
James Senese era un mito. Lo diciamo forse per troppe persone, è vero, ma lui lo era veramente. È riuscito a diventare rilevante grazie alla sua voce e al suo sax, ma fuori Napoli non molti forse conoscono il peso dei testi che cantò grazie alle parole di Franco Del Prete: la campagna, il lavoro, il proletariato. Basterebbe ascoltare l'album Napoli Centrale e canzoni come Campagna A e B, e ‘A gente ‘e Bucciano, ma per capire la sua portata rivoluzionaria si può ascoltare anche un grande classico della band che è ‘Ngazzate Nire, uno sfogo funk in cui Senese, con le parole di Franco Del Prete se la prendeva col mondo che lo circondava, dalla musica agli show televisivi, la Chiesa e i perbenisti: "Stu sistema è ’na puttana, tiene ’e diente ’e pescecane, crede ’e Sante e a Gesù Cristo, dint’ ’o sanghe è ’nu razzista" (Questo sistema è una puttana, ha i denti di un pescecane, crede ai santi e a Gesù Cristo, ma nel sangue è razzista).
C'è una coscienza di classe in quello che cantava Senese, che è raro (eufemismo) trovare nella musica contemporanea, ma Senese era anche quello di "alla quale", un intercalare che è diventato celebre nella cerchia di chi lo amava, gli era amico o discepolo. Perché alla faccia del sogno americano, il sassofonista che si ispirava a Coltrane e lanciò Pino Daniele era veramente un uomo del popolo, che veniva dal proletariato dell'area Nord di Napoli, Miano, per la precisione, riuscendo a diventare un maestro dello strumento, senza leggere la musica. E chissà, se fosse nato a New Orleans, invece che a Napoli, oggi staremo parlando di un artista che aveva suonato coi più grandi.
Era avanti, James – che è morto ieri -, un uomo pieno di spigoli, ma di un talento spropositato. Con tutte le difficoltà dovute al contesto di nascita, era diventato un personaggio mitico come si vede, in filigrana, nell'interpretazione di se stesso in "No grazie, il caffè mi rende nervoso", quando assale un impacciato Lello Arena che cerca di intervistarlo mentre spiega che il break di batteria deve essere "di due misure e mezzo, non due". Ha scritto la Storia vera della musica italiana, dagli Showmen (e lì bisognerebbe rievocare un altro grande come Mario Musella) ai Napoli Centrale, ma era anche come colui che aveva dato una delle sue prime occasioni a Pino Daniele, lanciandolo prima e diventando, successivamente, parte fondamentale di quella super band che lo accompagnò all'inizio.
Ma all'inizio la rivoluzione cominciò a farla assieme a Enzo Avitabile con i Tribù Bantù, come spiega bene Gennaro Esposito nel suo bel libro "Napoli balla. Dancefloor e sottoculture nella città postcoloniale" (Tamù editore) che descrive Napoli come città postcoloniale in cui "l'ibridazione tra culture migranti nelle nuove relazioni interetniche e la rivitalizzazione delle antiche radici nere, maghrebine e orientali di Napoli codificano la cifra stilistica che caratterizza" i primi gruppi di Senese. È un'epoca in cui un gruppo di musicisti si ribella alla canzone tradizionale napoletana, e nelle contaminazioni trova nuova linfa.
James Senese non ha mai smesso di fare musica solista, pensate a ‘O Sanghe, o anche James is back, tra le altre ed è stata fonte di ispirazione, dal rap ai Nu Genea. E non aveva neanche rivelato di avere un tumore (era in dialisi), perché avrebbe compromesso i suoi live, la possibilità di salire sul palco con il suo strumento, la sua coperta di Linus. E sul palco, con il sax, Senese era uno spettacolo da guardare, anche in età avanzata, quando gli acciacchi lo avevano debilitato.
Ha detto bene Clementino a Fanpage, Senese è stato un ponte generazionale, anche senza volerlo, la sua musica ha accompagnato il neapolitan power, lo ha influenzato, ha deciso la direzione, e tutti hanno dovuto fare i conti con tutta la musica che ha creato e continuava a creare. Facendolo nell'idea della musica come strumento contro il razzismo, le disuguaglianze le ingiustizie, perché, in fondo, questo era il significato profondo delle note che uscivano dal suo sassofono. Grazie James per tutta la musica che ci hai regalato.