, è proprio il non dover spiegare tutto e il non dover per forza arrivare a qualcosa di spettacolare che rende speciali le cose vere, anche se sono semplici.
In alcuni brani dell’album si parla anche di Milano. Il trasferimento lì ti ha segnato anche dal punto di vista umano?
Sì, Milano è citata nel disco, anche se non in modo diretto. Negli ultimi anni ho fatto spesso avanti e indietro tra Bologna e Milano. Per fortuna non vengo da città molto lontane come Napoli o Catania: io sono sardo, quindi ci metto poco. Lavoro a Milano, ma vivo a Bologna. I miei amici più stretti, le persone con cui sto bene, sono a Bologna. Quindi è come se non avessi mai accettato davvero Milano.
Hai sofferto Milano?
Milano è una città che può giudicarti con uno sguardo. Io sono molto sensibile, e certe cose mi arrivano. Milano ti approva o ti disapprova in un attimo, e spesso approva solo la tua facciata. Non lascia passare chi sei davvero. Ti etichetta in quattro secondi.
Anche dal punto di vista musicale?
Forse sì. Ma io cerco di fregarmene e andare oltre. Però all’inizio, quando sono arrivato, anche musicalmente è stato difficile. Come se mi mettessero addosso parole, simboli e identità che non mi appartenevano. Io sono di Bologna, e lì ci sono altri valori. Milano è diversa. Mi sono sentito meno adeguato, meno all’altezza. Ci ho messo un po’ a uscirne, ma ora mi sento più forte. Però so che molte persone non ce la fanno, restano intrappolate.

Hai ricevuto qualche feedback particolare che ti ha fatto cambiare prospettiva sulla tua musica?
Sì, ultimamente ho ricevuto messaggi molto belli. Diversi dal solito. Mi fa piacere vedere che le persone ascoltano questo disco con un’attenzione diversa rispetto a prima, quando facevo musica più rap, più d’impatto. Un complimento che mi ha colpito è stato quello di Tommaso Ottomano, artista poliedrico. Fa regia, fa musica, fa arte, fa mobili meravigliosi per casa sua. Qualsiasi cosa tocchi, gli ho visto fare meraviglie. Mi ha detto che ho una bella voce e mi disse di "lanciarla", che dovrei imparare a conoscerla e usarla meglio, sfruttarla molto di più. Questo mi ha aperto uno spiraglio.
Esiste una barriera comunicativa, una sorta di incomunicabilità che canti anche in Sempretardi: "È da tempo che non ci diciamo niente" o “Ci sono un sacco di cose che non ci siamo mai riusciti a dire". Senti come personale questo aspetto?
Mi sento più di essere la voce di qualcun altro, in questo caso. Esiste questo isolamento collettivo, in cui siamo connessi con tanti amici e follower. Mi sento più la voce di qualcun altro, anche se lo percepisco anche io. Ma poi c'è un problema nel desiderare qualcosa: non ti dico di prendersi il mondo, ma di esprimere ciò si vuole fare. Nel provarci, siamo terrorizzati, c'è qualcosa che immobilizza tanti. Ha immobilizzato anche me, cerco di combatterlo però. In verità quei passaggi erano molto particolari, specifici, per una persona a cui è dedicato tutto il disco. Citavo i dialoghi mancati, oppure la mancanza di dialogo con questa persona.
E invece Verità: perché pensi possa essere un brano per il Festival di Sanremo?
È nato a ottobre 2023: eravamo la prima volta in studio assieme con Tommaso Ottomano, e volevo fare un pezzo alla Mac Miller, qualcosa che non avessi mai fatto. Mi sembrava un pezzo adatto a Sanremo perché era cantato e aveva quel tipo di statura.
Si può dire che quest'album è stata una liberazione?
Ce ne sono tante di liberazioni. C'è una storia d'amore forte, durata tanti anni, che viene esorcizzata. C'è anche una storia di carriera musicale, di successi, fallimenti, gioie e dolori che andava esorcizzata e vissuta meglio. E poi c'è una liberazione da tutto quello che non credevano io potessi fare: chi ascolta questo disco si ritrova me davanti. C'era una parte di me che chiudeva le altre, che voleva dimostrare tutto. Ma forse la musica che volevo fare è quella che faccio adesso: prima volevo essere Pietro, non Morandi. E adesso invece sono arrivato, me ne sono fottuto di tutto perché è quello che volevo.
Cosa rappresenta $OLDI DENARO MONETA CA££££HH? C'è anche un messaggio politico?
Estremamente politico, non esistono cose non politiche, tutto lo è. Sicuramente si parla di qualcosa di sociale, legato fortemente alla politica. Se non pensi di essere politico, significa che sei cretino. Se non ti accorgi che succede qualcosa dall'alto significa che ti sei fatto fregare.
Com'è nato il brano?
In quel giorno pioveva e io ero inca**ato. Oggi parliamo di ogni barra con un proprio senso però sul momento cercavo di dare un occhio sul mondo. Le cose descritte credo siano elencate in maniera didascalica.
Il concetto di verità ritorna in molti passaggi di quest’album, come per esempio in Galleggiare, in cui canti: "Se ti dico la verità, cado da un castello di carta": che rapporto hai avuto con la verità negli ultimi tempi?
Il rapporto con la verità è stato fottuto da sempre, anche perché io ho sempre avuto una visione di Pietro, mentre fuori c'è chi mi classificava puntandomi il dito. Per me la verità è una cosa, mentre dovevo scavare e dimostrare costantemente agli altri che non fossi come pensavano loro. Quindi per me la verità è una grandissima falsità, una proiezione che è nella testa di qualcun altro.